Ho deciso di ripercorrere la vicenda di questo onesto magistrato perché ritengo opportuno richiamare l’attenzione sui cosiddetti “Delitti Eccellenti” troppo spesso gettati nell’oblio dalle stesse Istituzioni e soprattutto mai svelati nelle loro diverse e complesse sfaccettature.
Così passano gli anni, ci si arrende di fronte a vicende che sembrano all’apparenza non avere risoluzione, ci si dimentica dei volti coinvolti fino a che il tutto viene chiuso nell’ormai strapieno cassetto dei Misteri Italiani.
Ma non è giusto continuare cosi, le cose devono cambiare, le persone devono poter ascoltare, guardare e parlare; lo dobbiamo al nostro Paese, a noi stessi, ai nostri figli e a chi fa il proprio lavoro servendo lo Stato, uno Stato che troppo spesso non dà risposte all’impegno civile di questi uomini ma li emargina quasi fossero dei veri e propri parassiti della società.
Così passano gli anni, ci si arrende di fronte a vicende che sembrano all’apparenza non avere risoluzione, ci si dimentica dei volti coinvolti fino a che il tutto viene chiuso nell’ormai strapieno cassetto dei Misteri Italiani.
Ma non è giusto continuare cosi, le cose devono cambiare, le persone devono poter ascoltare, guardare e parlare; lo dobbiamo al nostro Paese, a noi stessi, ai nostri figli e a chi fa il proprio lavoro servendo lo Stato, uno Stato che troppo spesso non dà risposte all’impegno civile di questi uomini ma li emargina quasi fossero dei veri e propri parassiti della società.
CHI ERA PAOLO ADINOLFI ?
Paolo Adinolfi è un magistrato romano che scompare la mattina del 2 luglio del 1994 senza lasciare alcuna traccia; ad oggi non è ancora possibile ricostruire la dinamica dei fatti , se pure sono tante le circostanze e gli indizi che inducono a pensare ad un caso di Lupara Bianca.
La mattina del 2 luglio 1994 Paolo Adinolfi è uscito di casa dicendo che sarebbe rientrato per l’ora di pranzo; dalle testimonianze sarebbe certa la presenza di Adinolfi , alle 9.00 circa, presso la biblioteca del Tribunale Civile di Roma sita in viale Giulio Cesare: il bibliotecario Marcello Mosca ha inoltre successivamente sostenuto di aver visto il magistrato in compagnia di un uomo di 30-35 anni, di media statura e ben vestito. Chi era quell’uomo?
Successivamente si sarebbe recato allo sportello bancario interno del Tribunale per trasferire un conto corrente all’agenzia della Corte d’Appello di via Varisco, dove era stato da poco trasferito; una telespettatrice del programma Chi l’ha visto? , che si è occupato più volte di questa scomparsa alquanto anomala, ne ha confermato la presenza.
Intorno alle ore 11:00 il magistrato si sarebbe recato all’ufficio postale del Villaggio Olimpico dove avrebbe spedito alla moglie una vaglia di £ 500.000; in seguito avrebbe preso un autobus per raggiungere la casa della madre al quartiere Parioli: nella casella postale sono state ritrovate, 36 ore dopo la scomparsa, le chiavi dell’auto e di casa dell’uomo.
Alle 12:30, sull’autobus n°4 che porta dal quartiere Parioli a P.zza Zama, Adinolfi ha incontrato un collega: all’apparenza sereno Adinolfi avrebbe parlato dei suoi due figli.
L’ultimo avvistamento risale proprio al mese della scomparsa: una spettatrice del programma suddetto ha riferito nella puntata del 25 ottobre 1994 di avere incontrato Paolo Adinolfi sul treno Bologna-Torino e di aver parlato con lui. Se fosse davvero Paolo Adinolfi cosa ci faceva su quel treno in direzione Torino ?
In relazione a tale scomparsa sono diverse le circostanze che portano a pensare che di allontamento volontario non si tratta né tantomeno di suicidio e che direzionano le motivazioni di tale sparizione verso quella che era l’attività di Adinolfi presso il Tribunale Civile di Roma, nel quale ha lavorato per molti anni alla sezione fallimentare prima e alla seconda sezione civile poi.
- Secondo quanto riferito dal magistrato Giacomo De Tommaso, Adinolfi avrebbe confidato il timore di essere seguito e spiato.
- La moglie di Adinolfi, Nicoletta Grimaldi, rivela che il marito avrebbe confidato ad un vecchio amico di avere acquisito prove e documenti che avrebbero potuto per il loro “scottante” contenuto far “crollare” il Tribunale di Roma. Rivelazione alquanto plausibile e fondamentale dal punto di vista investigativo visto che Adinolfi avrebbe chiesto un appuntamento per la settimana successiva alla sua scomparsa con il Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Carlo Nocerino; lo stesso adinolfi avrebbe chiesto al PM di Milano di “poter testimoniare come persona informata sui fatti”. Cosa aveva scoperto Adinolfi di così eclatante tale da indurlo a dare le dimissioni dalla sezione fallimentare del Tribunale Civile di Roma presso il quale lavorava da molti anni?
