“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene” è stato uno dei più importanti moniti di Paolo Borsellino. Parlare della mafia, fare nomi, cognomi, atti e fatti. Rita Atria scrisse che “prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi”. Quei modi “sbagliati” fatti di omertà, connivenze, silenzi, accettazione e assuefazione sono linfa vitale, complicità e il maggior alleato della mapolitica, della corruzione e del mondo di mezzo animato da violenza, intimidazioni, spaccio, estorsione, presenza oppressiva che rende pericoloso anche solo circolare in alcune zone dei paesi soprattutto in alcune ore. Non chiudere gli occhi ma anzi aprirli e farli aprire. Impegnarsi a svegliare le coscienze e ripudiare ogni “modo sbagliato”. Qualsiasi impegno contro le mafie e il malaffare, la criminalità e l’inquinamento del tessuto sociale non può che partire da qui. Nel 2019 sono bisogni impellenti anche in Abruzzo. E che siano una necessità vitale lo dimostra – ancora una volta – la cronaca recente. E allora, in quest’Abruzzo la cui cronaca è costantemente animata da inchieste e fatti che coinvolgono clan e affini, vogliamo ricordarli scrivendo e denunciando ancora una volta le mafie, le loro presenze e i loro sporchi traffici e violenze.
Questo mese di luglio è iniziato con la notizia del sequestro, disposto nella Capitale, di 120 milioni alla ndrangheta. Una maxi operazione che ha coinvolto anche l’Abruzzo, con sequestri immobiliari a Rocca di Cambio nella provincia aquilana. Ancora una volta, come varie volte negli anni (basti pensare che a Pizzoferrato oltre dieci anni fa furono sequestrati immobili riconducibili a “Sandokan” Schiavone), l’Abruzzo si rivela una delle regioni nelle quali le mafie investono e riciclano. Gli inquirenti hanno sottolineato, tra le caratteristiche del sodalizio criminale colpito, la “pervasività nel tessuto economico” e i “vincoli parentali tra loro intercorrenti che ne rafforzano oltremodo la coesione”. Una pervasività che, accostando ‘ndrangheta e Abruzzo, riporta all’operazione Design che nel febbraio 2017 sgominò l’oppressiva presenza dei Cupparo a Francavilla. All’alba del 21 febbraio 2017 fu colpita una rete di spaccio, usura e riciclaggio riconducibile alla ‘ndrangheta reggina tra Abruzzo, Lombardia, Campania e Calabria. Al vertice del sodalizio criminale i Cupparo, giunto a Francavilla nel 2009 dove stavano reinvestendo capitali di origine illecita. I proventi dello spaccio della droga venivano quindi, reimpiegati nell’acquisizione di attività commerciali – nel settore della raccolta di scommesse elettroniche e nella ristorazione – e in episodi di usura in danno di piccoli commercianti e imprenditori locali in difficoltà. I profitti venivano in parte reimpiegati in attività imprenditoriali in Calabria, come nel commercio di autoveicoli e nella realizzazione di villaggi turistici di grandi dimensioni.
Il “Mondo di Mezzo” d’Abruzzo
I vincoli parentali sono tra i punti di forza di clan come i principali di Roma e dintorni, Casamonica e Spada. Nei mesi scorsi sono usciti tre libri d’inchiesta sulle origini, l’ascesa e il dominio criminale delle due famiglie. Autori: Nello Trocchia, Floriana Bulfon e Federica Angeli. Nel libro “A mano disarmata” Federica Angeli denuncia come con la violenza gli Spada si impongano mentre intorno fioriscono omertà, paura e assuefazione alla loro presenza. Dal “ferro di cavallo” a Pescara (di cui ci siamo già abbondantemente occupati nel febbraio scorso dopo l’aggressione alla troupe RAI https://www.19luglio1992.com/sullaggressione-a-rancitelli-gia-sta-calando-loblio-per-labruzzo-e-piu-comodo-credere-ancora-allisola-felice-che-non-ce/ ) al vastese la cronaca ci riporta innumerevoli episodi, fatti e vita quotidiana con le stesse caratteristiche. Violenza, intimidazioni, spaccio, estorsione, presenza oppressiva che rende pericoloso anche solo circolare in alcune zone dei paesi soprattutto in alcune ore. Una realtà che vede protagonisti proprio famiglie imparentate, e in costante contatto, con i Casamonica. Nel “Ferro di Cavallo” la prima settimana di luglio è iniziata con l’accoltellamento di un senegalese, di cui è stato accusato un esponente della famiglia Spinelli – Valentino – già in passato al centro della cronaca nera. L’anno scorso ha violentemente aggredito un poliziotto al Pronto Soccorso e già nel 2011 fu arrestato con l’accusa di spaccio. Posto ai domiciliari dopo l’accoltellamento, Spinelli è stato nuovamente arrestato due giorni dopo per la sparatoria che ha portato al ferimento di due romeni. Alla base di entrambi questi episodi il traffico di droga a Rancitelli.
