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Caso Ilardo: audizione di Luana Ilardo in Commissione Antimafia

Riportiamo qui il video dell’audizione, e il testo del documento letto in aula, di Luana, figlia di Luigi Ilardo, in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali. Potete trovare un sunto giornalistico a questo link su AntimafiaDuemila.com

INTERVENTO COMMISSIONE NAZIONALE PARLAMENTARE ANTIMAFIA

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Ho deciso di aprire questo mio intervento leggendo la lettera di mio Padre per un motivo ben preciso quel motivo è, rendere dignità a quella componente umana che in queste vicende viene totalmente dimenticata e ignorata. Per me e anche per voi, invece, mi auguro che rimanga costante chiave di lettura e comprensione di quello che udirete di seguito perché è stata proprio quella umanità e quella dignità che nella sua storia, lo hanno reso un reale collaboratore di Giustizia genuino, sincero, facendo si che il suo contributo non abbia mai avuto un solo margine di errore ed inesattezza per tutta la sua durata.

Questo non lo dice la figlia innamorata del suo papà ma tutti i verbali forniti alle AG e quegli organi che hanno collaborato con lui e sotto le sue dettagliate e precise indicazioni.

Vi prego inoltre di focalizzarvi soprattutto su quelle che non sono andate a buon fine per evidenti e chiare imperizie/responsabilità/omissioni da parte degli uomini dei Ros e di altre Istituzioni che rimarranno verosimilmente causa della sua morte.

 Necessita da parte mia farvi una breve ricostruzione a livello familiare per una esatta contestualizzazione della figura di mio Padre.

La sorella di mio nonno Maria Ilardo, intorno al 1931, sposò Francesco Madonia, (detto don Ciccio Madonia) determinando la familiarità mafiosa al nostro nucleo familiare che invece possedeva originariamente anche uomini appartenenti all’Arma dei Carabinieri. Questo cognato per mio Nonno e zio acquisito, per mio padre, diventerà presenza e soggetto frequentatore della mia famiglia, soprattutto nel momento in cui la sorella di mio Nonno, Maria morirà a soli 39 anni a causa di un male incurabile. Durante quel matrimonio nacquero tre figli: Maria Stella, Clementina, Giuseppe (Piddu) Madonia. I tre figli persa la madre in tenerissima età e rimasti soli con il Padre, come usanza e coscienza del tempo imponeva, verranno affidati con definitiva locazione alla moglie di mio Nonno Calogero, Francesca Mastrolorito per essere cresciuti da lei in quanto amorevole donna e scelta sicuramente più consona visto che il Francesco Madonia era rimasto un uomo solo e vedovo. Questa nuova condizione di famiglia allargata determinerà, anche per rimanere in stretto contatto con i propri figli l’assidua vicinanza e frequentazione dello zio acquisito, Francesco, con la mia famiglia.

Mio Padre e i suoi due fratelli di pari età (range di età di ognuno, 3 / 7 anni) da quella morte precoce della zia paterna si troveranno a convivere e a crescere presso la propria abitazione con altri tre “fratelli” adottivi acquisiti che usciranno da quella casa solo in maggiore età.

Sarà questa inevitabile vicinanza/frequentazione e l’affetto particolare che questo zio Francesco aveva nei confronti di mio papà a “sceglierlo”, addirittura, come suo fidato autista e accompagnatore prediletto, ad introdurre Luigi Ilardo nell’ambiente di Cosa Nostra;

Solo dopo l’uccisione di suo zio Francesco Madonia diventerà per credenze sbagliate e per quasi un atto dovuto, ufficialmente “uomo d’onore” della famiglia mafiosa nissena dei “Madonia”.

In quegli anni era abitudine nascondere i vari latitanti presso delle famiglie rispettabili e insospettabili, mio nonno infatti era uno dei più grandi commercianti di bestiame italiani, tanto da essere il primo fornitore dello Stato e successivamente anche per l’Estero

Non sono in grado di descrivere con certezza i canali di come ciò si determinò, presumo tramite il Francesco Madonia, che Luciano Liggio un giorno chiese a mio Nonno di nascondere per un periodo di tempo un personaggio alquanto ambiguo, certo Gianni Ghisena.

Il Ghisena era un personaggio dotato di grande carisma e mio Padre più giovane di lui, ne rimase affascinato. Cominciò così una grande amicizia tra loro due. Mio Padre, anche in questo caso, ne divenne suo autista e accompagnatore.

Le dichiarazioni di mio Padre lo descriveranno come un uomo di altissimo livello, nonché anello di congiunzione tra la Massoneria, n’drangheta, criminalità organizzata esistente del nord dell’Italia, la destra eversiva e Servizi Segreti. In quel periodo il Ghisena, oltre a mantenere detti contatti, si occupava di varie attività criminali come: rapine in banca, contrabbando di sigarette, di droga, sequestri di persona e altri “impegni” illeciti riguardo compra vendita di armi e esplosivo. Mio Padre racconterà che in un occasione, fu lui stesso ad accompagnarlo alla base militare di Augusta e, rimasto in macchina ad attendere il Ghisena, lo vide parlare con due uomini “particolari” non di mafia che, scesi da una classica auto tipo “ministeriale”, lo intruderanno all’interno della base dove insisteva e non so se esiste ancora, l’arsenale militare da dove poi il Ghisena ne uscirà con una valigetta in mano contenente esplosivo. Questo accadrà, sempre nelle stesse modalità, per ben due volte. Un’altra volta ancora mio Padre accompagnò il Ghisena sul traghetto Messina-Reggio dove facendo la tratta di andata e ritorno lo vide parlare con personaggi “similari” (sempre non di mafia) a quelli che aveva incontrato alla base di Augusta. Il Ghisena, oltre a possedere documenti e tesserini falsi di tipo “ministeriali”in colore verde azzurrino uguali o similari a quelli di cui sono dotate le Forze di Polizia e i Servizi Segreti confidò, in diverse occasioni a mio Padre di godere di coperture Istituzionali che ne garantivano la latitanza e con la quale era in “affari”. ll Ghisena confidò, inoltre a mio Padre che gli stessi aiuti li aveva da parte dell’A.G. a livello nazionale ed in particolare con alcuni Magistrati che “sistemavano”processi, infatti anche dopo il suo arresto aveva sempre trattamenti particolari che gli permettevano di essere frequentemente trasferito nelle strutture carcerarie da lui richieste. Fatto di assoluta importanza è l’amicizia salda che vedeva molto legati lo stesso Ghisena al LUIGI SAVONA, massone molto noto, operante nel torinese, di origine siciliane, poi indagato per la sua “vicinanza” con l’organizzazione eversiva di estrema destra “ORDINE NUOVO”.

Successivamente il Ghisena venne arrestato e troverà la morte in circostanze rimaste misteriose durante una rivolta di detenuti nel carcere di Fossombrone.

In questo contesto che ho voluto rappresentare brevemente nacquero i problemi giudiziari di mio Padre, che nonostante il suo ruolo principalmente marginale di autista, si rese ugualmente e inevitabilmente complice di reati unitamente al Ghisena e venne arrestato a fine anno 82’ per la partecipazione ad un sequestro di persona e traffico di armi.

Durante questa carcerazione, oltre le pene di cui ebbe condanna, gli fu anche contestata l’appartenenza all’associazione mafiosa della “famiglia” dei Madonia di Caltanissetta, aggravando ulteriormente la sua posizione giudiziaria.

La detenzione fu l’inizio della sua prima morte;

Da quel momento in poi iniziò un vero e proprio calvario, non solo per lui ma per tutti noi familiari, fu l’inizio della fine!

Gli anni di detenzione vennero caratterizzati da frequenti e disperati trasferimenti, quasi sempre in regime di 41 bis. Soprattutto l’ultimo periodo di detenzione trascorso all’Asinara dove non gli venne risparmiato nulla soprattutto in termini di tortura umana.

