Mercoledì 1 luglio 1992
Dall´agenda grigia di Paolo Borsellino[1]:
Ore 7.00 Roma (Holiday Inn)
Ore 9.00 SCO
Ore 15 Dia
Ore 18.30 Parisi
Ore 19.30 Mancino
Ore 20 Dia
L´agenda grigia di Paolo Borsellino (mercoledí 1 luglio 1992)
Vittorio Aliquò e Paolo Borsellino, entrambi procuratori aggiunti a Palermo, si recano a Roma per interrogare Gaspare Mutolo. Alle 15, nello stanzone della Dia, davanti a Borsellino ed Aliquó, al tenente colonnello Domenico Di Petrillo ed al vicequestore Francesco Gratteri, entrambi della Dia e all´ispettore di polizia Danilo Amore, Mutolo comincia a declinare le proprie generalitá, per aprire la verbalizzazione ed iniziare il suo racconto nero sulla mafia.[2] L’aspirante collaboratore dice a Borsellino che conosce il nome di alcuni funzionari dello stato corrotti, cita Bruno Contrada e Domenico Signorino, ma preferisce prima parlare solo di fatti di mafia perché teme molto le conseguenze delle sue rivelazioni. Durante il colloquio Borsellino riceve una telefonata e, secondo la testimonianza di Mutolo, gli dice: “Sai Gaspare, devo smettere perché mi ha telefonato il ministro, manco una mezz’oretta e vengo.” [3]
Sempre stando alle parole di Mutolo, Borsellino torna dopo circa un’ora molto preoccupato, tanto che fumava così distrattamente da avere due sigarette in mano. Mutolo chiede: “Dottore cos’ha?” e Borsellino gli rivela di aver appena incontrato il dottor Parisi ed il dottor Contrada, pertanto lo invita a verbalizzare subito quanto di sua conoscenza riguardo alle infiltrazioni della mafia nello Stato. Mutolo si rifiuta e ripete di voler prima verbalizzare quanto gli è noto sull’organigramma mafioso.
Su chi abbia incontrato Paolo Borsellino al Viminale il primo luglio 1992 la ricostruzione non é ancora del tutto chiara: Vittorio Aliquò ricorda due telefonate del Capo della Polizia a Borsellino e ricorda di essere andato assieme a lui al Ministero.
Aliquó conferma di aver incontrato Vincenzo Parisi al Viminale e di aver accompagnato Borsellino sulla soglia dell´ufficio del neo-ministro Mancino, restando fuori; poi, di essere entrato a sua volta per un incontro con il ministro appena insiedato. Aliquó non rammenta un incontro con Contrada ed esclude che Borsellino gliene abbia parlato. [4]
Aliquo´ afferma però di non essere stato tutto il tempo con Borsellino.
Mancino non ricorda l’incontro con Borsellino ma non esclude che possa essere avvenuto: “Non ho precisa memoria di tale circostanza, anche se non posso escluderla […]. Era il giorno del mio insediamento, mi vennero presentati numerosi funzionari e direttori generali […]. Non escludo che tra le persone che possono essermi state presentate ci fosse anche il dottor Borsellino. Con lui peró non ho avuto alcun specifico colloquio e perció non posso ricordare in modo sicuro la circostanza […] non sapevo della sua presenza a Roma ed escludo, quindi, di aver io provocato un colloquio dello stesso con me. Non escludo che il capo della polizia possa, di sua iniziativa, aver invitato il giudice Borsellino per presentarlo a me.” [5]
E’ stato accertato comunque dai magistrati di Caltanissetta che Borsellino incontrò Parisi.[6]
Se Borsellino quel giorno ha incontrato Contrada, non lo ha confidato a nessuno, tranne che a Mutolo. E, forse, ma il ricordo non é troppo preciso, anche al PM Pietro Vaccara, applicato dalla Procura di Caltanissetta per le indagini sulla strage di Capaci. Dice oggi Vaccara: “Ricordo, ma sono passati tanti anni, che Borsellino mi disse di aver visto Contrada che usciva da una porta del ministero, forse la stanza del capo della polizia Parisi, mentre lui entrava. É un ricordo flebile, nel senso che io lo colloco certamente dopo il 1° luglio, in una data prossima alle mie ferie, scattate il 15 luglio. Con Borsellino al mio ritorno dovevamo incontrarci a Caltanissetta, ma poi c´é stata la strage…”.[7]
L’avvocato di Totò Riina, Cristoforo Fileccia, in un colloquio con una troupe giornalistica della RAI siciliana afferma che il suo assistito si trova in Sicilia e che lui l’incontra spesso. Per Fileccia, Riina é naturalmente innocente. “Ha sempre respinto ogni accusa a tra l´altro é sempre stato assolto da tutti i reati, l´ultimo dei quali la strage di Bagheria con la sentenza di Carnevale, prima sezione di Cassazione di qualche giorno prima. L´unica condanna che ha é quella all´ergastolo inflittagli con il primo maxi-processo. Nei colloqui che ho avuto con lui ho tratto la sensazione che il daivolo non é cosí cattivo come lo si dipinge.” “Si costituirá” domanda la giornalista. “É una farneticazione”, risponde l´avvocato.[8]
Il CSM trasferisce d’ufficio il Procuratore di Trapani Antonino Coci.
Giovedí 2 luglio 1992
Una FIAT Croma blu rubata la notte a Palermo e parcheggiata in via Principe di Paternó vicino all´abitazione di Leoluca Orlando fa scattare il dispositivo di allarme di carabinieri e polizia. Dopo una segnalazione dei carabinieri, che sorvegliano ventiquattrore su ventiquattro la zona per proteggere Orlando, la vettura viene controllata da un artificiere dell´Arma nel timore che contenga esplosivo. L´ispezione dá esito negativo e la Croma viene rimossa con un carro attrezzi. Sulla strada, in seguito all´allarme, confluiscono numerosi investigatori, ed in cittá si diffonde il timore di un nuovo attentato mafioso.[9]
Otto cartelle, con rivelazioni sui delitti Lima e Falcone, vengono indirizzate da un anonimo estensore, subito ribattezzato il “Corvo due”, a trentanove destinatari, figure istituzionali e giornalisti. Sull´origine del testo, che parla anche di incontri segretissimi tra esponenti politici siciliani e boss latitanti di Cosa Nostra, la procura di Palermo apre un´inchiesta. Il misterioso documento, a giudizio degli inquirenti, ha un mittente certo: la mafia.
L´intento di chi ha scritto il documento anonimo é “creare discredito e fratture negli organi dello stato intensamente impegnati, sia a livello locale sia centrale, nell´opera di contrasto alla mafia” afferma il colonnello Carlo Gualdi, capo di gabinetto della Dia. “É un tentativo di intossicazione che proviene da ambienti mafiosi – affermano all´Alto Commissariato – o da gruppi che fanno l´interesse della mafia.”
Del resto, ricordano alla Dia, Cosa Nostra non é nuova a questo genere di operazioni: “La calunnia é, assieme al tritolo, tra le sue armi usuali.”
Le otto cartelle sono analizzate minuziosamente dagli esperti animafia della Dia, dell´Alto Commissariato, dei Ros e dello Sco. Sul loro contenuto, fonti dell´Alto Commissariato commentano che: “Ci sono notizie parzialmente vere, mescolate a menzogne palesi ed altre piú abilmente costruite.” I carabinieri affermano che si tratta di “illazioni ed insinuazioni che possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti.” [10]
Venerdí 3 luglio 1992
Paolo Borsellino ha un colloquio investigativo con il collaboratore Vincenzo Calcara. [11]
Riina e Provenzano “sono come due pugili che mostrano i muscoli, uno di fronte all´altro.” A sorpresa, subito dopo il pomeriggio del Viminale, Borsellino sceglie il quotidiano “La Gazzetta del Mezzogiorno” per formulare, per la prima ed unica volta, l´ipotesi di una spaccatura al vertice di Cosa Nostra. Una spaccatura tra i due leader mafiosi corleonesi che non sfocia in una guerra tra clan ma in una prova di forza nel contrapporsi con le armi alla politica ed alle Istituzioni: uno si intesta l´omicidio di Salvo Lima, l´altro la strage di Capaci; chi avrebbe fatto cosa, nell´intervista non é specificato. I due delitti, secondo il magistrato, costituiscono una conferma del fatto che “i due pugili stanno mostrando i muscoli, come se ciascuno volesse far sapere all´altro quanto é forte, quanto é capace di fare male.”
Nell´intervista Borsellino spiega la sua tesi: “Si nascondono a Palermo, su questo non c´é dubbio: il controllo del territorio per mafiosi del loro calibro é importante, direi fondamentale. Non si possono “governare” picciotti ed affari lontano dalla Sicilia. Tuttavia ho l´impressione che tra i due boss dei corleonesi non corra piú buon sangue. Ripeto, é solo un´impressione. Non sappiamo niente altro…”
Prosegue il magistrato: “Un paio di mesi fa la moglie di Provenzano ha riaperto casa a Corleone. Lei, insieme con i due figli. Figli che, appena nati, sono stati registrati all´anagrafe: tutto regolare. Da anni: solo che siamo stati capaci, noi forze dell´ordine, noi inquirenti, di saperlo quando abbiamo notato la presenza della donna a Corleone.”
Ed aggiunge: “Dico questo per far capire che, in fondo, non é sempre stata incessante, senza tregua, la caccia ai superlatitanti: Riina e Provenzano, appunto. Questo episodio, il ritorno della moglie di Provenzano a Corleone, ci ha fatto subito pensare che di lí a poco qualcosa di grosso sarebbe successo all´interno di Cosa Nostra. Eppure non c´é stata e non c´é, apparentemente, nessuna guerra di mafia. O, per meglio dire, non quello che noi avevamo immaginato. C´é stato l´omicidio di Salvo Lima, c´é stata la strage di Capaci. No, non é che consideriamo questi avvenimenti roba di poco conto. Ci mancherebbe altro. Piuttosto, confermano quello che dicevo prima: i due pugili, Riina e Provenzano, stanno mostrando i muscoli.” Il giornalista domanda: “Si fermerá questa catena di omicidi eccellenti?” “Non lo so – risponde Borsellino – ma niente lascia pensare che tutto sia finito. Anzi.” [12]
Con una telefonata alla sede di Palermo dell´Ansa, la falange armata rivendica la paternitá dello scritto anonimo fatto circolare a Palermo nel quale si parla delle future attivitá della mafia anche in relazione a uomini e vicende della politica.[13]
La procura di Gela chiede il rinvio a giudizio di 117 presunti mafiosi appartenenti alle due cosche che dal 1987 al 1991 si sono date battaglia lasciando nelle stradine della citta’ 110 morti. Sotto accusa 56 uomini della potente famiglia Madonia e 61 del clan Ianni-Cavallo. La situazione degli uffici giudiziari a Gela é al collasso: il procuratore Angelo Ventura, accusato dai carabinieri di non aver collaborato alla cattura di pericolosi latitanti, e´ sotto procedimento discplinare al CSM che é chiamato la prossima settimana a deliberare su un eventuale trasferimento del magistrato per incompatibilitá ambientale. L’ organico della procura e’ al completo ma, oltre al procuratore capo, prevede un solo aggiunto, Roberto De Felice, 27 anni, romano, al suo primo incarico che in un´intervista al Corriere della Sera dichiara: “E’ ridicolo creare una procura con due soli giudici. Questi livelli di organico non sono previsti nemmeno nella piu’ sperduta delle citta’ italiane. Cio’ mi fa pensare molto male di chi ha firmato il decreto istitutivo del tribunale. Dicono che Gela e’ una citta’ ad alto rischio mafioso eppoi prevedono questi organici. Come mai?”. “Gia’ … ma come si riesce a lavorare in queste condizioni?” chiede il giornalista. “Facciamo il possibile – risponde De Felice – un lavoro massacrante che, tutto sommato, ci ha anche permesso di ottenere buoni risultati. Ma ora basta, abbiamo dato”. “Cosa vuol dire?” domanda ancora l´intervistatore. “No, basta. Ho gia’ presentato domanda di trasferimento- risponde De Felice – sarebbe stato bello continuare a lottare contro la mafia, ma non certo in queste condizioni”. [14]
Sabato 4 luglio 1992
Paolo Borsellino si reca al Palazzo di Giustizia di Marsala per la cerimonia di saluto che era già stata rinviata altre volte dopo il trasferimento a Palermo. Nel capoluogo siciliano assieme a Borsellino si sono trasferiti il maresciallo dei carabinieri Carmelo Canale ed il sostituto Antonio Ingroia. Si insedia a Marsala il nuovo procuratore Antonino Silvio Sciuto. Borsellino parla a braccio, ricorda i sacrifici che i magistrati devono affrontare per assicurare alla nazione il servizio della giustizia, senza mai nominarlo cita il collega Vincenzo Geraci, il quale aveva scritto che a Marsala Borsellino era andato perché voleva una procura con il mare, e riceve una lettera di saluto dai “suoi” sostituti, i giovani pm cresciuti sotto la sua la protettiva negli anni delle inchieste marsalesi: Giuseppe Salvo, Francesco Parrinello, Luciano Costantini, Lina Tosi, Massimo Russo, Alessandra Camassa.