Nel libro “Casamonica – viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma” (in ordine cronologico il primo uscito, ma le stesse dinamiche e gli stessi fatti sono riportati nell’intensa inchiesta di Floriana Bulfon ) Nello Trocchia, oltre a riportare nomi, fatti (come le connessioni e l’esser cresciuti all’ombra dell’ex cassiere della banda della Magliana Nicoletti) e inchieste, sottolinea un dato che riporta alle origini dei Casamonica e di altri criminali “re di Roma”: la galassia criminale imperniata sui Casamonica va oltre i suoi mille appartenenti e il loro impero romano, a partire da altre “famiglie” come Spada, Di Silvio e De Rosa. Cognomi che, in larga parte, riconducono all’Abruzzo. La Regione, insieme al Molise, da cui i Casamonica partirono per la Capitale. Così come sono originari dell’Abruzzo i Fasciani e i Tredicine. Ma non è solo una questione di origini e lontane radici. In realtà è cronaca nera anche degli ultimi anni, costantemente presente negli atti giudiziari e nella stampa abruzzese. La favoletta dell’Abruzzo isola felice, sanissima con al massimo qualche “problemino” dopo il terremoto (copyright tra gli altri dell’ultima ex presidente della Commissione Antimafia e di quella che dovrebbe essere la maggior associazione impegnata contro le mafie d’Italia), è costantemente smentita da almeno 20/30 anni. E dalla vera storia d’Abruzzo e dei suoi “mondi di mezzo”, fatti di usura, estorsione, sfruttamento della prostituzione, violenze continue, gli affiliati e alleati dei Casamonica sono da sempre tra i maggiori protagonisti). Nello Trocchia, oltre a riportare nomi, fatti (come le connessioni e l’esser cresciuti all’ombra dell’ex cassiere della banda della Magliana Nicoletti) e inchieste, sottolinea un dato che riporta alle origini dei Casamonica e di altri criminali “re di Roma”: la galassia criminale imperniata sui Casamonica va oltre i suoi mille appartenenti e il loro impero romano, a partire da altre “famiglie” come Spada, Di Silvio e De Rosa. Cognomi che, in larga parte, riconducono all’Abruzzo. La Regione, insieme al Molise, da cui i Casamonica partirono per la Capitale. Così come sono originari dell’Abruzzo i Fasciani e i Tredicine. Ma non è solo una questione di origini e lontane radici. In realtà è cronaca nera anche degli ultimi anni, costantemente presente negli atti giudiziari e nella stampa abruzzese. E della vera storia d’Abruzzo e dei suoi “mondi di mezzo”, fatti di usura, estorsione, sfruttamento della prostituzione, violenze continue, gli affiliati e alleati dei Casamonica sono da sempre tra i maggiori protagonisti.
Le morti di Straccia e Neri e le possibili connessioni con il traffico di droga
Già nel febbraio scorso abbiamo accennato alle denunce, già di oltre un anno fa, di Piervincenzi sul “ventre oscuro” di Pescara e degli sviluppi sulla morte del giovane Alessandro Neri. Sono passati mesi e nulla nella società “civile” si è mosso. Tutto passa nell’indifferenza generale. A novembre scorso è emerso un possibile collegamento tra gli arrestati di una maxi operazione antidroga e l’omicidio di Neri. Il ragazzo potrebbe essere stato ucciso, secondo la ricostruzione resa nota, al culmine di una lite per il mancato pagamento di una partita di droga, di cui si sarebbe fatto garante. La sua capacità di intavolare trattative di compravendita di ogni tipo, dalle aste alle auto, potrebbe aver indotto personaggi della criminalità locale a sfruttarla per la compravendita della partita che poi gli è costata la vita. Traffico di droga al centro di una pista anche per un altro omicidio avvenuto negli ultimi anni a Pescara, quello di Roberto Straccia. Archiviato ufficialmente come “non omicidio”, un investigatore privato incaricato dalla famiglia del giovane ha ipotizzato che potrebbe essere stato ucciso perché testimone di un traffico di droga nel porto di Pescara. Quel porto che nella “Relazione sull’attività delle forze di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” (http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/328810.pdf ) relativa al 2015, comunicata alla Presidenza del Senato il 4 gennaio 2017, venne definito “il più importante dell’Abruzzo e per i suoi accresciuti scambi commerciali con i Paesi dei Balcani occidentali costituisce uno snodo cruciale per i traffici di sostanze stupefacenti e di esseri umani” – e richiamo dell’intera provincia per “sodalizi mafiosi interessati al reinvestimento di capitali illecitamente accumulati”. Tra le attività criminali segnalate nel rapporto spiccano spaccio di stupefacenti, corse clandestine dei cavalli, gioco d’azzardo, truffe, estorsioni, usura, tratta di esseri umani, sfruttamento della prostituzione “anche minorenni”, sfruttamento della “manodopera clandestina”. Proventi di attività illegali, si legge ancora, “vengono reinvestiti anche nell’acquisto di esercizi commerciali ed immobili”.