Dall’essere continuamente sedato, drogato, percosso, azzannato da cani lupo introdotti la notte dentro le celle da personale carcerario e dalle punizioni corporali. Spesso veniva messo in cubicoli completamente al buio per giorni, nudo, senza la possibilità di stare in posizione eretta e non poter riaprire, alla sua uscita, gli occhi per non danneggiarsi la vista. Oltre a tali torture, mio Padre fu anche sottoposto a ben due elettroshock.

Lo so che questo, in un aula del genere e’ quello che mai si vorrebbe sentire e forse neanche si dovrebbe dire, ma è quello che è accaduto e che sentivo fin da piccola gridare nella cucina di casa mia quando mia Nonna in totale strazio e disperazione rientrando da quei luoghi dove l’umanità era stata dimenticata, gridava con lacrime incontenibili agli avvocati per telefono: “mio figlio me lo stanno ammazzando li dentro, dovete farlo trasferire altrove!”.

La moglie, io e mia sorella siamo testimoni di quanto vergognoso sopra scritto, in quanto al suo rientro a casa ha personalmente raccontato di questi accadimenti alla moglie e io e mia sorella, ai fine pasti, origliando come spesso facevamo, in più di un’occasione gli abbiamo sentito sfogare queste meschinerie anche ad amici che lo venivano a trovare.

Vi chiedo per un attimo di mettere tra i vostri pensieri e sentimenti, quella componente umana con cui ho aperto questa audizione, perché esattamente in questo punto troverete tutta la mia sofferenza, il mio dolore e contestualmente la motivazione della mia immensa determinazione che oggi mi fa essere ancora qua a chiedere verità e giustizia per il mio amatissimo Padre, Luigi Ilardo.

Mille volte mi sono chiesta il perché dell’attuazione di questi disumani protocolli se poi, al momento della sua maturata e decisa collaborazione, questo Stato ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, di non averlo saputo o voluto pienamente valutare, gestire e proteggere; sperando di avere un giorno giustizia sulle prove ad oggi prodotte.

Arriviamo all’anno 93’ quando oramai mancano solo pochi mesi alla sua scarcerazione e mio Padre dal carcere, tramite lettera indirizzata al Dott.re De Gennaro, in quel momento capo della Direzione Investigativa Antimafia, gli espone la sua volontà di iniziare a collaborare con la giustizia. De Gennaro invia in un primo momento al penitenziario di Lecce due suoi collaboratori dell’Arma dei CC affidando poi definitivamente, in un secondo momento, la gestione di mio Padre al Col. Riccio, uomo di grande serietà, professionalità, capacità e che per anni fu alle dipendenze del compianto Gen. Dalla Chiesa.

Da quel momento, dal carcere, entrambi iniziano a delineare le strategie di collaborazione concordando, per un’efficacia della stessa, una modalità poco usuale e che vedeva mio Padre come figura di infiltrato negli ambienti di “cosa nostra” per conto dello Stato italiano.

Questa necessità derivava dal fatto che essendo stato rinchiuso per molti anni in galera non sarebbe stato più in grado di fornire informazioni attuali e precise riguardo il nuovo organico mafioso delineatosi nel contempo della sua carcerazione e che avrebbe potuto ottenere solo introducendosi nuovamente negli ambienti mafiosi, una volta libero;

cosa che non gli sarebbe stata difficoltosa in quanto da qualche permesso premio in precedenza fruito aveva certezza che con l’arresto del cugino Piddu Madonia, la “famiglia nissena” aveva bisogno di figure fidate per tutelare gli interessi della stessa sia sul territorio di Caltanissetta ma anche su tutto il territorio siciliano.

Cosi andò e cominciò quella collaborazione che portò in un primo momento all’arresto di una cinquantina di associati mafiosi tra cui 7 capi provincia di massima rilevanza, ricercati da lungo tempo.

E’ importante premettere che sin dall’immediato il Col.lo Riccio trasmetteva copie della sua attività di gestione di mio Padre ai suoi superiori, ai vertici della DIA e alla AG di Palermo, ponendola per iscritto, in un primo momento all’attenzione del Dott.re Caselli il quale, a sua volta, lo indirizzò successivamente a rapportarsi con il Procuratore Pignatone.

Per i primi anni, fino a quando Riccio era alle dipendenze della DIA, si continuarono a “festeggiare” successi concreti per tutte quelle brillanti operazioni di arresti e indagini portati tutte a buon fine. La situazione diventò anomala e parecchio “confusa” quando Riccio, dopo l’andata via di De Gennaro dalla D.I.A., non sentendosi più adeguatamente “tutelato e assistito” dai chi lo sostituì, si vide costretto a rientrare nell’Arma venendo integrato ai ROS alle dipendenze del Gen. le Obinu e del Col.lo Mori.

Prova inconfutabile di tali attriti che determinarono la “fuoriuscita” del Riccio dalla D.I.A. ne è la lettera stilata dal Capo del secondo Reparto Dia, Dott. Pappalardo, in cui rappresentava alle Autorità Giudiziarie palermitane una serie di falsità e lamentele, dove si parlava di “risultati investigati poco apprezzabili e costi di gestione esagerati” da parte del Col.lo Riccio nell’operazione che vedeva coinvolto mio padre tramite la sua collaborazione con lo Stato.

Lo stesso Dott.re Pignatone durante la sua audizione al processo Trattativa Stato Mafia, incalzato dalle domande dei Pubblici Ministeri, confermerà la ricezione della lettera del Dott. Pappalardo non esternando alcun dissenso e rimandando le spiegazioni di tali affermazioni non corrispondenti al vero, visti i risultati prodotti, allo stesso Pappalardo.

Che possa esserci stata una concordanza d’intenti tra la D.I.A e i ROS per indurre un ritorno di Riccio all’Arma dei Carabinieri, emerge da due deposizioni future e concordanti, rilasciate dagli Ispettori della D.I.A. di Catania, Ravidà e Arena che avevano collaborato con Riccio in occasione degli arresti di latitanti mafiosi eseguiti su precise e puntuali indicazioni fornite di mio Padre. I due Ispettori, dopo il ritorno di Riccio ai ROS e dopo i fatti di Mezzojuso, che verranno esplicitati immediatamente dopo, furono convocati dal Dott. Pappalardo che gli intimò di non avere più alcuna frequentazione con il Col. Riccio sebbene i Funzionari della D.I.A. avevano in definizione un’operazione di P.G. sulla famiglia Santapaola di Catania e del mafioso Quattroluni Aurelio del clan etneo, facente capo a Benedetto Santapaola, indagine iniziata sempre da indicazioni fornite da mio padre e che quindi ne rendeva ancora importante i contatti con il Riccio. I due Ispettori diranno mediante deposizione che il Pappalardo gli rispose come motivazioni della sua perentoria, il fatto che Riccio era un criminale, che tra poco sarebbe stato posto in arresto per un traffico di stupefacenti dalla Procura di Genova, che per la gestione di mio padre aveva fruito di enormi risorse di denaro della D.I.A e che non sarebbe mai arrivato alla cattura di Provenzano.

 I due Ispettori in quell’incontro obiettando, spiegarono che non era possibile per loro non avere più alcuna frequentazione con il Riccio in quanto avendo in essere l’operazione suddetta, le notizie che potevano pervenire dall’Ufficiale, per tramite del suo collaboratore, erano essenziali per il prosieguo delle attività investigative e che inoltre, i ROS erano già arrivati al covo di Provenzano ma che questo non venne arrestato per inefficienze operative. Pappalardo, a quel punto ebbe a profferire testualmente “questo, Mori non me lo aveva detto”.

 Quell’operazione di P.G. condotta dai due Ispettori portò, alla sua definizione, lo smantellamento del clan Santapaola con l’arresto di circa 40 affiliati tra cui il loro capo Quattroluni Aurelio.

Arena, verrà anche successivamente convocato a Roma presso la Direzione della D.I.A. dall’allora Direttore Dott. Micalizio, (deceduto) venendo pesantemente “minacciato”, per non aver aderito all’ordine di non avere piu’ contatti con il Riccio, di essere “cacciato” dalla D.I.A..

Uscito dalla Dia e rientrato nell’Arma, i rapporti fin dall’inizio tra Riccio e i Ros vennero caratterizzati da atteggiamenti poco collaborativi e di palese disinteresse da parte dei sui diretti superiori in relazione alle attività e notizie fornite da Ilardo.