Una lettera che Borsellino incornicierá ed appenderá nello studio di casa:
Carissimo Paolo,
al di lá dei saluti ufficiali, anche se sentiti, un momento privato, un colloquio tra noi. Noi tutti siamo qui a Marsala con te fino dal tuo arrivo, ma ognuno di noi porta nel suo cuore un pezzetto di storia da raccontare sul lavoro a Marsala, nella procura che tu hai diretto. Ci piacerebbe ricordare tante situazioni impegnative o tristi o buffe che ci sono capitate in questa esperienza comune, ma l´elenco sarebbe lungo e, allo steso tempo, insufficiente. Possiamo comunque dirti di aver appreso appieno il significato di questo periodo di lavoro accanto a te e le possibilitá che ci sono state offerte: l´esperienza con i pentiti, i rapporti di un certo livello con la polizia giudiziaria, sono situazioni rare in una procura di provincia, e la tua presenza ci ha consentito di giovarci di queste opportunitá. Abbiamo goduto, in questi anni, di un´autorevole protezione, i problemi che si presentavano non apparivano insormontabili perché ci sentivamo tutelati. Qualcuno ci ha riferito in questi giorni che tu avresti detto, ironizzando, che ogni tuo sostituto, grazie al tuo insegnamento, superiorem non recognoscet. Sai bene che non é vero, ma é vero invece che la tua persona, inevitabilmente, ci ha portati a riconoscere superiore solo chi lo é veramente. Ci sono state anche delle incomprensioni, e non abbiamo dimenticate nemmeno quelle: molte sono dipese da noi, dalle diversitá dei caratteri e dalla natura di ognuno; altre volte, peró, é stata proprio la tua natura onnipotente a vedere ogni cosa dalla tua personale angolazione, non suscettibile di diverse interpretazioni. Tuttavia, anche in questo sei stato per noi un “personaggio”, ti sei arrabbiato, magari troppo, ma con l´autoritá che ti legittimava e che mai abbiamo disconosciuto. Anche nel rapporto con il personale abbiamo apprezzato l´autorevolezza e la bontá, mai assurdamente capo, ma sempre “il nostro capo”. E poi te ne sei andato, troppo in fretta, troppo sbrigativamente, come se questo forte rapporto che ci legava potesse essere reciso soltanto con un brusco taglio, per non soffrirne troppo. Il dopo Borsellino non te lo vogliamo raccontare: pur se uniti tra noi, in tantissime occasioni abbiamo sentito che non c´eri piú, e in molti abbiamo avvertito il peso, talvolta eccessivo per le nostre sole spalle, di alcune scelte, di importanti decisioni. E adesso il futuro, il tuo, ma anche il nostro. Noi ti assicuriamo, giá lo facciamo, siamo all´erta, sappiamo che cosa vuol dire “giustizia” in Sicilia ed abbiamo tutti valori forti e sani, non siamo stati contaminati, e se é vero che “chi ben comincia…”, con ció che segue, siamo stati molto fortunati. Per te un monito: é un periodo troppo triste ed é difficile intravederne l´uscita. La morte di Giovanni e Francesca é stata per tutti noi un po´ la morte dello stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c´erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo stato in Sicilia é contro lo stato, e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello stato.
I “tuoi” sostituti. [15]
Antonio Pappalardo, 25 anni, poliziotto addetto al servizio scorta della Questura di Catania, viene arrestato e rinchiuso in un carcere militare. Il Pappalardo era stato sorpreso il 28 giugno a banchettare in compagnia di due presunti mafiosi del clan Cappello. Il sostituto procuratore della Repubblica, Felice Lima, lo accusa di porto illegale di armi, peculato e detenzione illegale di armi e munizioni. L’ ordinanza di custodia cautelare e’ stata firmata dal Gip Antonio Ferrara, uno dei magistrati che erano stati scortati dal poliziotto arrestato.[16]
Un giorno della seconda settimana di luglio 1992
Rosaria Schifani, vedova dell´agente di scorta Vito Schifani ucciso nella strage di Capaci, visita in serata Paolo Borsellino e la sua famiglia. Nel corso dell´incontro il magistrato dice a Rosaria: “Ti staremo vicini Rosaria cara, avrai il nostro affetto e faremo giustizia per il tuo Vito”. All´incontro sono presenti la moglie di Paolo, Agnese, e i tre figli Manfredi, Fiammetta e Lucia. Rosaria é piena di dubbi e chiede a Borsellino: “Giudice io sono utile?” “Rosaria, tu sei molto utile” risponde il magistrato. E la signora Agnese la ringrazia. “Di che cosa?”, chiede Rosaria. “Del coraggio che ci dai…”, é la risposta. Rosaria é molto turbata dal dubbio se partire e lasciare la Sicilia o se rimanere a Palermo. Borsellino la incoraggia: “Non bisogna abbandonare la Sicilia perche’ questa terra diventera’ bellissima”. Nello studio del giudice quella sera parlano delle speranze, del perdono e dei pentiti. Borsellino le descrive la conversione di Vincenzo Sinagra: “É cambiato. Era una belva ed e’ diventato un essere umano”. Quando per un po’ si trovano soli, Rosaria chiede: “Ha paura?”. Ed il magistrato, fumando nervoso, risponde: “Non ho paura”. Poi, fermandosi un attimo, aggiunge: “Ma ho paura per mia moglie, per i miei figli”.[17]
Lunedì 6 luglio 1992
Paolo Borsellino incontra in via informale nella sua casa di via Cilea il giornalista del Corriere della Sera Luca Rossi che, passando da Palermo, decide di fare visita al magistrato. Rossi riporterá una parte del contenuto di questo colloquio in un articolo che sará pubblicato 15 giorni dopo sul Corriere della Sera:
“Che cosa posso coordinare da Roma se nessuno fa piu’ indagini in Sicilia?”
PALERMO . Ho detto: “Adesso Falcone sei tu. Lo capisci?” Borsellino ha sorriso, con una specie di dolore obliquo, tagliato. Era quindici giorni fa, in via Cilea 97, a casa sua, a Palermo. Ero andato a trovarlo solo per parlare, non dovevo ancora scrivere nulla. Volevo solo sapere come stava, cosa succedeva a Palermo. Con Sette avevo deciso di iniziare una lunga inchiesta sullo stato delle cose in Sicilia seguendo proprio Paolo Borsellino. Ero preoccupato. L’avevo visto in Tv, subito dopo la morte di Falcone, e non mi sembrava piu’ l’uomo che conoscevo: era lento, paralizzato. Pensavo che ora, dopo Falcone, c’era lui: che sarebbe stato il prossimo. Quel giorno ho fatto fatica a trovare le parole, ma a un certo punto glielo ho detto; ha sorriso ancora, ha risposto che lo sapeva, ma che da questo punto di vista si sentiva esattamente come Falcone. Ha detto testualmente: “Anche per me la morte e’ un bottone della giacca”. Borsellino e’ sempre stato un uomo straordinariamente coraggioso; riusciva a ironizzare sul pericolo, era sprezzante, fatalista e deciso. Quando l’ho rivisto, due settimane fa, non era piu’ cosi’. La morte di Falcone l’aveva spaccato in due, l’aveva svuotato. L´inclinazione dello sguardo, la lentezza dei gesti e delle parole: era come se non avesse piu’ energia. “Confesso -. mi ha detto quel pomeriggio – che devo reggere il mio entusiasmo con le stampelle”. E allora, poche pratiche cose da dire. Borsellino stava seguendo le indagini sull’ omicidio di Falcone, aveva un’ipotesi. Pensava che potesse esistere una connessione tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Falcone, e che il trait d’union fosse una questione d appalti, in cui Lima era stato in qualche modo coinvolto e che Falcone stava studiando. Era solo un’ipotesi, e comunque non poteva darmi dettagli. Si puo’ pensare che anche la sua morte abbia un rapporto con quest’ipotesi, ma e’ altrettanto probabile che la sua fine e quella di Falcone fossero segnate comunque, da sempre. Negli ultimi giorni, Borsellino stava interrogando un nuovo pentito, che definiva “di straordinario interesse, perche’ ci da’ un’immagine della mafia in questo momento, in tempo reale, e non, com’e’ capitato spesso con altri pentiti, vecchia magari di qualche anno. Il pugno di ferro, la dittatura di Toto’ Riina sulla mafia, produce un terrore costante all’interno dell’organizzazione di Cosa Nostra. I membri vivono un’ossessione continua, quotidiana: si chiedono esclusivamente chi potrebbe ucciderli, e quando. Questa situazione ha prodotto un’incredibile fioritura di pentiti, quasi una trentina. Una cosa assolutamente straordinaria”. Ma lui era rimasto solo, come sempre in questi casi. Abbiamo parlato della Superprocura, che il ministro della Giustizia Claudio Martelli gli aveva indirettamente offerto. Era in dubbio, oscillava: tendeva comunque a non accettare. La Superprocura era un’idea di Falcone e Borsellino pensava che solo con Falcone avrebbe avuto un senso. Non ci credeva molto; diceva che, senza la visione complessiva e strategica che ne aveva Falcone, sarebbe stato difficile farla funzionare. “E poi – ha detto – se me ne vado da qui, da Palermo, non ho piu’ nessuno che mi faccia da sponda. Qui non e’ rimasto nessuno. Non ci sono piu’ inchieste, non c’e’ un lavoro organico: che cosa posso coordinare da Roma se nessuno fa indagini in Sicilia?”. Si era ritagliato uno spazio lavorando soprattutto sul Trapanese e l’Agrigentino: non su Palermo, per evitare contrasti con il procuratore capo Giammanco. Lo riteneva responsabile della “fuga” di Falcone da Palermo. “Falcone diceva di essere stato costretto all’immobilita’: di essere stato messo in condizione di non poter lavorare. Per questo, aveva accettato il ruolo amministrativo che Martelli gli aveva offerto agli Affari penali. Ma doveva tornare prima possibile al suo lavoro, alle inchieste. Anche in questa logica vedeva il progetto della Superprocura”. In qualche modo, mi dispiaceva che Borsellino non volesse accettare l’offerta di Martelli: non riuscivo a immaginare nessuno in grado di sostituire Falcone meglio di lui. E pensavo, proprio per la sua sicurezza, che fosse meglio accelerare, insistere: andare a Roma, portarsi sempre al centro, rimanere in qualche modo “importante”. Invece Borsellino voleva stare tranquillo, non esporsi piu’ di tanto. “Devo aspettare un paio d´anni, che Giammanco se ne vada: in questo caso, avro’ buone probabilita’ di diventare il procuratore capo di Palermo”. Bene. Fin qui ho cercato di essere ragionevole, di dire quello che posso. Sto volando verso Palermo. Questa notte non ho dormito un minuto. Vedo la costa gialla davanti a punta Raisi. Ci sono tutti questi giornali aperti, in aereo, che dicono: “massacro, ucciso Borsellino”. Io ho una nausea costante, non riesco a cancellarla. Volevo bene a Paolo Borsellino. Gliene volevo davvero. Io non ce la faccio piu’. [18]
Fuga di notizie sull’operazione di polizia Pianosa, che comporta il trasferimento graduale di numerosi detenuti mafiosi nel carcere di massima sicurezza di Pianosa. L’ inizio dell’operazione sarebbe previsto per la terza settimana del mese.
Il neo-ministro dell’Interno Nicola Mancino fa visita alle forze di polizia di Palermo. Accompagnato dal Capo della Polizia Vincenzo Parisi esordisce nella riunione con i vertici dell’ordine pubblico dell’isola affermando: “Mi colloco nel solco tracciato dal mio predecessore Scotti.” [19]
Dopo la riunione si svolge un incontro con i giornalisti ed il ministro parla dei diari di Falcone: “Li ho letti, noi ce ne stiamo occupando ai vari livelli, almeno per quanto attiene al Viminale, sia dal punto di vista dell’accertamento dell’attendibilità, sia dal punto di vista dell’accertamento di eventuali manipolazioni. Una volta le interpolazioni erano di facile accertamento, oggi naturalmente il computer non consente a chi riflette, a chi valuta, a chi analizza, di accertare se un periodo sia stato successivamente manipolato. Ecco stiamo facendo questi accertamenti.” Il ministro non chiarisce se fa riferimento agli appunti pubblicati sul Sole 24 Ore oppure ad altri sui quali sta lavorando la Procura di Caltanissetta. Nessuno fino ad ora aveva messo in dubbio l’attendibilità dei diari di Falcone.
Vincenzo Parisi fa il giro degli uffici giudiziari di Palermo e scopre la vulnerabilitá di Borsellino. Persino il capo della polizia ne resta sconvolto.
Ecco il ricordo di Agnese Piraino Leto, nella sua testimonianza al processo Borsellino TER: “Dieci giorni prima che mio marito morisse, il capo della polizia é arrivato a Palermo, ha fatto un giro in procura e si é accorto che alle spalle di mio marito c´era un vetro normale ed allora lui si é lamentato come mai nessuno si fosse accorto che c´era questo vetro, enorme ma un vetro normale, ed allora subito ha fatto mettere il vetro blindato nella stanza di mio marito. C´era la scrivania con la poltrona che dava le spalle a questo vetro, dunque era anche quello un punto vulnerabile. E poi, che io sappia, gli addetti ai lavori, il Comitato di sicurezza non lo so che cosa abbiano deciso, questo sará scritto nei verbali, sotto i miei occhi non ho visto niente di particolare, insomma non si sono prese delle precauzioni e dei provvedimenti che potessero ostacolare il preannunciato progetto criminale. A me non risulta nient´altro, ecco. Soltanto ricordo che mio marito era piú sicuro quando era fuori la cittá di Palermo che quando si trovava in cittá. Era molto preoccupato per la sua incolumitá e per la nostra. Ed era anche disposto a sottoporsi a qualsiasi sacrificio pur di salvarsi, pur di salvare gli uomini della sua scorta, pur di salvare la nostra famiglia.”[20]
Il Presidente del Consiglio Giuliano Amato da Monaco in Germania afferma: “Falcone è stato ucciso a Palermo ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove.”
Martedì 7 luglio 1992
Dietrofront di Mancino ed Amato sulle dichiarazioni rilasciate il giorno precedente. Amato: “La frase sulla strage di Capaci va riferita non ad un episodio specifico, ma alla capacità di coordinamento della mafia mondiale.” [21] Mancino: “Non ho nessun elemento per porre in dubbio l’autenticità dei diari di Falcone, la mia era un’ipotesi scolastica.”
Manheim (agenda grigia di Paolo Borsellino).
Paolo Borsellino, il tenente Carmelo Canale ed il sostituto Teresa Principato si recano a Manheim in Germania per interrogare Gioacchino Schembri, mafioso di Agrigento catturato in una recente operazione antimafia e sospettato di essere uno dei killer di Rosario Livatino.
Ad attenderli nella cittadina tedesca, Borsellino, Canale Principato trovano un imponente spiegamento di forze, una scorta armata, un corteo di otto auto blindate. L´albergo prenotato é stato trasformato in un autentico “fortino”, la polizia ha installato un sistema di intercettazioni telefoniche che registra tutte le conversazioni in entrata ed in uscita, ogni persona viene passata ai “raggi x”. Borsellino si concede un piccolo fuori programma, entra in un negozio, per acquistare un regalo per Massimo, il figlio del suo collega ed amico Diego Cavaliero, che domenica prossima sará battezzato a Salerno. Per il bimbo sceglie un regalo tradizionale, una collanina d´oro. Le teste di cuoi impazziscono. Si precipitano all´interno del negozio, ogni angolo viene ispezionato da cima a fondo, perquisito, bonificato, e solo dopo permettono a Borsellino di entrare per fare il suo acquisto.