La cronaca di questi giorni, come sottolineato all’inizio, ci riporta la notizia del sequestro alla ‘ndrangheta di 120 milioni. Esattamente due anni fa alla camorra fu sequestrato oltre il triplo. Nel luglio 2017 l’operazione Omphalos della procura di Napoli stronca “un’attività di riciclaggio realizzata essenzialmente attraverso investimenti immobiliari, con la complicità di funzionari di banca e amministratori comunali” che ha visto coinvolti i clan Mallardo, Puca, Aversano, Verde, Di Lauro e Amato- Pagano e che ha portato al sequestro di un patrimonio stimato 600 milioni in varie regioni tra cui l’Abruzzo. Due mesi dopo un nuovo sequestro sempre contro attività di reinvestimento di esponenti del clan Mallardo in Toscana, Abruzzo, Molise e Puglia. Il clan Mallardo è attivo nel territorio di Giugliano in Campania ma uno dei dati delle due inchieste che colpisce è che l’unica Regione coinvolta in entrambi è l’Abruzzo, non la Campania.
A marzo 2018 è emersa la notizia che l’ex boss del clan camorristico La Montagna di Caivano, oggi pentito, Carlo Oliva ha ricostruito i traffici di droga tra Napoli e Teramo in un processo contro un vasto giro di usura, estorsioni, rapine e spaccio.
La frontiera vastese
Tra le frontiere abruzzesi della penetrazione delle mafie sicuramente c’è Vasto. A partire dal 2006, anno dell’operazione Histonium, diverse inchieste hanno stroncato il tentativo di costruire vere e proprie cosche autoctone. Tre i dominus intorno ai quali stavano nascendo queste organizzazioni: prima Pasqualone, poi Cozzolino e infine Ferrazzo. Organizzazioni criminali che si erano radicati nel territorio, imponendosi con la violenza ecapace di organizzare anche veri e propri attentati. Ma tante altre sono state le inchieste, occorrerebbe probabilmente un libro per ripercorrerle tutte, che hanno stroncato negli anni traffici di stupefacenti, estorsioni e usura. E’ dell’agosto scorso una delle ultime maggiori che hanno coinvolto “famiglie” imparentate coi Casamonica, Spinelli e De Rosa, e nella quale (per la prima volta in questo territorio) è comparsa anche un’esponente degli Spada. Altre inchieste, l’ultima all’inizio di quest’anno, ha interessato le rotte del traffico di droga dalla Puglia, spesso proveniente dai Balcani, al vastese. Un traffico internazionale, quello sulla direttiva Albania-Puglia-Vasto, documentato anche da un’inchiesta del reporter spagnolo David Beriain sulle organizzazioni criminali albanesi andato in onda sul canale 9 il 23 gennaio scorso.
In questi ultimi mesi una vera e propria emergenza ambientale ha colpito tutto il territorio con il sequestro della discarica locale. Gestita negli ultimi mesi da una società riconducibile all’imprenditore foggiano Bonassisa (già finito al centro della cronaca pugliese e nazionale), e in passato oggetto di travagliate vicende che meriterebbero ampi approfondimenti, la Procura di Vasto ha sequestrato l’impianto indagando sui rifiuti provenienti da altre regioni (Lazio, Campania e Puglia) e qualità e gestione degli stessi. Mentre la “politica” locale si trastulla in schermaglie e richieste di dissequestro parziale (solo per i comuni del territorio), che non sta in piedi perché dovrebbe essere materialmente impossibile indagare su dei rifiuti se altri arrivano nel frattempo, dopo due precedenti l’anno scorso di recente abbiamo avuto anche un incendio. Praticamente impossibile la natura accidentale, appare come un “inquietante segnale in stile mafioso”. In una vicenda già grave e inquietante prima. E da un porto industriale non lontano da questo territorio nel 2014 partì un carico di ecoballe respinto dalla Romania, che fece scalpore sulla stampa rumena che per settimane titolò sulla “nave dei veleni” italiana.