A conferma stessa, al Riccio venne chiesto di cedere ad altro Ufficiale o Funzionario il suo infiltrato, cosa che categoricamente rifiuterà. Da quel momento, una serie di eventi avversi e anomali, caratterizzerà i rapporti tra Riccio e i vertici dei Ros, tra queste, l’invito da parte di Mori di non riferire mediante relazione di servizio ogni circostanza appresa all’Autorita’ Giudiziaria palermitana, cosa puntualmente dal Riccio disattesa avendo redatto e consegnato puntualmente numerose relazioni di servizio.

Nonostante gli importanti spunti e abbondante flusso di informazioni che il Riccio continuava a fornire ai Ros e all’AG palermitana, come in una condizione di stallo, tutte le brillanti operazioni concluse positivamente fino a quel momento con La Dia, si fermarono del tutto, generando una serie di insuccessi e fallimenti anche sugli ulteriori arresti e operazioni organizzate e non finalizzate come quello dell’apicale latitante mafioso Salvatore Emanuello. A tal riguardo furono due gli episodi “imbarazzanti”;

Il primo si presentò quando Emanuello chiese a mio padre di fargli acquistare un fuoristrada come quello suo, un Payero, cosa che si premuro’ a fare e che prima di consegnarglielo lo fece avere ai Ros, affinché potessero montare all’interno dispositivi di intercettazione ambientale e di localizzazione gps. Mio padre, riprendendo il mezzo dai Ros,si accorse che bastava aprire il vano motore per vedere un ammasso di fili non “comuni” maldestramente montati e messi in bella vista in piu’ l’auto presentava l’anomalo costante spegnimento poiché quel dilettante lavoro eseguito faceva massa con i dispositivi montati. Mio padre incredulo di tale inefficienza disse al Col. Riccio la frase “ma mi dovete fare ammazzare??” Questo episodio di lavoro mal eseguito accadrà per ben due volte fino a quando mio padre per tutelare la sua incolumità chiese la restituzione del mezzo senza l’apporto di montaggio di nessun dispositivo.

 L’altro “imbarazzante” episodio fu quando Emanuello doveva essere catturato, gli uomini del Ros insieme a mio Padre, rimasero impantanati nel bosco a causa della pioggia e non riorganizzarono più l’arresto.

 Si evidenzierà, da tale continui comportamenti, una serie di gravissime insoddisfacenti, incomprensibili, inerzie investigative auspicabili alla banda Bassotto di Paperino più che dal prestigioso gruppo dei ROS.

 A mio giudizio è palese come sin dal primo momento tali azioni poste in essere dai Ros tendessero a ledere l’esito delle operazioni, sminuire l’impegno e a screditare la figura di mio Padre mettendo in cattiva luce nei confronti della Magistratura l’operato del Riccio e della sua fonte.

Ciò si appaleserà con gli eventi susseguitisi sino alla morte di mio Padre ed oltre.

Mio Padre e Riccio, nonostante le amarezze e le frustrazioni per le evidenti difficoltà di collaborazione con i Ros, continuarono a perseguire il loro obbiettivo finale che era la cattura di Bernardo Provenzano.

Il 28 Ottobre 1995, mio padre telefonò a Riccio facendogli intendere che quell’appuntamento tanto atteso con il capo di “cosa nostra” era stato concordato. L’indomani stesso Riccio notizierà telefonicamente Mori per riferirgli le importanti novità. Nel verificare che questi rimase del tutto indifferente senza nemmeno convocarlo a Roma, Riccio di iniziativa sua, la mattina seguente, lo raggiunse immediatamente presso la sede dei Ros nella capitale. Lunedì 30 Ottobre, confermò di persona a Mori e al Maggiore Obinu che il giorno successivo Ilardo si sarebbe recato in località Mezzojuso per incontrare il Provenzano.

Riccio aggiunse che all’incontro avrebbe partecipato anche Salvatore Ferro personaggio di spicco mafioso molto legato al latitante.

Riccio preso da grande entusiasmo propose immediatamente a Mori di procedere a quel servizio di arresto utilizzando una cintura con rilevatore gps nella sua disponibilità consigliandogli, inoltre, l’impiego del personale della Dia gia’ addestrato e utilizzato in precedenza per gli arresti dei latitanti indicati dell’Ilardo.

Il Col. Mori rifiutò immediatamente la sua proposta rispondendo che avrebbero operato solo i Ros ma che non disponendo del materiale tecnico necessario si sarebbe soltanto effettuato un pedinamento dell’Ilardo e che sarebbe stato sufficiente che Riccio riferisse anche a voce a lui e al Magg.Obinu quanto acquisito informalmente da mio Padre, senza redigere alcuna relazione scritta. In quell’occasione Mori avrebbe ancora una volta ribadito che non era necessario informare l’A.G. e che non era di interesse loro avere le informazioni di carattere politico che fino a quel momento Ilardo aveva riferito.

Ennesima riprova di poca volontà collaborativa e’ anche il fatto che, nonostante l’importanza e la delicatezza delle operazioni che si stavano trattando, Riccio a differenza dei suoi colleghi non fu mai dotato di un telefono cellulare per comunicare con il suo comando, né di auto di servizio, costringendolo ad utilizzare i suoi dispositivi e anticipando sempre di tasca sua il denaro occorrente per ogni missione.

Nelle prime ore del mattino del 31 Ottobre 95, Riccio dopo aver visto mio Padre fu raggiunto dal Cap. Damiano (Ufficiale dei ROS di Caltanissetta incaricato da Mori di seguire la vicenda) e insieme si recarono nei pressi di Mezzojuso, nel luogo dell’appuntamento indicatogli.

Damiano, spiegherà durante la strada al Col. Riccio, come ordinatogli da Mori, l’organizzazione del servizio, le posizioni che avrebbero occupato i militari i quali si sarebbero limitati a svolgere solo un rilievo fotografico senza predisporre nessun altro tipo di intervento.

Come predetto da mio Padre alle ore 8 del mattino gli uomini di Provenzano, Ferro Salvatore e Lorenzo Vaccaro si presenteranno all’appuntamento per essere raggiunti poi da un terzo uomo, Giovanni Napoli, che lo condurrà fisicamente a bordo della propria auto Ford Escort alla masseria dove si nascondeva il latitante. Conferma di tali avvenimenti saranno i 29 scatti fotografici effettuati dagli operatori del Ros, appostati al bivio di Mezzojuso.

Dopo molte ore di attesa, Riccio non avendo nessuna comunicazione dell’Ilardo, fece rientro verso Catania e per strada il Col. disattendendo quanto disposto da Mori precedentemente, si fermerà presso un autogrill per telefonare al Dott. Pignatone e concordando con questi un appuntamento per il giorno seguente per informarlo di quanto stava accadendo.

La stessa sera il Riccio incontrò mio padre che gli confermò l’avvenuto incontro con Provenzano riferendogli;

– i temi discussi e le strategie operative concordate con il latitante;

-le esatte indicazioni per raggiungere l’ovile/rifugio del latitante, partendo dal bivio di Mezzojuso;

-descrisse minuziosamente le fattezze fisiche del Provenzano e dei suoi favoreggiatori, in particolare tale Cono, proprietario di un fuoristrada verde, di Giovanni Napoli che era stato il suo favoreggiatore e accompagnatore, fornendo dello stesso il numero di targa dell’autovettura e il suo numero cellulare.

A pochi giorni di distanza il Cap. Damiano mostrando al Col. Riccio il fascicolo fotografico scattato quella mattina confermerà minuziosamente quanto riferito dall’ Ilardo.

L’Ufficiale Damiano farà presente a Riccio che copia di quel fascicolo fotografico era stato già trasmesso al col. Mori aggiungendo che i suoi militari non avevano seguito dal bivio di Mezzojuso l’autovettura dove salì Ilardo in quanto a loro avviso mancavano le giuste condizioni.

In data 1 Novembre 1995 il Col. Riccio accompagnato dal Cap. Damiano si recheranno alla procura di Palermo per notiziare Il Dott. Pignatone dell’avvenuto incontro tra Ilardo e Provenzano.