Il magistrato sorride sotto i baffi, ed ironizza: “Proprio come a casa!” Poi si torna al lavoro. Entrati in carcere, i giudici italiani vengono informati da un funzionario della Bka, la polizia tedesca, che un connazionale, tale Egon Schinna, uno spacciatore di piccolo calibro, detenuto nella stessa cella di Schembri, ha cominciato a collaborare, rivelando che il siciliano é uno dei killer del giudice Rosario Livatino. La notizia é importantissima, promette una svolta decisiva nelle indagini su quel delitto ancora insoluto. Borsellino appare galvanizzato, e non perde il suo spirito fanciullesco.
La sera prima dell´interrogatorio, in una trattoria locale, sorvegliati dalla scorta, cenano tutti assieme. Borsellino, Canale e Principato, tra enormi boccali di birra e kartoffelsalad, la tipica insalata di patate. Borsellino non resiste, ha voglia di scherzare, e ripete ridendo “birra e patatuten”, brindando con le teste di cuoio che lo guardano senza capire e ridono pure loro. Ma l´indomani, in carcere, quando é seduto faccia a faccia con Schembri, il giudice sembra un altro. Senza giri di parole, ma senza scoprire il compagno di cella che lo ha tradito, guarda lo stiddaro negli occhi e gli fa capire che é spacciato, che é meglio che collabori, che sanno tutto di lui e della sua azione di morte contro Livatino. L´irriducibile impallidisce farfuglia, sembra proprio pronto alla resa.[22]
La commissione Affari costituzionali del Senato comincia l´esame del superdecreto, la legge antimafia con modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale, per definirne la costituzionalitá.
Relatore é il senatore DC Francesco Mazzola. Nella discussione, il senatore Cesare Salvi, portavoce del Pds per il programma sulle riforme istituzionali e la giustizia, esprime un parere di incostituzionalitá del decreto in esame. Salvi, secondo il testo diffuso dall´ufficio stampa, sostiene che questo decreto “presenta diverse norme che si pongono in contrasto con la Costituzione in particolare per le modifiche al processo penale in tema di acquisizione della prova e di poteri della polizia giudiziaria che contrastano con la garanzia del diritto alla difesa.”
“Nell´insieme – sottolinea Salvi – il decreto stravolge l´impianto accusatorio del nuovo processo penale, senza distinguere tra imputati per fatti di mafia e per altri reati… Per sconfiggere la mafia ció non é affatto necessario, e puó anzi essere controproducente, innestando una spirale di rincorsa alla normativa di emergenza, mentre la criminalitá si combatte con la ´´straordinaria ordinarietá“ dell´impegno dello stato.” [23]
Mercoledí 8 luglio 1992
Manheim (agenda grigia di Paolo Borsellino).
Schembri parla come un fiume in piena. É il primo a violare l´omertá di Palma di Montechiaro raccontando i mille segreti della faida. Rivela i retroscena dei crimini commessi dai suoi amici e dai suoi nemici. Parla dei cadaveri eccellenti: i giudici Livatino e Saetta, il maresciallo Guazzelli. “Finito l´interrogatorio – ricorda Canale – sono rimasto da solo nella stanza con lui, e gli ho chiesto come se la passasse. Lui mi rispose che da molto tempo non gli era possibile avere contatti con la moglie. Uscito dalla stanzetta, ne parlai subito con Borsellino che giró la richiesta di Schembri ai poliziotti di guardia. Loro sembravano contrari, ma Borsellino chiese di assecondare il desiderio del detenuto, al piú presto. Lo accontentarono. Passarono dieci minuti, e si presentó la moglie. Io entravo ed uscivo dalla stanza, per controllare il colloquio tra i due, per evitare che potesse succedere qualcosa che mettesse in difficoltá le guardie. Fissando il divanetto dove i due si erano seduti, a un tratto, Borsellino, con uno sguardo eloquente, mi disse: “Canale, ora basta, faccia uscire la moglie. Non vorrei che il colloquio si trasformi in qualcosa di piú … intimo.” Cioé, non disse queste testuali parole, disse qualcosa di diverso, usó una frase in dialetto siciliano, dal significato inequivocabile, che capiamo solo noi. Ma Schembri aveva capito che si poteva fidare di quel giudice. E salutandolo, Borsellino gli chiese: “Allora, Schembri, ci rivediamo presto?” Il palmese sorridendogli, fece cenno di sí. Borsellino gli lasció sul tavolo il suo pacchetto di Dunhill con tre sigarette. Non fecero in tempo a rivedersi mai piú.” [24]
Il quotidiano Corriere della Sera riporta che una fuga di notizie ha bloccato il trasferimento di detenuti per reati di mafia nel carcere dell´isola di Pianosa, in Toscana, trasferimento previsto in base ad un accordo fra ministero della giustizia, ministero dell´interno e la direzione generale delle carceri. I responsabili dell´ordine pubblico potrebbero ora cercare una nuova localitá dove inviare i detenuti mafiosi a scontare la pena.
Gli abitanti delle isole di Elba e Capraia sono stati i primi ad accorgersi che qualcosa stava accadendo nel penitenziario che si trova sull´isola di Pianosa dove da qualche settimana erano in corso lavori di ristrutturazione. Un giornale toscano ha riferito di riunioni, assemblee e minacce per cercare di bloccare l´intera operazione. L´iniziativa si é cosí fermata. Tito Barbini, assessore regionale ai servizi sociali della Regione Toscana, afferma: “Non intendiamo abbassare la guardia. Ci sono protocolli di intesa firmati da ministero e Regione nei quali si indicano Pianosa e Gorgona come luoghi per detenuti a bassa pericolositá. Vogliamo che siano rispettati” .
Ormai la speranza di far avvenire il trasferimento dei mafiosi nella massima riservatezza era crollata. Il ministero di grazia e giustizia non ha potuto fare altro che smentire il piano di spostamenti di mafiosi eccellenti con un comunicato ufficiale: “Non sono né allo studio né in corso trasferimenti di particolari categorie di detenuti. Le opere edilizie avviate presso la casa di reclusione di Pianosa hanno il carattere di normali lavori di manutenzione”. [25]
La Corte costituzionale si riunisce per decidere sul conflitto sorto tra il ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli ed il CSM in merito ai limiti delle competenze attribuite al Guardasigilli e al CSM per il conferimento ai magistrati di incarichi direttivi. Si tratta in pratica di stabilire se il “concerto” del ministro di grazia e giustizia per la nomina di un dirigente degli uffici giudiziari sia vincolante per il CSM oppure no. Il conflitto tra il ministro Martelli ed il CSM era esploso nel dicembre 1991 in occasione della nomina del Presidente della corte di appello di Palermo: il CSM aveva designato Pasquale Curti Giardina mentre il ministro Martelli preferiva una altro candidato, Antonino Palmeri. Il ministro Martelli non aveva approvato la nomina di Giardina ed il CSM aveva fatto ricorso alla Consulta per sapere se il “concerto” del ministro di grazia e giustizia dovesse ritenersi vincolante o solo un fatto formale.
In mattinata, mentre la Corte é ancora riunita, un dispaccio dell´agenzia Adn Kronos da´ per certo un parere favorevole a Martelli: “La Corte costituzionale avrebbe gia’ deciso in merito al conflitto di poteri tra il Consiglio superiore della magistratura e il ministro della Giustizia. A Palazzo della Consulta vige uno stretto riserbo, ma – a quanto e’ dato sapere – la Corte avrebbe assunto un orientamento sostanzialmente favorevole al ministro. La Consulta era chiamata a stabilire quali sono i poteri del Guardasigilli nella scelta dei candidati alla direzione degli uffici giudiziari … Il giudice Antonio Baldassarre, relatore sulla vicenda durante l’udienza del 30 giugno, potrebbe insomma aver avuto il mandato e le indicazioni generali per preparare l’ ordinanza o la sentenza. Ogni decisione pero’ potrebbe essere ribaltata durante le sedute che la Corte terra’ ancora in camera di consiglio per limare il provvedimento stilato da Baldassarre”. Poche ore dopo la notizia di un favorevole orientamento a Martelli viene smentita da alcuni ambienti della Corte la quale annuncia che i giudici costituzionali proseguiranno la discussione in camera di consiglio anche nei prossimi giorni.[26]
Il plenum
Giovedí 9 luglio 1992
Borsellino rientra dalla Germania insieme al maresciallo Canale ed al sostituto Teresa Principato. Sotto la scaletta dell’aereo c’è una sola auto di scorta.
Quando Borsellino rientra dalla Germania dovrebbe incontrare la figlia Fiammetta all’aeroporto di Fiumicino. Infatti Fiammetta è in partenza per Bangkok insieme all’amico Alfio Lo Presti. Purtroppo l’aereo del magistrato atterra a Ciampino per una variazione di programma. Borsellino e la figlia non si vedranno più.
Quello stesso pomeriggio Borsellino va direttamente alla sede dell’Alto Commissariato per la lotta alla mafia per interrogare Leonardo Messina, il pentito di San Cataldo (Caltanissetta), che sa tutto della mafia nissena, che aprirá uno squarcio di luce sulle trame segrete della massoneria in combutta con la mafia e l´alta finanza di riciclatori. Messina parla di guerre sanguinarie tra i clan, descrive omicidi e sparatorie, agguati e massacri, poi chiede: “Dottore, una cortesia, me lo fa un autografo?”. Borsellino resta di stucco: “Un autografo?”. “Si – risponde il pentito – é per i miei figli, me l´hanno chiesto loro, la conoscono, la vedono in tv.” Borsellino, al successivo incontro, si presenta con una cartolina: “In ricordo delle lunghe giornate trascorse con vostro padre. Paolo Borsellino.” [28]
In quei giorni Borsellino e Messina si incontreranno almeno un’altra volta.
“Il decreto antimafia va bene cosí com´é, se modifiche ci saranno esse dovrebbero riguardare solo le norme processuali”: cosí Martelli risponde ai giornalisti, lasciando la commissione giustizia del senato, dove si sta esaminando il decreto anticriminalitá, varato l´8 giugno scorso, che dovrebbe andare in aula mercoledí 15 luglio.[29] Anche se appare ormai improbabile che il decreto possa essere trasformato in legge in tempo utile. Scadra’ l’8 agosto e il governo sara’ costretto a ripresentarlo.
Le posizioni politiche sul decreto non sono affatto univoche, mentre nettamente critici sono gli avvocati penalisti. Il provvedimento fu approvato dal Consiglio dei ministri pochi giorni dopo l’uccisione del giudice Giovanni Falcone. Voleva essere una risposta dello Stato alle azioni delittuose della mafia. Contempla norme molto rigide per i mafiosi detenuti, che devono essere messi in condizione di non avere alcun collegamento con l’esterno. Contiene poi innovazioni riguardo alla raccolta delle prove, al trattamento dei pentiti, al lavoro delle forze dell’ ordine.
Il senatore Paolo Cabras (Dc), intervenendo in Commissione affari costituzionali, ha valutato positivamente il decreto. Ma ha suggerito qualche modifica. Soprattutto vorrebbe cambiare il contenuto dell’articolo 4, dove si parla delle indagini che possono svolgere le forze di polizia e del periodo di tempo che hanno a disposizione prima di informare l’autorita’ giudiziaria.
Qualche riserva ha espresso anche il senatore Mino Martinazzoli (Dc). In particolare egli critica le restrizioni imposte ai commercianti di armi e ai cacciatori i quali, osserva Martinazzoli, “esercitano attivita’ che in Italia non sono state poste fuori legge”.
In Commissione giustizia e’ invece intervenuta la senatrice socialista Alma Cappiello, la quale ha sottolineato l’opportunita’ di “operare alcuni aggiustamenti che rispondano alla ricerca di equilibrio tra tutela del cittadino (garantismo) e tutela della collettivita’ “. Ed ha raccomandato “migliorie al regime di raccolta delle prove e sulla attivita’ di indagine della polizia giudiziaria o, ancora, sul regime penitenziario che – data la gravita’ dei reati di cui si parla – puo’ essere in parte modificato”.
Abbastanza favorevole al decreto si e’ detto il senatore del Msi Romano Misserville, anche se ritiene che “la durezza delle norme proposte non va limitata ai delitti di criminalita’ organizzata di tipo tradizionale; esiste un retroterra delittuoso che ha profondi intrecci col mondo politico, che merita un trattamento altrettanto severo”.
Diversa la posizione dei Verdi: il senatore Emilio Molinari ha illustrato la posizione della sua parte politica come “ferma opposizione”. Il giudizio negativo dei Verdi si e’ incentrato su tre questioni che, a loro avviso, “di fatto hanno stravolto il diritto al processo giusto: lo svuotamento di ruolo della difesa, lo strapotere dato alla polizia, i premi ai pentiti. Tre ingredienti che rischiano di creare un mostro che aumentera’ gli errori giudiziari, mettendo in galera innocenti senza colpire veramente la mafia”.
Molto critici anche gli avvocati penalisti, che hanno indetto tre giorni di sciopero, in segno di protesta contro un decreto che, a loro avviso, “riporta la giustizia italiana ad epoche da preistoria giudiziaria”. Si sono astenuti dalle udienze ieri, non si presentano in aula nemmeno oggi e domani. Terranno, domani, un’ assemblea generale a Roma allo scopo di chiedere alle forze politiche di non convertire in legge il decreto. “Non esiste emergenza che giustifichi un calpestamento del principio di legalita’ – ha detto Vittorio Chiusano, presidente dell’ Unione che raccoglie 72 camere penali italiane – ed e’ inammissibile che si contrabbandi il decreto come un provvedimento destinato esclusivamente a combattere i delitti ed il fenomeno mafioso, mentre in realta’ , stravolgendo l’intero nuovo codice di procedura, riguarda ogni sorta di procedimento”. Le lamentele degli avvocati riguardano in particolare “l’ eliminazione dei principi di oralita’ e di contraddittorio in sostanza annullati con l’ inserimento di “prove precostituite” nel dibattimento”. Questo a causa del fatto che le forze di polizia non sono obbligate a informare subito l’ autorita’ giudiziaria delle indagini che stanno svolgendo. Basta che lo facciano “senza ritardo”. Con un prolungamento enorme dei termini per le indagini preliminari.[30]
La Corte costituzionale decide in merito al conflitto sorto fra il ministro di grazia e giustizia Martelli ed il CSM in modo sostanzialmente favorevole al primo. Il dispositivo della sentenza della Corte recita: “Spetta la ministro della giustizia non dare corso alle delibere del CSM di conferimento di uffici direttivi ai magistrati quando, da parte della commissione competente del CSM, sia mancata un´adeguata attivitá di concertazione, ispirata al principio di leale cooperazione, ai fini della formulazione della proposta; e, conseguentemente, essendo mancata nella specie la suddetta attivitá, spetta al ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell´ufficio direttivo di presidente della corte di appello di Palermo relativo alla delibera del CSM in data 11 dicembre 1991. Non spetta al ministro della giustizia non dare corso alle delibere del CSM sul conferimento di uffici direttivi quando, nonostante che sia stata svolta un´adeguata attivitá di concertazione nei sensi indicati nel capo precedente, non si sia convenuto in tempi ragionevoli tra la commissione del CSM ed il ministro sulla proposta da formulare”.
