di Redazione
Dopo le parole di addio di Antonino Di Matteo tocca a Vittorio Teresi concludere la lunga requisitoria dei Pm e chiedere le pene per gli imputati:
“Noi, noi soli, noi soli quattro, abbiamo messo insieme e messo in fila fatti che abbiamo cercato di raccogliere nel pieno rispetto delle norme di legge, e di proporvi nel rispetto delle norme di legge, sui limiti della prova nel dibattimento.
E, come in un puzzle, abbiamo preso queste tessere e le abbiamo messe insieme. Ma, come in un puzzle, la singola tessera non fa vedere il quadro generale. La singola tessera diventa rilevante e importante soltanto se si incastra perfettamente in quello che sarà il quadro generale. Noi siamo convinti che tutte le tessere che abbiamo ricostruito e che vi abbiamo offerto, a partire dagli anni settanta, fino ai fatti che abbiamo ricostruito, fino alla metà degli anni novanta, siano tutte tessere che si incastrano perfettamente e che disegnano un unico, esclusivo, direi univoco, quadro di insieme. Che è il quadro d’insieme che ha a che fare con l’atto di accusa che vi abbiamo proposto, con i reati che abbiamo contestato a tutti gli imputati. È un quadro d’insieme che ha tinte fosche. È un quadro d’insieme nel quale qualche tessera è sporca di sangue, il sangue di quelle vittime – delle quali non voglio riproporre i nomi perché cadrei nel pietismo – le vittime delle stragi. Stragi che sono rimaste in qualche modo ai margini; noi abbiamo sfiorato… Questi fatti che vi abbiamo proposto hanno avuto a che fare in qualche modo con le stragi. Per esempio, possiamo dire che la strage di Capaci è una strage che è stata consumata per vendetta e per fermare quella grande evoluzione normativa che Giovanni Falcone aveva impresso all’interno del Ministero.
Quindi è una strage di conservazione, perché non si voleva far continuare l’innovazione. La strage di Giovanni Falcone, la strage di Capaci, è l’ultima strage della Prima Repubblica. I fatti poi si sono evoluti, ma Paolo Borsellino, probabilmente, era visto come un ostacolo al cambiamento che si voleva, al cambiamento che si pensava al momento in cui è stata fatta l’ignobile trattativa. La strage di via D’Amelio probabilmente è la prima strage della Seconda Repubblica. E poi ci sono state tutte le altre. Non spetta a noi dire, capire, sondare qual è il rapporto che ha legato i fatti che vi abbiamo prospettato con quelle stragi. Io mi auguro che altre Autorità Giudiziarie, preposte a questo accertamento, competenti a questi fatti, se vorranno, o magari in ossequio al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, potranno leggere in modo intelligente e consequenziale questi fatti, e metterli nella relazione, eventualmente per loro, penalmente rilevante. Noi ci limitiamo a guardare il quadro che vi abbiamo offerto.
E quel quadro ci dice che abbiamo raggiunto la prova piena della responsabilità degli imputati, e quindi vi chiediamo di affermare la responsabilità di tutti gli imputati in ordine ai reati loro contestati.
E in particolare:
all’imputato Bagarella, per il reato di cui al CAPO A), anni 16 di reclusione;
per Cinà Antonino, sempre per il CAPO A), anni 12 di reclusione;
per l’imputato Giovanni Brusca, in ordine al CAPO A) – previa concessione della speciale diminuente dell’art. 8 della legge sui collaboratori di giustizia – vorrà la Corte dichiarare non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione;
per l’imputato Marcello Dell’Utri, in ordine allo stesso reato di cui al CAPO A), la pena di anni 12 di reclusione;
per l’imputato Mario Mori, per il reato di cui al CAPO A), la pena di anni 15 di reclusione;
per l’imputato Subranni Antonio, la pena di anni 12 di reclusione;
per l’imputato De Donno Giuseppe, la pena di anni 12 di reclusione;
per l’imputato Mancino Nicola, in ordine al reato di cui al CAPO C) – la falsa testimonianza – la pena di anni 6 di reclusione;
per l’imputato Ciancimino Massimo, in ordine al CAPO D) – l’ipotesi cioè di partecipazione all’associazione di tipo mafioso – noi riteniamo che la sua condotta vada ritenuta esaurita, ai fini di questo processo, quindi del giudizio, al 15 gennaio del 1993, e quindi chiediamo, per questo capo, dichiararsi non doversi procedere per estinzione del reato per intervenuta prescrizione;
sempre per Massimo Ciancimino, in ordine al reato di cui al CAPO E) – cioè per la calunnia – condannarsi l’imputato alla pena di anni 5 di reclusione;
condannare tutti gli imputati alle pene accessorie di legge, e per Riina Salvatore dichiararsi non doversi procedere per morte del reo.”
trascrizione a cura di Giorgia Oppo
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