Nell’occasione il Pignatone chiese chi avrebbe proceduto all’arresto del Provenzano, Riccio rispose che come da disposizioni ricevute se ne sarebbero occupati i suoi superiori del Ros.

Dopo circa una settimana da tali importanti accadimenti Mori richiamò Riccio lamentando difficoltà nella localizzazione della suddetta masseria, chiedendogli di effettuare un ulteriore sopralluogo.

Riccio nonostante la precisione delle indicazioni date precedentemente per individuare il nascondiglio di Provenzano e le perplessità di quella richiesta, provvederà, nuovamente, insieme a mio Padre a fare un altro sopralluogo.

In quell’occasione fatto anche il secondo sopralluogo in data 08/11/1995 Riccio effettuerà relazioni di servizio dei fatti datate 10 e 11/95.

Nei giorni successivi il Riccio si premura a chiedere novità a Mori e sentirà rispondersi, per la seconda volta, la stessa risposta già avuta, cioè la non individuazione del luogo.

Riccio sempre più amareggiato, confuso e in difficoltà nei confronti di mio Padre si vedrà costretto a chiedere la necessità di un TERZO sopralluogo che avviene in data 16/11/95 (relazione del 17/11/95) dove aggiungerà ulteriori particolari e addirittura trasmetterà coordinate geografiche al Superiore Comando della posizione esatta di dove si trovava il rifugio del Provenzano.

In quei successivi giorni di quelle ultime indicazioni fornite, in un silenzio inspiegabile da parte dei suoi superiori Riccio continuerà a chiedere risvolti senza ricevere nessuna risposta, convincendosi sempre più che quell’atteggiamento fosse strumentale per acquisirsi interamente i meriti della cattura del Provenzano, così come accaduto precedentemente per l’arresto di Riina.

Nei fatti, invece si scoprirà che Mori, Obinu e De Caprio di tutte quelle informazioni ricevute dal Riccio, non predisporranno mai nessuna intercettazione telefonica e ambientale, nessuna sorveglianza della masseria, e meno che mai quell’arresto; che avverrà solamente 11 anni dopo, dei quali sei (6) trascorsi dal Provenzano nella stessa masseria indicata da mio padre e altri cinque in una masseria li accanto, dove poi lo arresterà, forse non a caso, la Polizia di Stato (11/04/ 2006)

A tale conferma della comprensione del luogo e a questo punto della inspiegabilità di non aver proceduto a quell’arresto, avremo la deposizione del Gen. le Obinu al processo “favoreggiamento per la mancata cattura di Provenzano” dove lo stesso dichiarerà (AUDIO) che per diverse volte, (una volta con Riccio, qualche volta da solo e una volta in compagnia del Cap. Damiano) si recò ad osservare la suddetta masseria. Adducendo come motivazioni al mancato intervento che in quel posto vi erano armenti, pecore, cani, luci accese, e due silos di rilevante dimensioni che ne rendevano difficoltosa l’operazione (ROS Reparto Operativo Speciale nella lotta al terrorismo internazionale e alla criminalita’ organizzata…)

Nel contesto di quei giorni si susseguirono altri strani episodi;

Il Riccio venne chiamato da Mori e dal Gen. le Ganzer (Comandante ROS Nazionale) il quale lo informarono che alla Procura, ai CC di Caltanissetta e alla Banca Commerciale di Catania (dove mio padre era correntista) arrivarono delle lettere anonime dove Ilardo era indicato come personaggio di spicco di “cosa nostra” e autore degli omicidi di Carmela Minniti ,moglie di Nitto Santapola (1/9/95) e dell’ Avv. Fama’ (09/11/95). Per queste motivazioni gli stessi Ufficiali consigliarono a Riccio di indurre mio padre a rendersi latitante in quanto a breve sarebbe stato arrestato.

Nella stessa occasione ancora una volta lo stesso Mori invitava il Riccio a spingere mio padre a coinvolgere l’AG di Caltanissetta, piuttosto che quella palermitana in quanto essendo appartenente alla famiglia mafiosa di quella provincia era doveroso interessare il Dott. Tinebra.

 

Il Colonnello incredulo per quel suggerimento di induzione alla latitanza, che non era per nulla in linea con l’attività di infiltrato di Ilardo e in piena fiducia di innocenza nei confronti di mio padre, ebbe un duro scontro con i suoi superiori esternando la certezza di estraneità ai fatti da parte di Luigi Ilardo.

Contestualmente in un clima surreale il Mori continua a pressare il Riccio di far avere un secondo incontro tra l’Ilardo e il Provenzano, per procedere all’arresto del latitante, circostanza e richiesta non comprensibile da Riccio e mio Padre, in quanto da come confermeranno sopra i vari ufficiali in sede di udienze, avevano oramai indicazioni e certezze assolute di dove si nascondesse il latitante ed eventualmente poter procedere in maniera indipendente alla cattura dello stesso, senza coinvolgere e compromettere ulteriormente l’incolumità dell’Ilardo.

Alla luce di questi ennesimi fatti non comprensibili e di quell’arresto mai avvenuto, mio Padre decise di “mutare” il suo stato, rivolgendosi in maniera esclusiva alla A.G. affinché potesse entrare in un programma di protezione.

Per questo motivo in data 2 Maggio 1996, si recò a Roma presso la sede dei Ros dove in accordo con il Col. Riccio trovò ad attenderlo Il Dott. Caselli, Procuratore di Palermo ( mio padre espresse da sempre la volontà di collaborare esclusivamente con lui e non con altri) Il Dott.re Tinebra ( voluto fortemente dal Col. Mori) e la Dott.sa Principato della DDA di Palermo. In attesa di entrare nella stanza con i magistrati il Col. Riccio e mio padre si trovavano in una stanzetta adiacente quando videro passare dal corridoio Il Col. Mario Mori che venne chiamato dal Riccio per presentargli l’Ilardo, quest’ultimo in maniera molto decisa affrontò il Col. Mori dicendogli testuali parole “Molti attentati che sono stati addebitati esclusivamente a Cosa Nostra sono stati commissionati da voi, e voi lo sapete bene…” Mori irrigidendosi si voltò di scatto e andò via senza profferire una sola parola e rendendosi irreperibile per tutto il giorno, nonostante le circostanze e il suo ruolo imponessero di presenziare a quell’incontro.

Riccio rimasto anche lui di stucco di fronte un affermazione così forte senza mezzi termini espressa da mio Padre a Mori, da quel momento in poi decreterà quella frase pronunciata dalla sua fonte come la sua vera condanna a morte.

Durante quell’incontro durato circa 4 ore, mio padre, posizionando la sedia verso il Dott. Caselli parlando esclusivamente con lui come se fosse l’unico interlocutore presente, tipo fiume, stese gli inizi del target della sua collaborazione: raccontando l’incontro avvenuto con il Provenzano e continuando a parlare, per la prima volta, di tutti quegli omicidi e quelle stragi mai totalmente chiarite, avvenute per mano mafiosa ma che hanno sempre avuto l’ombra di compartecipazione e volontà di soggetti non appartenenti a Cosa Nostra ma da ambienti Istituzionali deviati,

 in particolare accennò:

gli omicidi di Claudio Domino; degli Agenti Piazza e Agostino e della moglie Castelluccio Ida; di Pio La Torre; di Giuseppe Insalaco e quello di Piersanti Mattarella; nonché, del fallito attentato all’Addaura e tutti quegli elementi utili per dare una corretta chiave di lettura in ordine alle stragi accadute nel paese a partire dagli anni 70 in poi, compreso quelle del 1992 dove trovarono la morte il Giudice Falcone e Borsellino. A tal proposito disse che avendo conosciuto e avuto a che fare con il Rampulla molti anni prima, sarebbe stato in grado di confermare la sua reale partecipazione come artificiere degli ordigni esplosi durante le stragi di Capaci e Via D’Amelio perché ne conosceva il modo di “lavorare”; che era riferito alla scelta del il tipo di materiale utilizzato e il modo di confezionamento degli ordigni.