Venerdì 10 luglio 1992
Dall´agenda grigia di Paolo Borsellino[32]:
Roma
Sco, Alto Commissario
Ore 18.30 Ros
Cena Cc
L´interrogatorio di Leonardo Messina é appena concluso, Borsellino e Canale decidono di andare a cena, da soli. Scelgono una trattoria all´aperto, si siedono. Borsellino ordina “olive e sarde salate per antipasto”. E parla, parla tutta la sera. Parla dei suoi figli. Gli é dispiaciuto non incontrare Fiammetta all´aeroporto, spera che si diverta in vacanza. É felice che Lucia abbia deciso di laurearsi in Farmacia. “Ho sempre avuto nelle narici l´odore dei medicinali di un tempo, mio padre li teneva nei contenitori di ceramica poggiati sugli scaffali del retrobottega della farmacia. Chissá come sarebbe stata la mia vita, se avessi fatto quel mestiere.” É orgoglioso di Manfredi, dei suoi studi di Giurisprudenza. “Quando lo guardo mi rivedo ragazzo.” Canale ricorda che Borsellino, quella sera, “era felice.” Scherzando gli confida persino che, se potesse rinascere, vorrebbe fare il portiere di un palazzo. In divisa. “Potrei vendere l´uovo fresco agli inquilini, ritirare al posta, pagare le bollette della luce e del telefono.” E perché? Per potersi permettere tanti, tantissimi rapporti umani, senza dover sempre considerare il rischio di trovarsi coinvolti in amicizie imbarazzanti. Non sa, allora, Borsellino, che anche il suo fidato maresciallo Canale, anni dopo, sará coinvolto in un processo per collusioni con Cosa Nostra dal quale uscirá assolto con il dubbio.[33]
Il movimento La Rete pubblica un annuncio a pagamento su La Repubblica in cui si denuncia che la Sicilia sta vivendo una stagione carica di gravi tensioni e pericoli…è in atto uno scontro tra chi spinge verso un’etica rinnovata nell’azione politica quotidiana e nel disegno delle prossime indifferibili riforme e chi vuole a tutti i costi mantenere rendite di posizione e vantaggi frutto della corruzione e del malaffare. Cosa Nostra potrebbe voler colpire chi è in grado di dare spessore politico alla rivolta morale ed alla voglia di pulizia. Sentiamo un’attenzione forte sul nostro movimento, su chi ne ha la massima responsabilità. Si tratta di fatti precisi, inequivocabili e conosciuti, accaduti nelle ultime settimane a Palermo. La lettera fa riferimento ad alcuni atti intimidatori ed a pesanti minacce che sono stati indirizzati a Leoluca Orlando, attorno al quale sono state rafforzate notevolmente le misure di sicurezza. Il 2 luglio un´auto rubata é stata fatta trovare dinanzi all´abitazione palermitana di Orlando, vigilata da una postazione fissa dell´Arma. Contemporaneamente sono giunte ai centralini di alcune redazioni delle telefonate anonime che annunciavano l´avvenuto omicidio di Orlando.
La sera il Maurizio Costanzo Show va in onda al teatro Politeama di Palermo. “Siamo venuti qui – spiega Costanzo – perché ci é sembrato che in questo momento Palermo meritasse una risposta da cittá civile qual é. Dopo l´omicidio Falcone qualcosa di molto importante é accaduto per Palermo e per la Sicilia.”
Costanzo ricorda le manifestazioni delle tante associazioni spontanee sorte dopo la strage di Capaci, molte delle quali sono rappresentate tra il pubblico. La trasmissione si apre con le parole e le note di una canzone di Jovannotti dedicata ai ragazzi di Palermo che sono “pronti per vincere la sfida.” Tra gli ospiti, scelti come ha spiegato il conduttore tra la gente “comune”, ci sono infatti molti giovani e persino due bambimi. Tranne il sindaco, Aldo Rizzo, sul palco non sono presenti politici.
Il primo ad intervenire é Giuseppe Costanza, l´autista di Falcone sopravvissuto all´attentato del 23 maggio. Costanza era collaboratore di Falcone fin dal 1984 ed era giá stato testimone dell´attentato fallito il 20 giugno 1989 quando fu scoperta una bomba telecomandata davanti alla villa del magistrato all´Addaura. “Il 23 maggio – ha ricordato l´autista – ero andato a prendere il giudice e la moglie all´aeroporto di Punta Raisi.”
Costanza rivive i momenti dell´esplosione sull´autostrada, sostenendo di essersi salvato per caso, solo perché era seduto sul sedile posteriore. Pochi attimi prima dell´esplosione Falcone, che era alla guida, infatti aveva rallentato per consegnare a Costanza un mazzo di chiavi. In quel momento si verificó la deflagrazione che investí la blindata di Falcone nella parte anteriore.
“É per questo – esclama commosso Costanza – che sono vivo.” [34]
Il governo Amato vara una pesante manovra finanziaria da 30.000 miliardi per sistemare i conti pubblici. Nel provvedimento vengono incluse una tassa del 2 per mille sul valore degli immobili di proprietà ed un’altra tassa del 6 per mille sui depositi bancari.
Il sindacato di polizia SAP protesta perché le auto blindate ed i giubbotti antiproiettile, promessi a Palermo dopo la strage di Capaci, non sono mai arrivati.
Sabato 11 luglio 1992
Dall´agenda grigia di Paolo Borsellino:[35]
Roma
Sco
Ore 16.30 Salerno con Cavaliero
Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, parte per una vacanza in Indonesia insieme ad alcuni cari amici di famiglia: il ginecologo Alfio Lo Presti, la moglie Donatella Falzone, i figli Giorgia e Salvatore, compagni inseparabili di Fiammetta.
Domenica 12 luglio 1992
Dall´agenda grigia di Paolo Borsellino:[36]
Battesimo di Massimo
“Sono le sei del mattino, quando mi sveglio” ricorda il tenente Carmelo Canale. “Nella camera d´albergo che condividiamo, il procuratore é giá al lavoro. Lo vedo scrivere su questa agenda rossa. Gli chiedo: ma che fa? Vuol diventare pentito pure lei? Non stará prendendo nota su cosa abbia mangiato ieri sera a cena e chi c´era con noi?” La sera precedente, a cena, erano in quattro: con Borsellino e Canale, c´erano Diego Cavaliero ed il sostituto procuratore Alfredo Greco.
“Carmelo – risponde gelido Borsellino – per me é finito il tempo di parlare. Sono successi troppi fatti in questi mesi, anch´io ho le mie cose da scrivere. E qua dentro ce n´é anche per lei.” [37]
Il quotidiano Corriere della Sera riporta che il finanziere Filippo Alberto Rapisarda, parte civile nel processo contro gli amministratori della Cassa di Risparmio di Asti in corso davanti alla prima sezione del tribunale penale, e’ stato rinviato a giudizio per bancarotta. La decisione e’ stata presa dalla corte d’ Appello al termine di una lunga serie di provvedimenti adottati nell’ ambito dell’ inchiesta sui risvolti penali della “Pmi”, una societa’ del gruppo “Bresciano” (a sua volta al centro di un annoso contenzioso tra la cassa di Risparmio di Asti e Rapisarda). Filippo Alberto Rapisarda e’ stato rinviato a giudizio per bancarotta documentale e distrazione, in relazione ad un mutuo attinto per conto della “Pmi” da lui acquistata.[38]
Sempre il Corriere della Sera riporta la notizia della richiesta di rinvio a giudizio per abuso in atti d´ufficio continuato ed aggravato del deputato regionale siciliano Salvatore Leanza giá sospeso dal suo incarico il 27 aprile 1992 dal Gip. Tale sospensione dall´incarico di assessore aveva provocato alla fine del mese di aprile le dimissioni del governo regionale siciliano.[39]
Pochi giorni prima di domenica 19 luglio 1992
Una lettera minatoria viene recapitata alla Procura di Palermo con minacce di morte e tre foto, quelle di Paolo Borsellino e di altri due giudici della direzione antimafia.[40]
Lunedì 13 luglio 1992
Il ROS di Palermo comunica ai vertici della Procura e delle forze dell’ordine che è stato segnalato da attendibili fonti confidenziali l’arrivo di un carico di esplosivo in città. I possibili obiettivi, sempre secondo l’informativa, sono Borsellino, il maresciallo Canale, il capitano dei carabinieri Sinico, i politici Salvo Andò e Calogero Mannino.[41]
Nel pomeriggio, un poliziotto della scorta guarda Borsellino in volto, lo vede preoccupato, teso, troppo teso, non puó fare a meno di chiedergli: “Dottore, cosa c´é? È successo qualcosa?” Borsellino, come se non potesse trattenersi, gli dice di botto: “Sono turbato, sono preoccupato per voi, perché so che é arrivato il trirolo per me e non voglio coinvolgervi.” L´agente sbianca, resta senza parole.[42]
Di quei giorni, gli ultimi della vita di Borsellino, la moglie Agnese ricorda la fretta, la frenesia di lavorare, la paura di avere poco tempo, la consapevolezza di essere un bersaglio vivente. “Era turbato. Gli facevo tante domande, e lui non mi rispondeva. E io dicevo: “Ma perché non mi rispondi?”. “Non vi voglio esporre” mi ripeteva “e poi: non ho tempo da perdere, devo lavorare, devo lavorare…” Era turbato, sí, tantissimo.” Agnese ricorda quell´angoscia di correre contro il tempo, per arrivare alla veritá prima di essere fermato. Ma quale veritá? “Ricordo – racconta Agnese – che Paolo mi ripeteva sempre: é una corsa contro il tempo, per arrivare alla veritá prima di essere fermato. Ma quale veritá? “Ricordo – racconta Agnese – che Paolo mi ripeteva sempre: é una corsa contro il tempo quella che io faccio. Sto vedendo la mafia in diretta, devo lavorare tanto, devo lavorare tantissimo.” [43]
“Il tritolo é arrivato con un carico di “bionde”, l´ha scoperto la finanza ed é arrivato per me, Orlando ed un ufficiale dei carabinieri.” É la rivelazione che Borsellino fa in un giorno di giugno a padre Cesare Rattoballi, dirigente dell´Agesci, l´associazione cattolica degli scout, il sacerdote che é diventato suo confidente nelle ultime settimane.
Don Rattoballi é cugino di Rosaria Schifani, é rimasto vicino alla giovane vedova che ha lanciato l´anatema contro i mafiosi, dal pulpito della chiesa di San Domenico, nel giorno dei funerali di Falcone, e delle altre vittime di Capaci. Conosce Borsellino fin dagli anni settanta, gli si é avvicinato in modo particolare in quelle settimane di fuoco, dopo il “botto” sull´autostrada, imparando a leggerne i silenzi, le inquietudini, a rispettarne gli sforzi per scoprire la veritá sull´attacco allo stato.
Anche in questi giorni di luglio, mentre la cittá si va svuotando per le ferie, don Cesare sente il bisogno di andare a far visita all´amico, senza una ragione precisa, guidato dall´affetto o dall´istinto. Il sacerdote é solo, varca il metal detector del Palazzo di giustizia, s´infila nel vecchio ascensore, sale al secondo piano, scivola silenzioso fino in procura. Bussa alla porta di Borsellino. Lo saluta, gli sorride. Si siede di fronte a lui. Non sa ancora che questo sará il loro ultimo incontro.
“Quella mattina, non lo dimenticheró mai – ricorda il sacerdote – era un giorno di luglio, me ne andai in procura, non ricordo per quale ragione, bussai alla porta di Borsellino, lo salutai, lui mi accolse con un sorriso, ci mettemmo a chiaccherare. Parlammo di tante cose, era sereno, preoccupato solo per il futuro dei suoi ragazzi. Ad un tratto mi disse: “Io sono come quello che guarda i quadri, chissá se li potró piú vedere”. Più tardi, quando fui sul punto di andarmene, mi fermó di colpo e mi chiese: “Aspetta, prima di andare via mi devi confessare”. E lí, nel suo ufficio, tra le sue carte, si raccolse e si confessó.
Rattoballi non era il suo confessore abituale. “Paolo – ricostruisce oggi il parroco – sosteneva che il sacramento della riconciliazione si puó ottenere da qualsiasi sacerdote, e quindi non aveva un confessore fisso”. Quella mattina, chiaccherando con don Cesare, l´amico, ma soprattutto il sacerdote, Borsellino coglie al volo l´occasione. Si confessa. Vuole essere purificato. Vuole essere pronto.[44]
Martedì 14 luglio 1992
L´agenda grigia di Paolo Borsellino (martedí 14 luglio 1992)
Il Viminale suggerisce a Leoluca Orlando di contenere al massimo le attività pubbliche esterne vista la grave situazione di pericolo che sta correndo.
Giacomo Ubaldo Lauro, calabrese già appartenente alla ‘ndrangheta rifugiatosi in un paese del Nord Europa, avverte il console italiano del luogo che si sta tramando un attentato a Palermo contro Borsellino. Comunicata a Roma l’informazione il giorno stesso, essa verrà trasmessa a Palermo solo il 25 luglio, cinque giorni dopo la strage di Via D’Amelio.[45]
Nel giro di 24 ore scompaiono nei dintorni di Alcamo in provincia di Trapani Vincenzo Milazzo e la sua compagna Antonella Bonomo. Il Milazzo era ritenuto un uomo di vertice del mandamento alcamese di Cosa Nostra (solo nel 1996 grazie alla collaborazione di Gioacchino La Barbera si saprá che il Milazzo e la Bonomo vengono uccisi da un commando di Cosa Nostra quello stesso giorno a poche ore di distanza uno dall´altro).