L’allontanamento del giudice La Rana per le sue inchieste scomode
Ma Vasto è stata anche la città di un altro episodio, inquietante su certi aspetti e quasi sconosciuto a livello nazionale. A inizi anni Duemila è costretto a lasciare la città il giudice La Rana, nel mirino di una campagna di fango e delegittimazione dopo che alcune sue inchieste avevano toccato alti livelli politici locali. Una campagna partita, riportò il GIP di Chieti, da una “vera e propria spedizione bellica, premeditata, organizzata e studiata nei particolari”. Una spedizione con al centro un vero e proprio dossier, pieno di false accuse, con il quale fu oggetto di svariate denunce nel 2003. Tutte nel tempo rivelatesi infondate. Ma intanto l’obiettivo era stato raggiunto: infangato e allontanato da Vasto il giudice La Rana non poté proseguire le sue inchieste. Nel 2011 dopo la notizia uscita su un quotidiano locale, in realtà destituita di fondamento, che poteva tornare a Vasto il giudice La Rana si vide recapitare un proiettile calibro 9 parabellum e una lettera con il messaggio “sei proprio sicuro di voler tornare a Vasto? Pensaci bene”.
L’arrivo e la permanenza del rampollo della famiglia Riina
Questo è il territorio dove, un anno e mezzo fa, è sbarcato il terzogenito di Totò Riina, Giuseppe Salvatore detto Salvo. L’autore del libro sulla sua famiglia, dove veniva elogiato il padre Totò, presentato anche a Porta a Porta. Già condannato in passato a 8 anni per associazione mafiosa, Salvo Riina era sottoposto a misure restrittive a Padova. Dopo che era stata accertata la sua frequentazione con spacciatori locali, nell’autunno 2017 Salvo Riina viene spedito nella Casa Lavoro di Vasto. Da dove è passato a scontare la sua pena residua in una fattoria sociale nella vicina Casalbordino. E’ tornato libero nel maggio scorso, quando il Tribunale di Pescara gli ha revocato le misure restrittive. La sua assidua attività social, dove continuamente continua a pubblicizzare il suo libro, a spendere parole di gratitudine e vanto per il padre Totò la sua famiglia e altre attività che rendono a dir poco perplessi, ha suscitato oltre la nostra solo un’altra presa di posizione. Da parte di Azione Civile che ha sottolineato quando “nel 2001 passando in autostrada all’altezza di Capaci disse “Ci appizzano (appendono, ndr) ancora le corone di fiori a ‘stu cosu (a questa cosa, ndr)…”, parole che non ha mai rinnegato. Così come non ha mai pubblicamente preso le distanze dalla sua famiglia di origine, o addirittura a collaborare con la magistratura, mentre sui social e in interviste rilasciate non ha mai smesso di “raccontare quello che continua a definire un buon padre”. Il 19 giugno il suo nome è tornato sulle cronache giudiziarie, anche se (al momento in cui quest’articolo viene scritto) per dovere di cronaca va riportato che non risultato essere destinatario di alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria. Nell’ambito dell’operazione “Assedio”, condotta dai carabinieri di Agrigento, è stato arrestato Angelo Occhipinti, indicato come il nuovo capomafia di Licata. Intercettato dagli inquirenti, durante una “riunione” in un magazzino nel luglio scorso, Occhipinti afferma – riferendosi a Riina Jr – che “quello è un ragazzo che ci scappelliamo tutti” (davanti a quel ragazzo ci togliamo tutti il cappello). E’ la risposta ad uno dei convocati alla riunione, Massimo Tilocca che è stato recluso dal dicembre 2017 al maggio 2018 nella Casa Lavoro di Vasto. Tilocca, secondo quando emerso, aveva appena riferito che – nel periodo trascorso a Vasto – avrebbe ricevuto un pizzino da Salvo Riina con l’ordine, una volta uscito dal carcere, di “stuccare” (ovvero eliminare) un licatese, tal Vincenzo Sorprendente. Nel renderlo noto, a margine dell’operazione “Assedio”, gli inquirenti hanno sottolineato che su questa particolare vicenda le indagini sono ancora in corso e quindi non si può ancora ufficialmente confermare o smentire nulla.
Alessio Di Florio
Associazione Antimafie Rita Atria
Movimento Agende Rosse “Paolo Borsellino – Giovanni Falcone” Abruzzo
PeaceLink Abruzzo