Questi sarebbero stati i fatti principali della dirompente collaborazione che mio padre avrebbe potuto svelare.

Fu in quella stessa occasione riferendosi all’omicidio del piccolo Claudio Domino che per la prima volta in assoluto qualcuno, Ilardo, parlò dell’esistenza di un personaggio, oggi meglio conosciuto come “Faccia di Mostro”, successivamente identificato in Giovanni Aiello, ex poliziotto e contiguo ai Servizi Segreti.

Il Dott.re Tinebra che a detta di Riccio seguiva alquanto contrariato e poco interessato l’incontro e che anche la stessa Dott.sa Principato in successive sedi di esami confermerà come il Procuratore lascerà più volte la stanza, per poi definitivamente chiedere la conclusione dei lavori alzandosi bruscamente e rimandando il proseguo dell’interrogatorio a distanza di una decina di giorni.

Finito l’incontro il Dott. Caselli si premurò di chiedere a Riccio che iniziasse un lavoro di registrazione con l’Ilardo in modo di anticipare i temi che successivamente si sarebbero trattati, a pochi metri di distanza invece il Gen. le Subranni, in compagnia del Dott.re Tinebra, fermandolo, invitarono il Riccio a non effettuare alcuna registrazione in quanto queste sarebbero state inutili perché non avrebbero potuto avere nessuna valenza probatoria.

Riccio nel riferire ad Ilardo quest’ennesima “strana” e discordante richiesta, si vide rispondere da mio Padre che nelle future verbalizzazioni alla AG di Palermo, per comprovarne l’operato “anomalo” avrebbe riferito anche fatti riguardanti il Gen. Subranni.

Il 2 Maggio sera Ilardo rientrera’ a Catania senza nessuna protezione disposta.

Grave omissione è la circostanza che vede una dichiarazioni d’intenti di mio padre, durata 4 ore, senza effettuare alcuna registrazione della sua presenza nella sede romana dei ROS o verbalizzazione di quanto dichiarato , sebbene fossero presenti 2 Procuratori della Repubblica, un PM della D.D.A di Palermo (l’unica a prendere appunti che poi, dichiarerà aver perso durante un trasloco) e un’Ufficiale dei CC.

In data 7 maggio 96 il Riccio incontrerà nuovamente l’Ilardo per iniziare le registrazioni suggerite da Caselli, una di queste si svolgerà durante un viaggio in cui mio padre andò ad Ardore (R.C.) per incontrarsi con certo Avv.to Minniti, suo amico nonché esponente di Forza Italia, il quale lo informò che la Criminalpol di Catania aveva in corso un’indagine sopra di lui. (omicidio Minniti e Famà)

Giorno 10 maggio, Riccio incontrerà per l’ultima volta mio padre e nel salutarlo concordarono il successivo appuntamento in data 14 Maggio per affrontare il nuovo interrogatorio già in veste ufficiale di collaboratore di giustizia, in quanto la mattina stessa si sarebbe attuato il trasferimento in sito protetto. Riccio lasciato Ilardo raggiunse l’aeroporto di Catania dove si incontrò con il Cap. Damiano ed insieme a questi si fermò in un bar per mangiare qualcosa, in quell’occasione, diffidando oramai di tutti, Riccio registrò il Cap. Damiano (nastri depositati alla AG) il quale gli disse che dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta era trapelata all’esterno la notizia che LUIGI ILARDO avesse intrapreso una collaborazione con la giustizia individuando le responsabilità della fuga di notizia nelle figure del Dott.Tinebra e il suo vice Dott.re Giordano.

Appresa quella notizia, dalla stessa utenza del Damiano il Riccio chiamerà immediatamente i suoi superiori Mori e Obinu lamentandosi del comportamento dei due Magistrati che puntualmente non mostrarono nessuna preoccupazione esternando assoluto disinteresse per l’incolumità dell’Ilardo. Riccio adirato da tale atteggiamento fece presente che nel successivo incontro del 14 Maggio avrebbe riferito tale grave circostanza in presenza dell’AG.

Preoccupato di quanto appreso, Riccio iniziò a chiamare con insistenza alla utenza mobile di mio padre che risultava non raggiungibile, chiamò, quindi in campagna nella nostra casa di Lentini (CT) dove gli era stato risposto da mio Nonno che mio Padre era già andato via verso casa e il Riccio seppur non sereno, sapendo che mancavano solo 4 giorni alla tutela ufficiale di mio Padre, si imbarcò sul volo CT/GE per fare rientro a casa.

Riccio apprestandosi ad entrare nel suo appartamento troverà la moglie in lacrime con il televideo acceso che riportava la notizia della morte di mio Padre. Nessuno dei suoi superiori aveva alzato il sol telefono per avvisarlo di quanto già gli organi di stampa stavano divulgando.

Riccio dichiarerà testualmente:

“L’indomani mattina mi presentai al comando dei Ros (Roma) dove un Subranni irridente, quasi scherzando sull’accaduto, mi disse “ti hanno ammazzato il confidente!” Mori invece, più preoccupato nell’affrontarmi convenne che l’omicidio di Ilardo era avvenuto per impedirne la collaborazione. Riportai nella mia agenda -la storia si ripete- in quanto era già accaduto un fatto analogo nel corso di un’operazione denominata PINACOLADA a Milano sotto la direzione degli stessi Mori e Subranni”

Il Col. Riccio nello specifico si riferiva al nome di un suo infiltrato apparso sul” Giorno di Milano” dove si faceva nome e cognome di una sua segreta fonte, appellandola “Gola Profonda”, mettendo così in grave pericolo la sua vita; questo accadeva nel momento in cui quell’indagine non era più in linea con gli “interessi” dei suoi superiori.

Il 10 Maggio 1996 alle ore 20.45 una sera di apparente serenità dove mio padre si accingeva ad andare a mangiare una pizza con la propria moglie, divenne il giorno più buio della vita mia e dei miei fratelli.

La moglie, io e mia sorella e  sentito “l’inferno” di quegli spari corremmo sotto casa a prendere tra le braccia il corpo inerme di nostro padre, tentando di strapparlo invano alla morte sporcandoci i vestiti e l’anima per sempre del suo sangue; mentre due bambini di 9 mesi da quel giorno cresceranno senza alcun ricordo di chi li ha messi al mondo ma con un” marchio” a fuoco che ne ha irrimediabilmente distrutto il loro futuro.

           

          LA VERITA’ DOPO LA MORTE

Quello che di seguito verrà riportato, sarà caratterizzato da una serie infinita di eventi relativi a ritardi, omissioni, vergogne pseudo Istituzionali, mai da nessuno perseguite, che danno l’assoluta certezza che vi sia stata una vera e propria volontà di non accertare le vere cause e le vere responsabilità diverse da quelle mafiose, che hanno determinato la morte di mio Padre.

Nell’immediato post-mortem di mio Padre, Riccio amareggiato e deluso, decise di scrivere per iscritto tutte le confidenze e rivelazioni avute da mio Padre per assicurare l’ala mafiosa alla giustizia e quelle inaccettabili e incomprensibili nefandezze sopra accennate denunciando alle autorità, nonostante dei suoi superiori si trattasse, le “anomalie” e le inefficienze che caratterizzarono la gestione e la morte di Luigi Ilardo.

Dall’11 Maggio 96 in poi Riccio iniziò la stesura del Rapporto Grande Oriente. Tale lavoro come già precedentemente accaduto fin da principio venne fortemente contrastato dalle pressioni ricevute dai suoi superiori dei Ros dove ancora una volta gli intimavano di omettere nei contenuti i contatti politici di Ilardo e l’incontro avuto con Provenzano.

A suo rifiuto e non obbedienza a tale richiesta inizierà il vero e proprio suo calvario personale e giudiziario.

Tali episodi per una corretta comprensione andrebbero letteralmente sviscerati con i dovuti tempi adeguati, oggi materialmente non possibili in questa audizione; pertanto, mi limiterò a riportarne solo gli episodi più gravi.