La giornata centrale del “Festino” di Palermo che dal 1625 onora Santa Rosalia, patrona della cittá e che da oltre un secolo viene conclusa da uno spettacolo pirotecnico, diventa l´occasione per una grande fiaccolata nel Foro Italico, in ricordo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dei tre agenti di scorta uccisi dalla mafia il 23 maggio.
Alla manifestazione popolare partecipano migliaia di cittadini che sfilano in corteo lungo la passeggiata a mare, mentre alcuni attori su un palco interpretano brani scritti per l´occasione.[46]
Mercoledì 15 luglio 1992
L´agenda grigia di Paolo Borsellino (mercoledí 15 luglio 1992)
Carla Del Ponte, giudice svizzero e collaboratrice di Falcone, rilascia un’intervista in cui afferma di sentirsi minacciata e di non poter momentaneamente fare ritorno in Italia. Attualmente collabora con Antonio Di Pietro nell’inchiesta sulle tangenti milanesi, ma nega che le minacce ricevute siano legate a questo filone di indagini.
I giudici della procura distrettuale antimafia di Palermo ribadiscono la necessità che venga approvato in tempio brevi, dal Parlamento, il recente decreto anticrimine che prevede fra l´altro nuove misure in favore dei pentiti. “Senza il loro apporto – sostengono i magistrati – é illusorio pensare che si possa combattere efficacemente la mafia.” [47]
Il palazzo di giustizia é quasi deserto. É il giorno della festa di Santa Rosalia. Borsellino incontra Ingroia che sta andando in ferie. Borsellino é silenziosamente contrariato, vorrebbe che il suo braccio destro restasse al suo fianco per proseguire il lavoro. Ma Ingroia ha giá prenotato una casa per le vacanze e non puó rinviare. Lo rassicura: si tratta comunque di una sola settimana da trascorrere al mare, a San Vito Lo Capo, a pochi chilometri da Palermo. Borsellino, che al mattino mantiene un atteggiamento di “silenzioso rimprovero”, il pomeriggio incontra di nuovo il Pm.
“Lo vidi sorridere per l´ultima volta – racconta Ingroia – quando gli dissi che sarei rimasto fuori soltanto per il weekend, promettendogli che sarei tornato giá in ufficio lunedí.” Borsellino si é rasserenato. Si alza, abbraccia Ingroia, lo saluta. Il Pm va via, ancora un po´ dispiaciuto di lasciarlo solo in quel palazzo deserto.[48]
Un giorno fra il 15 ed il 19 luglio 1992
Borsellino incarica il tenente Canale di ripescare dall’archivio della sezione anticrimine un rapporto sulla Duomo Connection, inchiesta sui tentacoli della mafia a Milano.[49]
Paolo Borsellino confida al maresciallo Canale che entro l’estate avrebbe arrestato il Procuratore Giammanco, perché doveva raccontare quanto di sua conoscenza sull’omicidio Lima.[50]
Giovedì 16 luglio 1992
Borsellino si reca a Roma per interrogare Mutolo ed altri collaboratori.
Dall´agenda grigia di Paolo Borsellino:[51]
Roma
Dia
Ore 13.30 De Gennaro
L´agenda grigia di Paolo Borsellino (giovedí 16 luglio 1992)
La corte di appello del tribunale di Palermo presieduta da Pasquale Barreca assolve Nitto Santapaola, Mariano Agate, Francesco Mangion ed Antonio Riserbato dall’accusa di essere gli autori dell’omicidio Lipari. La ricostruzione dell’accaduto era stata possibile anche grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara.
Un confidente dei carabinieri di Milano rivela che si sta preparando un attentato ad Antonio Di Pietro e a Paolo Borsellino. La fonte è ritenuta altamente attendibile ed il raggruppamento ROS di Milano invia un rapporto alla Procura di Milano ed a quella di Palermo. L’informativa è inviata per posta ordinaria ed arriverà a Palermo dopo la strage di Via D’Amelio. In seguito a questa notizia viene pesantemente rafforzata la scorta a Di Pietro ed alla sua famiglia, il PM milanese non dorme neppure a casa sua.
Il maresciallo Cava del ROS di Milano tenta anche di mettersi in contatto diretto con la Procura palermitana ma senza risultato.
Borsellino interroga Gaspare Mutolo. É l´ultimo interrogatorio, dura parecchie ore. Il pentito accetta di verbalizzare le accuse su Contrada e Signorino. Ma oggi non si fa in tempo, se ne riparlerá lunedí prossimo. É tardi. Borsellino chiude il verbale senza neppure una parola, sempre piú incupito. Saluta Mutolo, ed é l´ultima volta che lo vede.[52]
Prima di salutare Mutolo, Borsellino riceve una telefonata dalla figlia Fiammetta in partenza da Londra per Bangkok. Il magistrato ne parla con il collaboratore il quale racconta le preoccupazioni per i suoi figli che hanno dovuto cambiare residenza insieme alla madre e che ogni settimana cercano di tornare dai loro amici nonostante il grosso rischio che ció comporta. “Stia tranquillo Mutolo – dice Borsellino – i figli sono tutti uguali, indipendentemente dalla vita che vorremmo fargli condurre, il loro mestiere é farci preoccupare. L´importante é che sappiano sempre che sono il bene piú importante della nostra vita.” [53]
A Roma si svolge un incontro tra il ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli ed i ventisei procuratori distrettuali antimafia. La discussione verte sul decreto legge anticrimine presentato dal governo l´otto giugno. Martelli invita i procuratori a pronunciarsi “su ció che va mantenuto e su ció che puó essere utilmente modificato.” I titolari delle ventisei procure richiedono al ministro di mantenere ferma la struttura portante del decreto limitandosi ad apportare ad esso solo modifiche di “chiarificazione o integrazione”.[54]
Anche il Procuratore di Firenze, Pier Luigi Vigna, condivide lo spirito del provvedimento ma auspica modifiche sull´individuazione delle fattispecie di reato relative alla criminalitá organizzata.[55]
Il quotidiano Corriere della Sera rilancia un´intervista rilasciata dal magistrato elvetico Carla Del Ponte al Nouveau Quotidien di Losanna in cui la Del Ponte rivela di aver ricevuto recentemente minacce di morte: Carla Del Ponte, il procuratore di Lugano che ha lavorato per anni con Giovanni Falcone sul fronte antimafia, che ha indagato con Ilda Boccassini sugli affari delle cosche trapiantate a Milano e che ora collabora con Antonio Di Pietro nell’ inchiesta sulle tangenti, ammette di sentirsi in pericolo, lascia capire di essere stata minacciata recentemente e di “non potere andare in Italia”. In un’ intervista al Nouveau Quotidien di Losanna, spiega: “Dipende dai segnali che mi sono arrivati. Per ora non ho bisogno di protezione. Ho una scorta solo quando mi serve… Per fortuna le cose evolvono con lentezza, ma puo’ darsi che un giorno io non possa piu’ circolare liberamente”. Dopo le minacce a Di Pietro, gli allarmi ripetuti piu’ volte per i giudici antimazzette, dopo i veleni di Milano e le polemiche di Roma, si apre dunque un nuovo fronte. Carla Del Ponte e’ da tempo la sponda piu’ preziosa a Lugano per i giudici italiani. Esperta di riciclaggio, conosce a fondo tutti i meccanismi con cui le famiglie mafiose o i manager senza scrupoli lavano i soldi sporchi negli asettici paradisi finanziari svizzeri. Finora ha lottato contro i narcotrafficanti. Ma l’ indagine di Di Pietro l’ha messa di fronte a una criminalita’ diversa, ai corrotti, ai corruttori, alle bustarelle, ai pagamenti estero su estero finiti nelle cassaforti segrete dei partiti. E lei, che da mesi ha ingaggiato un braccio di ferro con le banche del Canton Ticino per ottenere i nomi di politici e imprenditori che hanno conti nascosti oltreconfine, e’ nel mirino di qualcuno. Di chi? I suoi timori a venire in Italia chiariscono almeno da dove provenga il pericolo. C’e’ in ballo la mafia, oppure Tangentopoli? Risposte sicure non ce ne sono. Dal magistrato non viene nessuna conferma. L’ipotesi che porta a Cosa Nostra pare la piu’ consistente: la Del Ponte era con Falcone quando i mafiosi tentarono per la prima volta di uccidere il giudice all’Addaura, nell’89. E certo, comunque, che la paura torna a far capolino anche nell’ inchiesta milanese. Carla Del Ponte dedica anche una lunga reprimenda ai cronisti italiani che hanno seguito la vicenda delle mazzette: “Se la pubblicita’ deriva una volta o l’altra da un processo, la cosa non mi disturba. Ma detesto quanto mi succede con lo scandalo delle tangenti. I giornalisti italiani hanno superato ogni limite. Non sono Rambo e la notorieta’ dei giudici ticinesi dipende molto dalla vicinanza dell’ Italia, dove esiste una criminalita’ di qualita’ con ramificazioni anche da noi”.[56]
Venerdì 17 luglio 1992
L´agenda grigia di Paolo Borsellino (venerdí 17 luglio 1992)
In mattinata Paolo Borsellino incontra a Roma il capo della polizia Vincenzo Parisi per rivolgergli una richiesta particolare: il rafforzamento della propria scorta. La richiesta é stata formulata da dieci agenti del nucleo scorte di Palermo che si rendono conto che il magistrato é in immediato pericolo di vita e le misure per proteggerlo sono insufficienti. Gli agenti chiedono a Parisi solo di essere armati e di avere il via all´operazione.
Dopo il colloquio con Parisi il sistema con cui viene organizzata la scorta di Borsellino resta invariato.[57]
Borsellino rientra a Palermo. Dall´agenda grigia di Paolo Borsellino:[58]
Ritorno da Roma alle 15
Di ritorno da Punta Raisi, Borsellino fa un salto in procura per mettere i verbali in cassaforte, fare qualche telefonata e salutare i colleghi. Li abbraccia anche, uno per uno. “Loro si meravigliano – racconta Rita Borsellino – perché é una cosa che Paolo non ha mai fatto. Almeno tre o quattro di loro, e tra questi Ignazio De Francisci e Vittorio Teresi, affermano di essere rimasti sconvolti da quell´episodio: “Paolo, ma che stai facendo?” E lui, al solito scherzando: “E perché vi stupite? Non vi posso salutare?” [59]
“É l´ultima volta che sento Borsellino al telefono – ricorda Carmelo Canale – é appena rientrato da Roma, dove era andato ad ascoltare Mutolo. All´interrogatorio, in un primo momento, dovevo andare anch´io. Ma dopo avermi avvertito della partenza prevista per mercoledí, Borsellino mi dá il controordine. Spiega che Giammanco gli ha vietato di portarmi con sé, sostiene che siccome il pentito é gestito dalla Dia, é preferibile che nessuno esterno alla struttura diretta dal generale Giuseppe Tavormina partecipi. Va da solo, quindi, peró appena rientrato mi chiama. Mi chiede novitá sul versante delle indagini su Palma di Montechiaro, mi anticipa come si é svolto il colloquio ocn Mutolo. Lo sento stanco, amareggiato, affaticato. Vorrei incontrarlo, ma sto per lasciare la Sicilia per due giorni, ho un impegno familiare, gli chiedo di accompagnarmi, potrá riposare dopo mesi di lavoro pesantissimo. Lui dice che non é possibile, ha troppo lavoro arretrato. Mi fa una promessa: lunedí partiamo per il nuovo interrogatorio con il palmese Gioacchino Schembri, in Germania. Al rientro ce ne andiamo per una decina di giorni. La meta l´ha giá scelta: l´Asinara. C´é un mare stupendo, producono del formaggio fresco che é la fine del mondo. Le nostre mogli non avranno vetrine da guardare? Pazienza. Si divertiranno lo stesso. Mi saluta: a lunedí . É l´ultima volta che sento la voce di Borsellino.”
Canale sostiene anche che, nel corso di quella telefonata, Borsellino gli avrebbe rivelato che Mutolo ha accusato Bruno Contrada.[60]
Dalla procura, Borsellino torna a casa in auto. A guidare la Croma c´é una carabiniere della Dia. Il magistrato tira fuori dalla tasca il suo cellulare, compone un primo numero, poi un secondo e parla concitatamente. Il carabiniere che lo ascolta riferisce che era “stravolto”. Riesce a captare solo qualche parola: “Adesso noi abbiamo finito, adesso la palla passa a voi”. I due cellulari chiamati dal magistrato sono intestati al comune di Nicosia ed alla procura di Firenze.
“Mi pare che poi si accertó – dirá Gioacchino Genchi, consulente informatico delle procure – che uno fosse il dottor Vigna e l´altro il dottor Tinebra, in quanto il cellualre era allora a lui in uso.”
Quel giorno Tinebra si é insediato alla guida della procura di Caltanissetta. Borsellino, che non fu mai interrogato, voleva essere ascoltato? [61]
Borsellino arriva in famiglia nel tardo pomeriggio, teso, nervoso. A casa, peró, trova spazio per un momento di ottimismo. Dice a Manfredi: “Sento che il cerchio attorno a Riina sta per chiudersi, stavolta lo prendiamo.”
Non fa il nome di Mutolo, non puó farlo, ma confida a suo figlio che c´é un nuovo pentito, uno che sa tante cose, che ha fatto rivelazioni su uomini d´onore vicini a Riina Ma c´é di piú, anche se quel di piú Manfredi lo verrá a sapere solo dopo: il giorno precedente, Mutolo ha promesso di verbalizzare le accuse su Contrada e Signorino. Ecco perché Borsellino é cosí nervoso. Ad un tratto propone ad Agnese: “Andiamo a Villagrazia, ho bisogno di un po´d´aria, ma senza scorta, da soli.”
Agnese é stupita. “Da soli, Paolo, cosa c´é? É successo qualcosa?”
“Andiamo”, ordina.