Nicoletta ha inoltre parlato di una lettera ricevuta dal marito, una sorta di “testamento spirituale” che richiamerebbe per il contenuto quella scritta dall’Avvocato Giorgio Ambrosoli alla moglie prima di essere ucciso l’11 luglio del 1979. Riporto alcuni passi della famosa lettera scritta da Ambrosoli, cosicché possa risultare più facilmente comprensibile la consapevolezza del pericolo a cui vanno incontro coloro che agiscono rettamente svolgendo il proprio lavoro senza cedere a ricatti , a pressioni o a compromessi.
Anna carissima,
è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I. (Banca Privata Italiana n.d. r.) atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica.
[…] E’ indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese.
Ricordi i giorni dell’Umi (Unione Monarchica Italiana n.d.r.) , le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho la piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo.
I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [… ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. […]
Giorgio
Anche Paolo Adinolfi dunque come Giorgio Ambrosoli e come tanti altri in Italia hanno dovuto pagare il prezzo della propria vita solo perché indotti al proprio lavoro da un inestimabile senso del dovere piuttosto che da logiche di potere e da interessi esclusivamente personali ?
- Altri particolari sconcertanti di questa vicenda rimasta irrisolta e archiviata inizialmente come caso probabile di allontanamento volontario, emergono dalle indagini riaperte nel 1997 dalla Procura di Perugia in seguito alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, tale Francesco Elmo.
Francesco Elmo, arrestato nell’ ottobre l995 in Sicilia nel corso dell’operazione “CHEQUE TO CHEQUE”, inizialmente sospettato di vaneggiamenti a causa della sconvolgente entità delle sue rivelazioni, si dimostrerà un prezioso collaboratore di giustizia nell’ambito dell’ inchiesta sopraccitata della quale si occupavano i magistrati di Torre Annunziata.
Francesco Elmo, faccendiere siciliano, viene accusato di fare parte di un ingente traffico di materiale nucleare, titoli di credito, valuta falsa e armi; sono molti a contattare Elmo vista la sua familiarità con questo tipo di transazioni e i suoi continui viaggi in Svizzera: lui vive di questo, è il suo lavoro. Sarà lui stesso nel corso di un interrogatorio ad asserire il suo particolare rapporto con due personaggi qualificatisi come uomini del SISMI: si tratta del tenente colonnello Mario Ferraro, che era stato trovato impiccato nel bagno del suo appartamento il 16 luglio 1995 in circostanze assai inspiegabili, e di un suo collaboratore conosciuto da Elmo col nome di copertura Giuseppe Di Maggio.
Secondo le dichiarazioni del “faccendiere” saranno proprio questi due personaggi a riferirgli del presunto collegamento tra i servizi deviati e la morte del giudice Paolo Adinolfi, della quale sarebbero in qualche modo responsabili; tali personaggi dirigerebbero difatti traffici alquanto strani mediante società fantasma per la compravendita di società in procinto di fallimento e avrebbero una notevole influenza presso le sezioni fallimentari del Tribunale di Roma: Adinolfi sarebbe stato dunque ucciso per aver scoperto questi strani traffici; parla poi di un altro particolare rivelatogli dal tenente colonnello Ferraro: a far sparire nel nulla Adinolfi sarebbero stati gli uomini della Banda della Magliana, storica banda criminale romana.
Ultimi aggiornamenti del caso Adinolfi risalgono al 2004: a dieci anni dalla scomparsa del magistrato è stata chiesta nuovamente l’archiviazione del caso e notificata ai familiari in quanto persone offese dal reato di sequestro di persona. Nicoletta Grimaldi Adinolfi ha cosí commentato la richiesta di archiviazione: “Da un lato la richiesta di archiviazione ci addolora profondamente, ma dall’altro conferma quello che sosteniamo da dieci anni: con certezza Paolo è scomparso per motivi legati al suo lavoro”. Il sostituto procuratore della Repubblica di Perugia, Alessandro Cannevale, ha difatti confermato il coinvolgimento di persone legate alla criminalità organizzata nella cerchia di attività svolte presso la sezione fallimentare del Tribunale Civile di Roma.
Spero di aver ricostruito questa vicenda in maniera esaustiva e mi scuso se ho omesso qualche fatto importante da me non conosciuto; invito chiunque sappia qualcosa in più a segnalarlo. Per ultimo voglio ricordare le parole pronunciate da Lorenzo Adinolfi, figlio del magistrato, nel corso della telefonata del 10 gennaio 2003 che fece in diretta al programma Chi l’ha visto?:
“Mi piacerebbe molto pensare che l’allontanamento di mio padre sia stato volontario. Ma purtroppo mio padre aveva messo le mani in affari loschi. Sbaglia chi pensa che chi si occupa di diritto civile in Italia sia esente da problemi. Il suo lavoro certamente l’ha portato ad avere molti nemici.”
Fonti principali: Chi l’ha visto e e un articolo di Michele Gambino tratto da Avvenimenti e datato 22 maggio 1996
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