Contestualmente invito questa commissione a convocare il Col. Riccio che avrà modo con dati incontrovertibili e riscontri documentali di confermare quanto sin d’ ora detto e di esporre la sua vera e propria persecuzione, avuta sol perché ha raccontato la verità su quella “zona grigia” di sistema marcio e colluso che offende e penalizza tutti i cittadini di questa Repubblica e quella parte di Stato ed Istituzioni oneste.

Nel Luglio 1996, Riccio deposita l’informativa Grande Oriente nelle Procure di Caltanissetta, Palermo, Catania, Messina e Genova; da li in poi, come già detto, iniziarono una serie di altrettanto anomali eventi tendenti a screditare e calunniare lo stesso Riccio tant’è che verrà accusato e successivamente arrestato, per un traffico di stupefacenti inerente una operazione di PG condotta con i suoi uomini che portarono all’arresto di numerosi soggetti, operazione per cui invece, la DEA americana, lo premierà con riconoscimento ufficiale. L’Arresto, stranamente, avviene dopo che Riccio si era incontrato con il Dott. Marino (DDA CT), a cui aveva intenzione di consegnare le sue tre agende relative a tutto quello che era accaduto e dove vi erano gli appunti con i nomi di personaggi politici e Istituzionali collusi come riferitogli da mio Padre.

Anomalo di quell’avvenuto arresto è che le circostanze investigative adottate dal Riccio per cui venne “fermato”, erano ben conosciute dai suoi superiori (sempre Mori) e per tanto implicitamente autorizzate che, invece, a differenza del Riccio non si vedranno mai contestare nulla.

Anomalo è il fatto che non si considerò che si stava procedendo verso un pluridecorato Ufficiale di P.G., che non stava scappando e che non poteva inquinare le prove sui fatti contestatogli che risalivano ad episodi di molti anni prima, assolutamente diversi dai fatti “siciliani” sin ora raccontati;

Anomalo è che durante tutto il decorso del procedimento sopra menzionato gli vengano continuamente richieste, con insistenza inusuale, anche in udienza, le sue agende di servizio “agende siciliane 93/94” che esclusivamente trattavano il rapporto giornaliero intrattenuto da Riccio con mio Padre e che ovviamente nulla avevano a che vedere con il procedimento in essere.

Anomalo e gravissimo è che tale richiesta sia stata addirittura parte integrante di un verbale, redatto innanzi ai Giudici di Genova, che disposero l’arresto del Riccio, e che avrebbero consentito la concessione degli arresti domiciliari solo dietro consegna delle “agende” succitate.

Anomalo è che in effetti Riccio, per ottenere quel beneficio degli arresti domiciliari, dovette tramite il suo legale fornire una delle agende “siciliane” che aveva depositato preventivamente, dopo la morte di mio padre, presso un notaio di sua fiducia.

Che l’attenzione degli inquirenti fosse diretta alle acquisizioni di quelle agende, emerge anche da un’altra circostanza che vede i Carabinieri dei Ros (gli stessi che procedettero arresto del Riccio) voler effettuare, nell’immediatezza del fermo dello stesso, una perquisizione a casa dell’ispettore Arena della DIA catanese, nella supposta convinzione che Riccio avesse affidato all’ Arena le sue agende per nasconderle sol perché era andato a prenderlo nella mattinata in aeroporto.

La detta perquisizione non fu poi effettuata per l’intervento del Dott. Marino PM della DDA di CT e del Cap. Fruttini capo dei ROS di Catania in quanto sapevano perfettamente che l’Ispettore Arena nulla mai aveva avuto che fare con i fatti “genovesi” che venivano palesati come motivazione.

 

 

DOPO LA MORTE DI ILARDO A CATANIA

Di fatto dal 10 Maggio 96 in poi sebbene la Dia, i Ros, la Procura di Caltanissetta, Catania e Palermo sapevano il ruolo ben preciso svolto da Ilardo nella sua attività di infiltrato, non furono mai delegate indagini su la ricerca di un possibile movente in relazione all’effettivo ruolo svolto da mio padre.

Dato certo rimane che non furono acquisiti elementi per individuare responsabilità oggettive nonostante che nel 2001 il Sost. Comm. della Dia, Mario Ravida’ acquisì una precisa notizia confidenziale dal mafioso Eugenio Sturiale, (all’epoca ancora non ufficiale collaboratore di giustizia) nel quale indicava di aver assistito all’omicidio e aver individuato gli autori in un gruppo di fuoco facente capo a Maurizio Zuccaro.

Il Ravida’ immediatamente provvederà a fare relazione di servizio che consegnerà al suo Dirigente dell’epoca Dott.ssa Monterosso, cugina dello stesso Dott.re Pappalardo che come detto sopra screditò l’operato del Riccio e di mio Padre, la quale non disporrà nessuna immediata attività di indagine. Soltanto dopo nove mesi circa a seguito le insistenze di avviare un indagine da parte del Ravida’, la sua relazione viene protocollata alla Dia e con lettera di accompagnamento inviata alla Procura di Catania, la quale neanche questa rilascio’ doverosa delega per iniziare un attivita’ investigativa, sebbene la relazione fosse corredata dai nomi e cognomi, dei soggetti individuati dallo Sturiale nonche’ i mezzi usati per commettere l’omicidio di mio padre. Avrei tanto curiosità di sapere quale Magistrato ricevette in Procura a Catania la relazione del Ravidà, perché non dispose alcuna doverosa indagine sull’omicidio di mio Padre e che incarichi ha avuto successivamente.

La sottoscritta lo sa informalmente, come ritengo che lo sappiano ufficialmente chi sta indagando sui veri mandanti dell’omicidio di mio Padre, ma spero che siate voi ulteriormente ad accertarvene.

Soltanto dopo il pentimento ufficiale dello Sturiale, avvenuto nel 2010 venne rivalutato e ripresa quella relazione fatta dal Ravida’ 9 anni prima, ciò, insieme ad altri elementi, permise al PM Dott. Pacifico di rinviare a giudizio gli autori e i mandanti dell’omicidio di mio padre che con sentenza di cassazione dell’1 Ottobre 2020 vedranno condannati all’ergastolo; Giuseppe Madonia (cugino di mio padre) Maurizio Zuccaro, Benedetto Cocimano, Santapaola Enzo e La Causa Santo oggi collaboratore di Giustizia.

Quello che emergerà da questo processo durante la sede d’esame è che l’omicidio sia stato compiuto per mani mafiose, ma che lo stesso sarà determinato dal fatto che nell’ambiente di “cosa nostra” girava con insistenza la voce riguardo la sua “infiltrazione” e che nonostante la matrice mafiosa ci siano sufficienti elementi per poter pensare ad un “fuga di notizie” dalla Procura di Caltanissetta e a possibili responsabilità da parte di soggetti non appartenenti a “cosa nostra”.

Il Collaboratore Antonino Giuffré dichiarerà, durante il suo esame, che il Provenzano gli disse (periodo dopo l’incontro di Mezzojuso) che aveva saputo da fonti all’interno della Procura di Caltanissetta della fattiva collaborazione di mio Padre, circostanza che trova conferma nella registrazione fatta a sua insaputa dal Col. Riccio al Cap.no Damiano il 10/05/96.

Aggiunse inoltre che aveva certezza assoluta che il Giuseppe Madonia, aveva “agganci” all’interno della stessa Procura nissena.

Altra verità importante emergerà dalle dinamiche anomale e dell’improvvisa accelerazione dell’omicidio stesso.

Sarà Giovanni Brusca a raccontare durante il processo, che inizialmente di quell’omicidio, per “gerarchia” e appartenenza di mio padre a una delle famiglie mafiose più importanti e potenti, doveva occuparsene dopo benestare della commissione regionale di “cosa nostra”, lui stesso, previo esplicito “via libera” del Provenzano, cosa che nonostante lo stesso Brusca gli avesse chiesto tramite lettera , ne riceverà risposta di stupore e non confermativa tramite “pizzino” scritto posticipatamente al 10 Maggio (data dell’omicidio di mio padre) che verra’ ritrovato nel suo appartamento durante l’arresto, 21 maggio 96.