La moglie lo conosce, lo segue. In macchina, in silenzio, mentre cala la sera, Agnese lo guarda, capisce che é tormantato da mille angosce., mille dubbi. Riesce a fargli ammettere che qualcosa é successo: Mutolo ha parlato, ha detto cose gravissime, ha acccusato personaggi al di sopra di ogni sospetto. Paolo é sconvolto, confida ad Agnese che alla fine dell´interrogatorio era cosí traumatizzato da avere addirittura vomitato. “Stavo malissimo”, dice. Anni dopo, Agnese, sentita come teste nel processo Borsellino TER, ricorda: “Mutolo gli aveva annunciato che avrebbe dovuto parlare di Signorino, peró mio marito ha detto pure: “Se ne riparla la prossima settimana, perché é tardi e dobbiamo […] abbiamo chiuso giá il verbale, dunque se ne riparla lunedí.”
La moglie di Borsellino afferma che Paolo quella sera non fa altri nomi. E lei non insiste con le domande, cogliendo il suo profondo turbamento. “Non gli ho fatto altre domande, sapevo che avrebbe significato ferirlo ancora di piú. Capivo che dentro di lui provava un dolore immenso.” Che ha detto di cosí sconvolgente Mutolo a Borsellino? Ha parlato solo di Contrada e di Signorino? Ha parlato d´altro? [62]
Il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara telefona a Paolo Borsellino per commentare la sentenza del processo Lipari con la quale la corte di appello aveva mandati assolti Nitto Santapaola, Mariano Agate, Francesco Mangion due giorni prima. Borsellino dice a Calcara che si vedranno presto per parlare in particolare di rapporti mafia, massoneria e potere politico. [63]
Di mattina alle 9 circa, un furgoncino Ford Transit grigio chiaro, con targa d´importazione tedesca, condotto da un cinquantenne brizzolato dall´accento palermitano, si ferma a fare rifornimento presso l´area di servizio Reggello, sull´autostrada del sole, all´altezza dell´uscita di Valdarno. L´uomo fa il pieno pagando trentacinquemila lire. Nell´attesa scambia due chiacchere con l´addetto al carburante, gli dice che in Germania la benzina costa meno e che in Italia la situazione politica é critica. E conclude: “Quello che é successo a Falcone é niente, deve succedere qualcosa di piú grosso tra qualche giorno…”
Il giorno successivo alla strage, il 20 luglio, il benzinaio ricorda le parole di quell´uomo ed informa una pattuglia della stradale fermatasi a fare benzina. Con un fonogramma, vengono diramate le ricerche in tutta Italia, “con particolare raccomandazione ai porti dei traghetti in partenza da e per la Sicilia”. Ma ormai é troppo tardi. [64]
Sabato 18 luglio 1992
Borsellino lavora in procura la mattina in procura e nel pomeriggio si reca a far visita alla madre in via D’Amelio, per assisterla durante la visita del cardiologo Pietro Di Pasquale, che aveva promesso un consulto domiciliare. La sorella di Paolo, Rita, non é in casa, ma c´é sua figlia Marta, che fa compagnia alla nonna. Paolo Borsellino é rilassato, insolitamente scherzoso, in un periodo cosí cupo. É seduto nella stanza da pranzo con la madre e con Marta quando arriva una telefonata. É Rita, che chiama da fuori.
Risponde Marta:
– Sai mamma? C´é qui lo zio Paolo. Lo zio Paolo che ha il babbio [che ha voglia di scherzare, N.d.A.]
– Ah si? Passamelo.
– Pronto, Rita?
– Paolo, ciao. É venuto il dottore? Che ha detto?
– No, Di Pasquale non é venuto. Gli si é rotta la macchina.
– Ah, e ora?
– Non ti preoccupare. Ho parlato con lui. Ed abbiamo deciso cosí: domani, dopo pranzo, vengo a prendere la mamma e la accompagno a casa sua. Pietro ci aspetta.
– La visita a casa sua?
– Si, si, me lo ha promesso lui stesso.
– Ma… Paolo, io domani non ci sono. Devo andare a Trabia con tutta la famiglia.
– Non c´é problema, Rita, vengo a prenderla io la mamma, la porto con me.[65]
Prima di rincasare Borsellino si ferma all´hotel Astoria Palace, in via Montepellegrino. Lí incontra David Monti, il Pm di Aosta in vacanza in cittá che gli ha telefonato per incontrarlo e salutarlo. Monti é il magistrato che condurrá a metá degli anni novanta l´inchiesta Phoney Money, su un giro di miliardi riciclati nel quale sono coinvolti faccendieri italiani in rapporti molto stretti con i servizi segreti americani.[66]
Tornando a casa, quella sera, Borsellino saluta il suo portiere, don Ciccio, lo abbraccia e lo bacia. Anche in questo caso sono effusioni insolite, atipiche, mai manifestate prima. Il portinario del palazzone di via Cilea le riferirá, commosso, ai familiari del giudice, nei giorni successivi alla strage.[67]
Il quotidiano Corriere della Sera pubblica un´intervista di Enzo Biagi a Maria Falcone, sorella di Giovanni, la quale sottolinea come tra i moventi della strage di Capaci vi sia la possibilitá che Giovanni Falcone diventasse Procuratore nazionale antimafia:
Enzo Biagi (EB):“Perche’ lo hanno ucciso?”
Maria Falcone (MF):”Lo avevano deciso da anni, era il simbolo della lotta alla mafia. E avevano il terrore che la superprocura nelle sue mani potesse colpirli, con una forza, una organizzazione, che non c’ erano mai state. E anche un avvertimento agli altri magistrati: lui era il bersaglio piu’ difficile da colpire; state attenti, arriviamo dove vogliamo. A Roma, Giovanni se ne andava qualche volta anche in giro da solo, o con un amico, si liberava dalla scorta. Sarebbe bastato anche un killer per colpirlo. Invece hanno voluto dimostrare la loro potenza: e lo hanno inseguito in Sicilia, e assieme alla moglie, volutamente. Sapevano che c’ era con lui Francesca”.
Maria Falcone spiega fra le altre cose le ragioni che indussero il fratello Giovanni a chiedere il trasferimento dalla procura di Palermo al ministero di grazia e giustizia a Roma:
EB:“Come visse l’andata a Roma? Perche’ decise di andarsene?”
MF: “Se ne e’ andato, come si capisce dagli appunti che ha lasciato, perche’ gli era impossibile lavorare a Palermo in una atmosfera che gli consentisse di raggiungere quegli scopi che si era posti. Tra lui e il procuratore capo c’era completa divergenza di vedute. Non esisteva piu’ quell’ armonia dei tempi di Caponnetto; sentiva che le cose stavano andando in una direzione sbagliata, ma non voleva provocare un nuovo dibattito, che la stampa avrebbe trasformato in una montagna di veleni, che avrebbe delegittimato, a vantaggio della mafia, il Palazzo di Giustizia. Partendo mi disse: “Sono sicuro di poter fare a Roma molto di piu’ di quello che ormai posso fare qui a Palermo”.
EB: “Chi erano i suoi amici?”
MF: “Pochi. Alcuni colleghi, tra cui certamente Caponnetto e Borsellino, e poi qualcuno fuori: anche dei giornalisti”.
EB:“E quelli che l’avversavano?”
MF:”Tantissimi. Sia nella magistratura come nella politica”.
EB: “Il giudice Caponnetto ha dipinto Leoluca Orlando come uno che aveva con suo fratello, cito tra virgolette. “rapporti di stima e di affetto, e ricambiato”. E cosi’ ?”
MF: “No”.
EB: “Come viveva?”
MF: “Trovava nel lavoro la sua vera realizzazione. Amava il mare, stare coi suoi, con le persone di cui era sicuro al cento per cento”.
EB: “Quali attacchi lo hanno piu’ amareggiato?”
MF: “La contesa con il giudice Meli per il posto di consigliere istruttore; gli attacchi ingiusti di un suo ex amico, il giudice Geraci, che l’osteggio’ dentro e fuori il Consiglio superiore, e che adesso dice: “Era il migliore di tutti noi”, e la posizione del Giornale, e infine le accuse di Leoluca Orlando che gli attribuiva di tenere chiusa nei cassetti la verita’ sui grandi delitti. Gli dicevo spesso: “Perche’ non ti difendi? Perche’ non quereli?”. “E lui, sempre pacato: “Maria, le cose vanno fatte nelle sedi istituzionali appropriate”. [68]
Domenica 19 luglio 1992
Alle 5 di mattina Borsellino riceve una telefonata dall’altra parte del mondo, sono Fiammetta e l’amico Alfio Lo Presti che gli telefonano per sentire come sta e per parlare con lui.
Dopo la telefonata Borsellino scrive una lettera ad una professoressa di Padova che lo aveva invitato per un dibattito. Quell´invito non é mai arrivato a Borsellino, e la docente protesta: essere un giudice famoso e stracarico di lavoro non deve far dimenticare le buone maniere. C´é anche un questionario con dieci domande: Come e perché é diventato Giudice? Cosa sono la Dia e la Dna? Quali le differenze tra mafia, camorra, ´ndrangheta e sacra corona unita? Quali i rapporti tra la mafia italiana e statunitense? Borsellino, con una pazienza davvero infinita, risponde con una lunga lettera alla professoressa risentita, una lettera che oggi sembra quasi un testamento spirituale:
“Gentilissima” professoressa, uso le virgolette perché le ha usate Lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa, e “pentito” mi dichiaro e dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato agli studenti del Suo Liceo per la mia mancata presenza all’incontro di Venerdì 24 gennaio.
Intanto vorrei assicurarle che non mi sono affatto trincerato dietro un compiacente centralino telefonico (suppongo quello della Procura di Marsala) non foss’altro perché a quell’epoca ero stato già applicato per quasi tutta la settimana alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, ove da pochi giorni mi sono definitivamente insediato come Procuratore Aggiunto.
Se le Sue telefonate sono state dirette a Marsala non mi meraviglio che non mi abbia mai trovato. Comunque il mio numero telefonico presso la Procura di Palermo è (…), utenza alla quale rispondo direttamente.
Se ben ricordo, inoltre, in quei giorni mi sono recato per ben due volte a Roma nella stessa settimana e, nell’intervallo, mi sono trattenuto ad Agrigento per le indagini conseguenti alla faida mafiosa di Palma di Montechiaro.
Ricordo sicuramente che nel gennaio scorso il dott. Vento del Pungolo di Trapani mi parlò della Vostra iniziativa per assicurarsi la mia disponibilità, che diedi in linea di massima, pur rappresentandogli le tragiche condizioni di lavoro che mi affliggevano. Mi preannunciò che sarei stato contattato da un Preside del quale mi fece anche il nome, che non ricordo, e da allora non ho più sentito nessuno.
Il 24 Gennaio poi, essendo ritornato ad Agrigento, colà qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che quel giorno ero a Padova e mi domandò quale mezzo avessi usato per rientrare in Sicilia tanto repentinamente. Capii che era stata “comunque” preannunciata la mia presenza al Vostro convegno, ma mi creda, non ebbi proprio il tempo di dolermene perché i miei impegni di lavoro sono tanti e così incalzanti che raramente ci si può occupare di altro.
Spero che la prossima volta Lei sarà così gentile da contattarmi personalmente e non affidarsi a intermediari di sorta o telefoni sbagliati.
Oggi non è per certo il giorno più adatto per risponderLe perché frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho più tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente poiché dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati.
Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle sue domande.
1) Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l’idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalla necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dare sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica non appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso.
Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso. E’ vero che nel 1975, per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all’Ufficio Istruzione Processi Penali, ma ottenni l’applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle (…) legali, delle divisioni ereditarie ecc.
Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Cons. Chinnici volle che mi occupassi io dell’istruzione del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal Civile, il mio amico d’infanzia Giovanni Falcone e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma, se amavo questa terra, di essi dovevo esclusivamente occuparmi.
Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista poiché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant’anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
2) La Dia è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri, della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, e la sua istituzione si propone di realizzare il coordinamento fra queste tre strutture investigative che, fino ad ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno agito senza assicurare un reciproco scambio di informazioni ed una auspicabile razionale divisione dei compiti loro istituzionalmente affidati in modo promiscuo e non coordinato.
La Dna è una nuova struttura giudiziaria che tende ad assicurare soprattutto una circolazione delle informazioni fra i vari organi del Pubblico Ministero distribuiti tra le… circoscrizioni territoriali.
Sino ad ora questi organi hanno agito in assoluta indipendenza ed autonomia l’uno dall’altro (indipendenza e autonomia che rimangono nonostante la nuova figura del Superprocuratore) ma anche in condizioni di piena separazione, ignorando nella maggior parte dei casi il lavoro e le risultanze investigative e processuali degli altri organi, anche confinanti, e senza che vi fosse una struttura sovrapposta delegata ad assicurare il necessario coordinamento e ad intervenire tempestivamente con propri mezzi e proprio personale giudiziario nel caso in cui se ne ravvisi la necessità.
3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua caratteristica di “territorialità”.
Essa è suddivisa in “famiglie”, collegate tra loro per la comune dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, legittimamente, lo Stato.
Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio principalmente con l’imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l’accaparramento degli appalti pubblici, fornendo al contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro ecc., che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
E’ naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l’imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato ad alcuni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra dei mezzi economici prima indispensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.
Il conflitto inevitabile con lo Stato con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall’interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perché venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.
Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita ecc.) difetta la caratteristica della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra, ma non ne hanno l’organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma minore del “consenso” di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo tende a confondersi.[69]
Alle 7.00, squilla nuovamente il telefono. A quello´ora, é una chiamata insolita. Agnese si preoccupa, si alza dal letto, raggiunge lo studio, ascolta. La conversazione dura pochi minuti. Agnese sente Paolo replicare infuriato: “No, la partita é aperta.” Poi il rumore della cornetta sbattuta sul telefono.
“Che succede?”
Borsellino alza gli occhi, si accorge di averla svegliata, ma é troppo arrabbiato persino per scusarsi: “Lo sai chi era? Quel… Era Giammanco”
Poi, congestionato per la rabbia, le racconta che il procuratore l´ha chiamato dicendogli che per tutta la notte non ha chiuso occhio, al pensiero di quella delega sulle indagini di mafia a Palermo, al pensiero delle polemiche sugli interrogatori di Mutolo. I tempi sono maturi, gli annuncia Giammanco, perché finalmente questa delega gli venga conferita. Il capo la firmerá domani mattina, in ufficio, e gliela conferirá prima della sua partenza per la Germania. Si, ma perché lo chiama di domenica? A quell´ora?