Atteggiamento che collima perfettamente con le dichiarazioni rese nel 2002 dal Giuffré quando diventerà collaboratore di giustizia , che spiegherà che lo stesso Provenzano aveva saputo da fonti sue all’interno della Procura di Caltanissetta che Ilardo stava collaborando con la giustizia ma che questa notizia andava tenuta ASSOLUTAMENTE segreta all’interno di “cosa nostra”. Particolare inquietante sarà che prima della morte di Ilardo, chiederà al Giuffrè di trovare un posto non lontano dalla masseria, ben nascosto, dove invitare Ilardo per poterlo sopprimere durante il secondo appuntamento, appuntamento a cui stranamente e immotivatamente Mori “spingeva” in modo “particolare”, tramite richieste insistenti al Riccio.

L’avvenuto omicidio di mio padre invece, sorprendera’ ed anticipera’ quel progetto in quanto Maurizio Zuccaro con la sua squadra e senza avere avuto la preventiva autorizzazione del Provenzano e da nessun’altro all’interno “cosa nostra” (che invece ancora ne stava organizzando con il Giuffré e la compartecipazione di tali fratelli Michele, Franco e Placido Pravata’ il delitto) eseguira’ il delitto di mio Padre scavalcando così, all’insaputa di tutti, la decisione omicidiaria.

Sempre il Brusca confermerà questa circostanza in quanto spiegherà che il Giuffré a differenza di tutti gli altri affiliati, compreso lui, era l’uomo più vicino, intimo e fidato di Provenzano.

Inoltre Brusca ci dirà che l’ordine di “chiudere la bocca ad Ilardo” sia provenuto dal carcere da Piddu Madonia, che avrebbe chiesto alla famiglia di Santapaola di occuparsi del delitto, delitto che spettava commettere ad Aurelio Quattroluni (ancora libero) in quanto all’epoca responsabile “ufficiale” della famiglia mafiosa catanese. Cosa che invece non accadrà e che vedrà il Quattroluni scagionato da tali accuse.

Vi prego di prestare attenzione a questo passaggio perché anche qui si evidenzia un “corto circuito” e per farvelo comprendere ho necessità di soffermarmi sul subentro e sulla figura “particolare” di Maurizio Zuccaro;

Maurizio Zuccaro da indagini documentate (operazione Arcangelo -Dia CT-) e audizioni di Ufficiali PG che lo “attenzionavano”, risultera’ alle forze dell’ordine personaggio molto ambiguo in quanto con insistenza nell’ambiente di “cosa nostra” circolava la voce che fosse “confidente,vicino ai CC”, notizia confermata dalle continue lamentale del figlio che intercettato in ambientale, in un momento di ira, dira’: “il prossimo che dice che mio padre è sbirro ci scippu a testa!” (tradotto in Italiano gli stacco la testa-lo ammazzo-)

Ulteriori conferma di queste voci saranno le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e anche un episodio raccontato dall’Eugenio Sturiale relativamente ad una lite sfociata alle mani, in centro Piazza San Cristoforo a Catania dove Salvatore Platania, cognato dello Zuccaro Maurizio, detto “u Salaru”, darà uno schiaffone ad Angelo Santapaola in quel momento reggente delle “famiglia” mafiosa, poiché si era permesso di mettere in giro la voce che lo Zuccaro fosse “sbirro”. Che Zuccaro avesse contatti “particolari” con i Carabinieri a cui faceva da confidente, ci viene confermato esplicitamente durante un’altra deposizione del collaboratore di giustizia Pietro Riggio.

Altra circostanza oggettiva che rafforza questa tesi è il fatto che lo Zuccaro essendo condannato in via definitiva per altri reati alla pena dell’ergastolo, spesso si trovava a casa in regime di arresti domiciliari, (anche in data 10 maggio 96 giorno dell’omicidio di mio padre) adducendo motivi di salute che poi verranno accertati falsi in quanto lo stesso si procurava forse dei salassi. Sorge spontanea la domanda di sapere chi in galera valutava il suo stato di salute e quale Magistrato concedeva quei “permessi” nonostante la sua pesante condanna, anziché sottoporre lo Zuccaro a visite mediche e a predisporre le dovute cure in regime ospedaliero detentivo.

Quello che voglio sottolineare inoltre e’ che può essere chiaro solo a chi bene conosce le dinamiche dell’ambiente di “cosa nostra” è che lo Zuccaro a fronte di questi nomi eccellenti di capi indiscussi della cupola, era un soggetto che mai avrebbe potuto compiere un omicidio di tale spessore, essendo addirittura sconosciuto a Brusca e Giuffrè come da loro stessi dichiarato e che proprio per questo rimarrà incomprensibile, oltre la sua figura non gerarchicamente corretta, la tempistica di un omicidio organizzato in fretta e furia con immediata accelerazione senza ricevere i dovuti permessi da parte dei capi indiscussi.

Immaginate un po’ tra i nomi piu’ importanti del Gotha di cosa nostra, Provenzano, Giuffre’, Brusca, e Madonia sopraggiunge un “signor nessuno” come Maurizio Zuccaro che superando le più alte gerarchie della cupola mafiosa, senza alcuna preventiva autorizzazione, si permette di eseguire l’omicidio del Capo Provinciale di Caltanissetta.

In questo quadro possiamo fare ulteriore collegamento a quanto rappresentato da un nuovo collaboratore di giustizia che ha depositato le sue conoscenze in ben 12 procure e che ultimamente ha testimoniato al processo trattativa Stato mafia, il già citato Pietro Riggio.

Il Riggio che ancora oggi, nonostante che le sue dichiarazioni siano al vaglio degli inquirenti, ma che non sono mai state contrariamente reputate “inattendibili”, ci dirà con molta crudezza che l’ordine di fare ammazzare mio padre provenì dal Col.lo Mori incaricando di “occuparsene” di evadere l’ordine, un Capitano dei CC in servizio alla caserma principale di Piazza Giovanni Verga a Catania, Caserma peraltro che torna spesso nella vicenda dell’omicidio Ilardo.

 A tal proposito, mi auguro che siano stati fatti i dovuti accertamenti e riscontri per verificare se nel periodo dell’omicidio di mio padre era in servizio o era stato in servizio in Piazza Giovanni Verga, comando dei CC, un Capitano molto vicino al Col. Mario Mori e che, possibilmente, possa avere avuto come confidente Maurizio Zuccaro per commissionarne l’omicidio.

 Sarebbe importante anche accertare quanti Capitani dei CC che erano stati in servizio a Piazza G. Verga, siano poi stati assegnati ai SS, come quasi tutti coloro che erano stati “molto vicini “ al Col. Mori.

Chiedo, inoltre, a questa Commissione di poter convocare il PM Dott.re Pacifico il quale come già da lui denunciato diverse volte pubblicamente, parlerà delle difficoltà avute nello svolgere le indagini a lui delegate e nell’istruire il processo riguardo la morte di mio padre, denunciando la scomparsa di materiale dai fascicoli, pressioni e presenze di soggetti, verosimilmente appartenente ai SS anche durante lo svolgersi del processo presso l’aula Serafino Fama’ del tribunale di Catania.

Comprendendo che per molti l’avallo di questa mie dichiarazioni e allusioni possa essere “fantasiosa” chiedo, pertanto a questa commissione, a dimostrazione che purtroppo non lo sia, di convocare per audirlo e nell’attesa di leggere con MOLTA attenzione il lavoro richiesto dalla Procura di Palermo al Col.lo CC, già appartenente ai SS, Massimo Giraudo, che delinea dettagliatamente e documentalmente la genesi, a partire dagli anni 70, della figura professionale e comportamentale del Col.lo Mario Mori da quando questi, in giovanissima eta’ faceva già parte dei SS del SID e “frequentava” gli ambienti di estrema destra eversiva, golpista “rosa dei venti”.

Vorrei inoltre ricordare che lo stesso Mori verrà nominato capo dei SS dal governo Berlusconi, soggetto ancora oggi indagato alla Procura di Firenze per le stragi del 92/93 e che finanziò nel suddetto periodo “cosa nostra”.

 

I leciti dubbi da me sollevati riguardo questi soggetti che erano al vertice dei Ros dell’epoca dell’omicidio di mio padre, non sono follie mentalizzate ma pensieri derivati dagli approfonditi studi che ho condotto in ben 25 anni, sugli stessi, e che purtroppo li vedono sempre al centro di vicende incomprensibili di logica giudiziaria e imbarazzanti eventi che ha vissuto questa Repubblica e ad oggi mai totalmente chiarite. Mancata cattura di Provenzano, messa in fuga (prima) a Terme Vigliatore e successivo arresto di Nitto Santapaola, mancata perquisizione del covo di Riina e tantissime altre vicende meno conosciute ma di simile analogia.

Un’altra anomalia di questo “modus operandi” che non capirò mai ad esempio, è la circostanza di come due alti ufficiali del calibro di De Donno e di Mario Mori possano fondare una agenzia di investigazione e sicurezza privata denominata G-Risk, ingaggiando a tempo indeterminato, un Valerio Morucci, ex brigatista, coinvolto a pieno titolo nel sequestro dell’ On. Aldo Moro per cui ha ricevuto tre ergastoli ed uscito dal carcere solo per una sua dissociazione alle BR.

Questo profilo comportamentale che fonde il sacro dal profano, il lecito dall’illecito, potrebbe trovare continuità nella volontà assoluta di fermare mio padre prima che potesse verbalizzare tutte quelle informazioni in suo possesso su questo modo d’agire che vede personaggi ambigui, istituzionalmente deviati e che spesso ha usato il terrorismo e cosa nostra come braccio sporco delle loro malefatte solo per indirizzare il popolo, il paese verso determinati poteri politici.

Ricordo a questa Commissione quando si parla di accelerazione dell’omicidio Ilardo, che mancavano solo 4 giorni della sua “entrata” ufficiale nel programma di protezione e tecnicamente, almeno, quella data doveva essere conosciuta davvero da pochissime persone, i Magistrati, i Ros, Riccio e mio Padre.

 

 

                     LA PROCURA DI PALERMO

Come si è avuto modo di esplicitare sopra, la Procura di Palermo ha avuto un ruolo principale sulle vicende che hanno riguardato la collaborazione di mio padre con lo Stato. E’ emerso chiaramente come il Col. Riccio, sin da subito, si sia rapportato personalmente e tramite relazioni di Servizio con la Procura palermitana nelle figure del Procuratore Dott.re Caselli, Il Dott.re Pignatone e la Dott.sa Teresa Principato.

 Era evidente come Riccio diffidando dell’operato incomprensibile e dalle richieste illecite dei suoi superiori che, più volte, lo avevano invitato a non rivolgersi alle AG continuasse invece a farlo cercando garanzie e tutele da loro. Garanzie e tutele che purtroppo non sono mai arrivate.

La prima, fu quando Riccio notiziò il Dott. Pignatone del luogo dove si nascondesse Provenzano e di fatto nulla fece per “obbligare” i Ros a procedere a quell’arresto, permettendo così che il latitante rimanesse indisturbato in quel luogo per ulteriori sei anni e per altri cinque nelle adiacenze.

La seconda, da parte della Dott.sa Principato che nonostante il flusso di importantissime informazioni dettagliate che Riccio relazionava nell’immediatezza, non fece avviare e ne dispose alcuna attività investigativa in relazione alle utenze telefoniche e numeri di targa dei soggetti che favorivano la latitanza del Provenzano, in particolare del Giovanni Napoli.

Tali indagini cominceranno soltanto anni dopo il deposito del rapporto Grande Oriente, indagini che peraltro risulteranno maldestramente condotte a tal punto che la Dott.sa Principato, come da lei affermato in udienza al processo Trattativa Stato Mafia, prima neghera’ e poi riconoscerà nel verbale la sua firma per la restituzione di dispositivi tecnici e 3 telefoni cellulari sequestrati al Giovanni Napoli, strumenti utilizzati per tutelare la latitanza del Provenzano, e restituiti solo un paio di giorni dopo alla moglie, senza disporre alcuna perizia, nonostante si sapesse che fosse il braccio destro, nonche’ il tesoriere del Provenzano.

Questo atteggiamento di incomprensibile inerzia investigativa viene suggellato ancora una volta in occasione di quel 2 Maggio, in quanto nessuno dei 3 magistrati presenti alle dichiarazioni di intenti durate ben 4 ore si premunì ad effettuare nessun tipo di doverose verbalizzazione o registrazioni. Solo la Dott.ssa Principato quando verra’ ascoltata in sede d’esame riguardo le vicende di mio padre, tra uno stuolo infinito di “non ricordo, sono passati molti anni” dira’ di aver preso appunti nella sua agenda che perdera’ in futuro durante un trasloco.

Normale circostanza potrebbe apparire, se non fosse che quel Magistrato all’epoca dei fatti era il titolare d’indagine riguardo la ricerca del latitante n 1 in Italia e si presume vista la delicatezza delle dichiarazioni riguardante lo stesso, che stava rappresentando mio padre, l’attenzione a riguardo doveva essere ai massimi livelli, sia durante l’ascolto e soprattutto in un momento successivo con la disposizione di avviare immediatamente indagini e azioni operative. Cosa che invece non avvenne mai.

Differentemente non possiamo dire altro nemmeno da parte del Dott.re Caselli e del Dott.Tinebra.

Pensate un pò l’elite della Magistratura e della DDA che si trovano davanti un uomo che gli dice di aver visto ed essere stato a colloquio con l’uomo più ricercato del paese da ben 43 anni e non fanno esattamente NULLA!

Ad oggi, nessuna Procura della Repubblica che si è occupata della vicenda di mio Padre, ha ritenuto mai di ascoltarmi, sebbene pubblicamente io abbia più volte fatto esplicito riferimento a fatti da me conosciuti che potevano fornire ulteriori elementi, arricchendo quel fascicolo Processuale tutt’ora aperto alla Procura di Catania in ordine ad eventuali connessioni Istituzionali del delitto di mio Padre.

Aggiungo anche mio padre parlò di elementi importantissimi riguardo la Strage di Pizzolungo, dove attentarono alla vita del Magistrato Dott.re Carlo Palermo (indagava anche lui su rapporti di collusione istituzionale a cosa nostra) e persero la vita gli innocenti Barbara Rizzo e i suoi due gemellini di sei anni. Lo stesso Dott.re Palermo non fu mai nel corso degli anni notiziato da nessuna Procura di quelle informazioni rese, ma ne venne a sapere l’esistenza, indignato, solo anni dopo grazie alle divulgazioni mediatiche.

 

 

                   

                          CONCLUSIONI

Dopo avervi rappresentato quanto sopra scritto, in maniera anche abbastanza succinta, chiedo a questa Commissione, che per me rappresenta in questo momento lo Stato, alla luce di quanto esposto se è mai possibile che, in larga parte, tutti questi importanti personaggi e rappresentanti dello Stato, anziché essere indagati per rispondere delle loro palesi omissioni, ritardi, inerzie investigative e altre gravissime mancanze, non solo non siano mai stati demansionati ma bensì abbaino goduto di continue promozioni a ruoli di vertici istituzionali.

Luigi Ilardo non era un “classico” mafioso associato che collaborando con la giustizia avrebbe svelato soltanto fatti criminali dell’organizzazioni stragiste mafiose.

Luigi Ilardo era quel personaggio che avrebbe permesso se gli fosse stato consentito, di svelare quelle zone d’ombra che da sempre hanno reso buia la nostra Repubblica, perchè era a conoscenza di tutti quegli eventi e soggetti che collegavano gli ambienti mafiosi e criminali alle istituzioni colluse e deviate, alla politica, alla massoneria, all’eversione di destra e ai servizi segreti

Queste sono le reali motivazioni del perché ci fu l’accelerazione del suo omicidio in quanto mio Padre era una “bomba” ad orologeria che doveva essere immediatamente disinnescata, in questo paese chiunque ha toccato i “fili dell’alta tensione” muore.

O come dice ragionevolmente, il Col. Riccio :

 “Una variante del sistema quando non può essere gestita, viene eliminata”!

 

Luana Ilardo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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