“Ma perché tanta fretta?” chiede Agnese.
Quella delega la aspetta da mesi. Eppure Borsellino, piuttosto che contento é turbato, arrabbiato. Passeggia, si agita, fa su e giú per il corridoio di casa.
Riferisce alla moglie: “Lo sai che mi ha detto? Cosí la partita é chiusa.”
“La partita? E tu?”
Borsellino alza ancora la voce: “E io? Non l´hai sentito? Gli ho urlato: la partita é aperta.” Altro che chiusa, sono comportamenti di cui Giammanco dovrá rendere conto al momento e nella sede piú opportuna, spiega Borsellino alla moglie. Poi si accorge che nello studio é arrivata pure Lucia.
“Oh Lucia, pure tu ti sei svegliata? Mi dispiace… Senti, gioia, vuoi venire con noi a Villagrazia? Magari riusciró a vederti un po´abbronzata.”
Borsellino ora sorride, programma all´istante la giornata: subito a Villagrazia a prendere il sole, poi insieme a Lucia a prendere la nonna per portarla dal cardiologo, infine ritorno a casa: la ragazza a studiare, lui a lavorare.
Ma Lucia é irremovibile. “Non posso, mi dispiace, lo sai che domani ho un esame.”
Neanche Manfredi, quella domenica, accetta di accompagnare papá al mare, nel villino estivo, in un orario cosí mattiniero. “La sera prima – ricorda il ragazzo – avevo fatto tardi, volevo prendermela comoda, cosí ggli dissi: vai avanti, papá, poi ti raggiungo.”
Né Lucia né Manfredi lo accompagnano. Borsellino é un po´ seccato, ma non cambia i suoi programmi. Agnese esce di casa per prima, quella mattina, si avvia a Villagrazia con un cugino, il marito la raggiungerá verso le dieci. Quando piú tardi anche Manfredi arriva a Villagrazia, sono giá le undici, ed il ragazzo trova davanti al villino gli agenti della scorta.
Lo informano: “Suo padre é uscito in barca, con l´amico Vincenzo Barone, é andato a fare un bagno al largo.”
Dopo il bagno, con il motoscafo i due amici vanno a Marina Longa, si intrufolano in un condominio privato in cui si entra dal mare. Lí c´é un risotrante dove Agnese é andata a comprare del pesce, con un´amica. Il giudice spera di incontrarla per tornare in barca, insieme a lei. Ma non la vede. La moglie, infatti, é appena rincasata a piedi.
Quando torna a casa, Borsellino si affretta verso il villino di Pippo e Mirella Tricoli, vecchi amici di famiglia, per pranzare con loro.[70]
C´é un vassoio di panelle e crocchette, il pesce, i dolci. Il pranzo é disteso, sereno. Eppure Pippo Tricoli, testimonierá che quel giorno, senza farsi sentire dai familiari, Borsellino, preoccupatissimo, gli confida i suoi timori: “É arrivato il tritolo per me.” É l´ultimo segnale di allarme lanciato da un uomo ormai consapevole di essere rimasto solo. All´improvviso squilla il cellulare: é Antonio Manganelli, dirigente del servizio centrale operativo della polizia. Gli comunica i dettagli sulla partenza per la Germania, e Borsellino tira subito fuori l´agenda rossa, per annotare gli spostamenti previsti. Quando il pranzo si conclude Borsellino si sposta davanti alla tv per seguire la sua antica passione, il ciclismo. Quel giorno c´é un´altra tappa del tour de France. Poi saluta gli amici, per un piccolo riposo pomeridiano.
“Vado a dormire un po´”, dice, e torna al suo villino, da solo. Si distende sul letto, ma non chiude occhio. Agnese troverá sul comodino il posacenere pieno di cicche di sigarette. Ne ha fumate cinque in poco piú di un´ora.[71]
Quando Borsellino torna in giardino, Lacoste azzurra, jeans, mocassini leggeri Tod’s, regalo di Lucia, sono le 16.30. Ha con sé la borsa portadocumenti dove ha la sciato scivolare le sue carte, l´inseparabile pacchetto di Dunhill, il costume bianco, ancora un poco umido. E dove ha riposto la sua agenda rossa, fresca degli ultimi appunti della giornata.
Passa dal villino degli amici, affianco al suo, saluta tutti, abbraccia e bacia Pippo Tricoli, con uno slancio inusuale, che lascia stupito l´amico, poi Manfredi e Vincenzo Barone lo accompagnano allo slargo davanti al cancello, dove sostano le auto blindate.
“Ciao a tutti” si congeda. “Vado a prendere mia madre, devo portarla dal dottore.” Apre lo sportello posteriore della Croma blindata, e lí posa la sua borsa. Un ultimo saluto. L´auto parte sgommando verso l´autostrada che conduce a Palermo. Comincia il viaggio, l´ultimo viaggio di Paolo Borsellino.[72]
Manfredi Borsellino ha ricordato il commiato del padre con queste parole: “Il ricordo che piú mi é rimasto impresso di mio padre é quando il 19 luglio ci ha salutati al villino al mare e si é allontanato per andare in via D´Amelio. Mi ricordo che ci ha salutati come se veramente fosse un po´ l´ultimo saluto. Mi ricordo che comunque, nonostante tutto, abbia sorriso fino all´ultimo.”[73]
Il corteo composto da tre auto si dirige rapidamente verso Palermo ed arriva in Via D’Amelio dove abita la madre del magistrato. Borsellino scende insieme a 5 agenti di scorta, suona il campanello.
Ore 16.58 e 20 secondi: una carica esplosiva di circa 100 Kg di tritolo brilla all’interno di una FIAT 126 parcheggiata in prossimità dell’ingresso della casa dove abita la famiglia del magistrato. Vengono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti Emanuela Loi, Walter Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano ed Eddy Walter Cosina. Resta ferito l’ultimo agente della scorta, Antonio Vullo, che si salva poiché era l’unico rimasto all’interno di una delle auto blindate
(Speciale CORRIERE DELLA SERA).
Ore 17.16 (Ansa): un attentato dinamitardo é avventuo a Palermo, in via Autonomia Siciliana nei pressi della Fiera del Mediterraneo. Sono rimaste coivolte numerose automobili. Sono molti i feriti. Sul luogo dell´esplosione, avvertita fino ad alcuni chilometri di distanza, sono confluite velocemente tutte le pattuglie volanti di polizia e carabinieri. Vengono richieste ambulanze da tutti gli ospedali. Secondo le prime indicazioni della polizia, sembra che sia rimasto coinvolto nell´attentato un magistrato.
Sul luogo dell´attentato le autoambulanze hanno raccolto decine di feriti per trasportarli negli ospedali della Villa Sofia, del Cervello e del Civico. Tra i feriti vi é anche un agente della polizia di stato che si pensa sia un agente di scorta. Uno dei primi soccorritori ha segnalato di aver trovato per terra una mano. Gli elicotteri di polizia e carabinieri stanno sorvolando l´intera zona. Sul luogo dell´esplosione giacciono a terra i corpi di quattro persone morte.[74]
Nell´immediatezza dell´esplosione corre la voce che un possibile bersaglio dell´attentato sarebbe l´ex-giudice Giuseppe Ayala, che abita a pochi metri da Via Autonomia siciliana. [75]
Ore 17.30: il TG4 condotto da Emilio Fede é il primo Tg nazionale a dare la notizia dell´attentato.
Seguono il Tg3 alle ore 17.35, il Tg2 alle ore 17.36, il Tg1 alle ore 17.38.[76]
La moglie e due figli (Manfredi e Lucia) di Paolo Borsellino apprendono la notizia di un attentato a Palermo mentre sono alla casa al mare di Villagrazia di Carini in compagnia dell´amico Giuseppe Tricoli, il quale ricorda di aver udito la notizia mezz´ora dopo l´attentato dalla tv: “Quando ho sentito che c´era stata un´esplosione a Palermo – dice Tricoli – mi si é gelato il sangue. Fino all´ultimo ho sperato. Agnese ed i due figli erano in giardino con mia moglie, io non sapevo che fare. Poi é entrata un´amica: “C´é stato un attentato”. Agnese é trasalita, s´é alzata di scatto. Ha chiesto a mia moglie di accompagnarla dalla suocera. Aveva capito tutto.” [77]
Ore 17.33: l´agenzia Reuters, citando l´ANSA, informa dell´attentato ricordando l´uccisione del giudice Falcone.[78]
Ore 17.47 (Ansa): nell’attentato di Palermo è rimasto ferito, secondo le prime notizie fornite dalla polizia, il giudice Paolo Borsellino. Nella violenta esplosione di un’automobile imbottita di tritolo, sono rimaste coinvolte l’autovettura del magistrato e le due blindate della scorta.[79]
Ore 17.48: L´agenzia Afp rilancia la notizia dell´attentato affermando che “un magistrato sarebbe rimasto ferito”.
L´agenzia Reuters indica in Paolo Borsellino l´obiettivo dell´esplosione.[80]
Ore 17.53: il Tg5 condotto da Enrico Mentana é il primo telegiornale nazionale a dare come certa la morte di Paolo Borsellino a causa dell´attentato.[81]
Ore 17.57: l´agenzia Afp conferma, citando “fonti di polizia, il ferimento di Borsellino.” [82]
Ore 17.58 (Ansa): l´attentato al giudice Paolo Borsellino ed alla sua scorta é avvenuto in via Mariano D´Amelio. L´esplosione é stata violenta ed oltre all´auto del giudice Borsellino, sono rimaste coinvolte le due auto della scorta ed un´altra decina autovetture posteggiate lungo la strada.
Il manto stradale é stato sconvolto per una lunghezza di duecento metri. L´edificio vicino la quale é avvenuta la deflagrazione dell´autobomba é rimasto danneggiato: muri lesionati, alcune parti crollate, infissi di balconi e finestre divelti fino al quinto piano.
L´autobomba, una Fiat 600 imbottita presumibilmente di tritolo, era stata parcheggiata davanti al civico 21 di via D´Amelio, dove abitano la madre e la sorella del giudice Borsellino. Nella deflagrazione l´autobomba si é disintegrata ed alcuni rottami, dopo un volo di oltre cinquanta metri, sono andati a finire in un giardino dietro ad un muretto.[83]
Ore 18.00: l´agenzia Reuter rilancia la notizia del ferimento di Paolo Borsellino.[84]
Ore 18.14 (Ansa): Il giudice Paolo Borsellino é rimasto ucciso nell´attentato. Il suo corpo, completamente carbonizzato con il braccio destro troncato di netto, si trova nel cortile del palazzo dove abitano la madre e la sorella. Non é stato ancora riconosciuto ufficialmente, ma alcuni suoi colleghi, fra i primi ad accorrere sul luogo dell´attentato, hanno asserito che é “certamente” lui.
Fra le vittime c´é anche una donna, un´agente di polizia che faceva parte della scorta del magistrato. Il suo corpo é stato trovato nel giardino di un appartamento al pianterreno dell´edificio. L´esplosione dell´autobomba ha provocato danni visibili all´edificio fino all´undicesimo piano. Due coniugi, Mauro e Donata Bartolotta, che abitano al pianterreno dell´edificio davanti al quale é avvenuta la strage, hanno reso questa testimonianza: “C´e´ stato un boato terrificante che ci ha sbattuti a terra; sembrava un fortissimo terremoto; non ci siamo resi conto di quello che era accaduto se non subito dopo quando siamo fuggiti da casa. Ci siamo salvati perché in quel momento eravamo in cucina, nella parte retrostante all´appartamento. Abbiamo visto persone che in preda al panico si lanciavano dalle finestre del primo e del secondo piano. Sulla strada c´erano molte automobili in fiamme, c´era un fumo denso, molta confusione, grida, feriti e morti.” Oltre al giudice Borsellino, nella strage sarebbero rimaste uccise altre cinque persone. La notizia é stata data sul luogo dell´attentato da un capitano dei vigili urbani in servizio nella zona per regolare il traffico. Secondo le prime indescrezioni, i feriti sarebbero quattordici civili, alcuni dei quli in gravi condizioni, e un agente.[85]
Ore 18.16: il Tg1 annuncia la notizia della morte di Paolo Borsellino.[86]
Ore 18.19 (Ansa): fra le vittime c’è anche una donna, un’agente di polizia che faceva parte della scorta del magistrato. Il suo corpo è stato trovato nel giardino di un appartamento al piano terreno dell’edificio.[87]
Ore 18.20: l´agenzia Afp dá la notizia dell´uccisione di Paolo Borsellino citando l´agenzia ANSA come fonte.[88]
Ore 18.22: l´agenzia Reuters dá la notizia dell´uccisione di Paolo Borsellino citando l´agenzia Ansa come fonte.[89]
Ore 19.00: il canale televisivo Cnn colloca la notizia dell´attentato senza immagini nei titoli di apertura.
Il radiogiornale Deutschlandfunk ed il secondo canale televisivo Zdf tedeschi danno la notizia dell´attentato.[90]
Ore 19.08 (Ansa): Il ministro degli interni Nicola Mancino, ed il ministro di grazia e giustizia, Caludio Martelli, sono attesi in serata a Palermo. Il figlio del giudice Borsellino, Manfredi, vent´anni, e´stato notato aggirarsi sul luogo della strage, tenendosi a distanza, nel timore di dover apprendere la terribile notizia. Lo ha visto Carmelo Conti, ex presidente della corte di appello, che lo ha stretto al petto senza peró profferire parola. Nessuno ancora gli ha detto la veritá. In via Mariano D´Amelio é anche giunto il suocero di Borsellino, Angelo Piraino Leto, magistrato in pensione che a Palermo é stato presidente della corte d´appello. Lo accompagna, sorreggendolo affettuosamente, il giudice Salvatore Scaduto. L´anziano magistrato cammina lentamente fra le carcasse carbonizzate delle automobili coinvolte nell´esplosione sussurrando: “Voglio andare da Paolo, voglio vedere Paolo, portatemi da Paolo.” La moglie di Borsellino é nella sua casa di via Cilea, in preda a malore. Continua a chiedere a coloro che le stanno vicino notizie di Paolo, ma nessuno finora ha avuto la forza di dirle la veritá.[91]
Ore 19.21 (Ansa): nella strage, oltre al giudice Paolo Borsellino, sono rimasti uccisi cinque agenti della scorta. Sono: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. I feriti sono quindici, uno dei quali é l´agente di polizia Antonio Vullo.[92]
Ore 19.30: il telegiornale inglese del primo canale della Bbc dá la notizia dell´attentato come seconda fra i titoli della giornata, subito dopo quella della tregua in Bosnia. Viene proiettato un filmato da Palermo e lo speaker attribuisce l´attentato alla mafia.[93]
Ore 19.58: Con due telefonate alle redazioni Ansa di Torino e Roma, una persona che ha detto di parlare a nome della Falange armata, ha rivendicato la strage di Palermo. L´uomo ha parlato senza la minima inflessione ed ha lasciato un codice di riconoscimento numerico. Ha dichiarato che la Falange armata “rivendica la responsabilitá politica e la paternitá morale di quanto accaduto in via Autonomia siciliana a Palermo, dove é stato ucciso il giudice Paolo Borsellino.”[94]
Ore 20.05 (Ansa): i feriti ricoverati all´ospedale di Villa Sofia sono finora diciotto. Gran parte di loro sono inquilini dello stabile dal quale Borsellino stava entrando, compreso un agente della scorta del magistrato.
Questo l´elenco: Maria Teresa Lo Balbo, 43 anni; Antonia Greco, 79; Francesca Nacci, 85; Giuseppe camarda, 34; Elvira Fenech, 27; Gianluca Puleo, 15; Claudio Bellanca, 44; Antonina Mercanti, 51; Filippo Mercanti, 79; Rosalia Mercanti, 83; Gioacchina Garbo, 59; Maria Moscuzza, 62; salvatore Augello, 38; Ivan Trevis, 18; Maria Rosa Cataldo, 65; e l´agente di polizia Antonio Vullo, 32 anni. In molti casi i referti individuali ipotizzano prognosi varianti fra i cinque giorni e gli otto giorni, mentre in altri non c´é alcun parere clinico sul decorso.[95]
Ore 22.53 (Ansa – riepilogo): La potenza strategica e militare della mafia ha dato oggi a Palermo l’ennesimo saggio di sangue massacrando, con tecnica ormai collaudata, l’esplosione di un’autobomba, il Procuratore aggiunto Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, fra cui una donna. L’attentato è stato compiuto alle 17.00 in punto in via Mariano D’Amelio, vicino alla Fiera del Mediterraneo, alle falde
Paolo Borsellino, ritenuto il successore “naturale” di Giovanni Falcone sulla trincea antimafia (il suo nome era stato recentemente proposto al vertice della Superprocura), aveva trascorso le ore precedenti all’attentato con la moglie e i figli, ospiti a Villagrazia di Carini del leader siciliano del Msi avvocato Giuseppe Tricoli, amico del magistrato dagli anni universitari. Alle 16.40 Borsellino aveva avvisato gli agenti della scorta di prepararsi per rientrare a
Nella foto da sinistra: Agostino Catalano (43 anni), Vincenzo Li Muli (22 anni),
Emanuela Loi (24 anni), Claudio Traina (27 anni), Walter Eddie Cosina (31 anni)
(fonte: I caduti della Polizia di Stato)
Secondo la testimonianza del collaboratore Giovanni Drago pochi secondi dopo l´esplosione di via D´Amelio il boss Mariano Agate, capomandamento e massone della zona di Trapani, detenuto nel carcere dell´Ucciardone di Palermo, avrebbe commentato il boato avvertito a distanza con queste parole: “Sató macari Paluzzu (saltó pure Paolino)”. [97]
Sera: vengono apposti i sigilli alla stanza del procuratore aggiunto Paolo Borsellino, al secondo piano del palazzo di giustizia di Palermo. Viene sigillata anche la cassaforte dove, secondo i familiari, il magistrato teneva tutte le sue carte di lavoro, soprattutto quelle riservate, coerentmente con la sua volontá di proteggere il piú possibile la moglie ed i figli.
Nei giorni successivi, su disposizione della magistratura, la cassaforte verrá aperta per valutarne il contenuto. “Non si trovó nulla di importante” ricorda Agnese Piraino Leto. “L´eliminazione di Paolo é stata congegnata proprio come un delitto perfetto.” [98]
In tarda serata si svolge un tesissimo vertice delle forze dell’ordine alla Prefettura di Palermo: sono presenti il Ministro della Difesa Andò, il Ministro della Giustizia Martelli, il Ministro degli Interni Mancino, il Prefetto Jovine, il Questore Plantone, il Procuratore Giammanco ed i vertici della polizia e dei carabinieri. Il ministro della giustizia Claudio Martelli indica espressamente l´alto commissario antimafia, il comandante dei carabinieri, il questore ed il prefetto di Palermo come responsabili dei mancati controlli su un obiettivo prevedibile come l’abitazione della sorella del giudice Paolo Borsellino.[99]
Due cortei spontanei che hanno preso le mosse dal centro della città confluiscono a Villa Whitaker: un corteo è formato dagli agenti delle scorte, un altro da cittadini. Giunti di fronte al cancello presidiato da militari della guardia di finanza la situazione si fa tesa, poi alcuni agenti delle scorte riescono a passare lo sbarramento. Vogliono chiedere le dimissioni di tutti i vertici delle forze dell’ordine, compreso il Capo della Polizia Vincenzo Parisi. Al termine della riunione i ministri raggiungono l’uscita molto a fatica, tra le grida e la rabbia di chi si è raccolto di fronte alla Prefettura: “Prefetto assassino, incapace”, “Fuori Giammanco dalla procura”, “Basta con le scorte votate alla morte”. [100]
Sia Giammanco che Parisi vengono fortemente contestati. La riunione dei vertici dell´ordine pubblico in realtá prosegue presso la sede dell´Alto Commissariato per la lotta alla mafia. Sul perché dell´improvviso trasferimento viene fatta circolare la voce che nella sede della prefettura potesse essere presente una “talpa”. I giornalisti che chiedono chiarimenti sul trasferimento alla sede dell´alto Commissariato al capo di gabinetto del prefetto Jovine ricevono questa spiegazione: “C’era stato un problema di energia elettrica. Era mancata la luce nella stanza. Solo questo e’ successo”. [101]
Il Governo approva in tarda serata alcuni provvedimenti urgenti e nella notte 80 pericolosi boss mafiosi vengono trasferiti dal carcere palermitano dell’Ucciardone a quello toscano di Pianosa e l’esercito viene inviato a controllare l’operazione. Contemporaneamente un centinaio di militari di leva del battaglione Genio pionieri “Simeto” e del Terzo gruppo squadroni lancieri “Aosta” viene posti a presidiare le mura esterne dell’Ucciardone perché si teme una reazione di Cosa Nostra all´improvviso trasferimento dei boss. Tuta mimetica, elmetto, maschera antigas, e un vecchio fucile “Fall” a tracolla, l’ immagine che offrono questi giovani militari e’ un tutt’uno con una struttura carceraria fatiscente”. Ci hanno detto che dobbiamo provvedere alla vigilanza esterna – borbottano spaesati – durante la notte siamo stati svegliati. Ci sembrava uno dei soliti allarmi ed invece eccoci qui”. [102]
Numerosi boss di Cosa Nostra vengono dunque trasferiti al carcere di Pianosa dove erano giá stati avviati alcuni lavori di ristrutturazione dopo la strage di Capaci in vista di un possibile utilizzo della struttura carceraria, utilizzo che si era bloccato per una fuga di notizie e per le successive proteste di alcuni amministratori locali preoccupati per l´arrivo nel carcere di detenuti per reati di stampo mafioso. L´arrivo dei boss é testimoniato da alcuni agenti di polizia penitenziaria: “Quando sono arrivati sembravano dei cani bastonati – racconta Francesco, un agente – erano in vestaglia, la testa china, il volto scuro. Qualcuno bestemmiava”. Subito, la prima protesta. Nelle celle ci sono vecchi televisori in bianco e nero. “Noi li vogliamo a colori”, hanno tuonato i boss. Richiesta negata. Michele Greco ha mormorato: “Ma dove siamo, non abita nessuno qui”, poi e’ stato chiuso nell’unica cella singola del carcere. Ha chiesto di poter fare un telegramma. Gli hanno risposto che le cose erano cambiate: “Mi sembrava molto turbato – racconta un altro agente – un boss in ginocchio”. [103]
Lunedì 20 luglio 1992:
La situazione alla procura di Palermo é molto tesa: alcuni magistrati si riuniscono per decidere se presentare le dimissioni o chiedere quelle del procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco il quale a sua volta annuncia l’intenzione di dimettersi a patto di ricevere una lettera di solidarietà da parte dei colleghi. Non arriveranno né la missiva di solidarietà né le dimissioni. Questi i commenti di alcuni magistrati palermitani:
Guido Lo Forte: “Le dimissioni sarebbero solo un grosso regalo a Riina. Non possiamo scrivere quest’ epitaffio sulla tomba di Paolo Borsellino”.
Vittorio Teresi: “La lotta alla mafia non e’ piu’ compito dei magistrati. Chi la fa muore e muore per nulla. Io non voglio morire per nulla”.
Alfredo Morvillo, fratello della moglie di Giovanni Falcone, Francesca: “Lo so, e’ triste ammetterlo ma, sino ad oggi, credo proprio che la consapevolezza che la mafia abbia vinto e’ incontestabile. Non vedo assolutamente alcuna speranza perche’, mancando Borsellino, allo stato non c’e’ piu’ alcuna persona in grado di coagulare in se’ il consenso oltre che riunirci per continuare le indagini”.
Ernesto Stajano: “Ci vuole un intervento delle forze di polizia e con strumenti diversi da quelli utilizzati fin qui”. Giammanco si dimettera’ ? – chiede il cronista del Corriere della Sera. “Non ne voglio parlare – risponde Stajano – Ma e’ certo che esistono delle difficolta’ anche sul piano personale per il procuratore capo che si trova a gestire una situazione d’ eccezionale gravita’ con una carenza obiettiva di strutture e di strumenti normativi. Non si puo’ rischiare la vita in queste condizioni. Vorrei correggere quello che ho detto: questa non e’ una guerra, questo e’ un massacro”. Sono le quattro del pomeriggio. La camera ardente e’ pronta.
Pio Marconi, consigliere “laico” (Psi) del CSM, taglia corto sulle accuse contro Giammanco: “Un magistrato coraggioso, che regge l’ ufficio con grande capacita’ ed e’ ingiustamente attaccato. Se siamo in guerra con la mafia, non possiamo delegittimare chi la combatte”.
Gia’, la guerra. Il sostituto Ignazio De Francisci fa il bilancio sul campo. Ed e’ un bilancio triste assai: “Con la morte di Borsellino se ne e’ andato il 60 per cento del potenziale della Procura palermitana”. “E il quaranta per cento che rimane?”, chiede il cronista. “Arranca” risponde De Francisci. “Tanto vale andarsene, allora?”. “Qualcuno sostiene che noi dobbiamo continuare. Ma noi chi siamo?” [104]
Vincenzo Parisi, capo della Polizia, esprime “fiducia ed ammirazione per l’intenso e costruttivo lavoro che l’Alto magistrato (Pietro Giammanco, ndr) ha sempre svolto, guidando mirabilmente la polizia giudiziaria distrettuale”. Giovanni Galloni, vicepredidente del CSM, dichiara: “Sono vicino a Giammanco così come a tutta la procura di Palermo. In questo momento si darebbe ragione alla mafia se di fronte ad un simile attacco proditorio si assistesse allo sfascio delle strutture dello Stato e della magistratura”.
Maria Falcone rilascia un’intervista durissima nei confronti del procuratore di Palermo: “Per quanto è dato sapere nulla è avvenuto sul piano delle indagini dopo l’uccisione di mio fratello. Chi non ha saputo tutelare la vita di Giovanni, di Francesca, degli agenti della scorta morti a Capaci, non è stato in grado di assicurare adeguata protezione neppure a Paolo Borsellino che non poteva non esser considerato il nuovo naturale bersaglio della mafia. In questo paese è ora che qualcuno cominci a pagare per non aver saputo assolvere ai propri compiti. Ho appreso dalla TV che il procuratore Giammanco avrebbe manifestato l’intenzione di rassegnare le dimissioni…ritengo che il proposito debba esser coltivato sino in fondo, altri magistrati debbono prendere il suo posto. Alla Procura di Palermo occorrono giudici sui quali tutti si debba esser certi e tranquilli, giudici non chiamati in causa da quei chiari appunti già pubblicati dai giornali e che Borsellino aveva detto, quasi a futura memoria, di ben conoscere.”
Giuseppe di Lello è altrettanto chiaro: “Lo Stato, pezzi dello Stato, hanno stretto da decenni un patto scellerato con la mafia. Non appena si è tentato di cambiare registro, non appena è arrivata la sentenza della Cassazione che ha confermato l’impalcatura del maxi-processo, non appena i boss, già scarcerati, sono tornati in cella, Cosa Nostra ha avuto una reazione selvaggia. Non poteva accettare che questo patto decennale di non belligeranza venisse disdetto da uno dei due contraenti. Ed ecco i morti, ecco Falcone, ecco Borsellino.”
I fratelli dell´agente di polizia Agostino Catalano ucciso nella strage di via D´Amelio rilasciano una breve intervista al Corriere della Sera in cui raccontano della vita del loro fratello:
“Un ragazzo d’oro che per garantire qualche lira in piu’ alla propria famiglia aveva cominciato a fare le scorte, a guadagnare quella miseria di straordinario che spesso gli veniva pure dimezzato quando superava il tetto delle ore consentite”. E Salvatore Catalano racconta la sua storia di dolori e sacrifici. Sposato con Maria Pace, il 23 ottobre dell’89 Agostino Catalano era rimasto vedovo. La moglie era morta per un tumore, lasciandolo con tre ragazzi, Emanuele, Emilia e Rosalinda, che oggi hanno rispettivamente 20, 17 e 12 anni. “Fu un periodo molto duro per lui – dicono quasi in coro i fratelli Salvatore, Tommaso e Giuseppe – con tre figli e una casa da mandare avanti e il lavoro di poliziotto. Ma lui continuava imperterrito, sempre buono e sereno, incoraggiando addirittura noi a resistere, perche’ era lui che dava forza alla famiglia e i suoi bambini erano i nostri. Siamo una famiglia forte e unita noi Catalano e resteremo forti e uniti, come sempre”. Agostino Catalano e’ morto per caso. “Faceva parte della scorta di padre Sorge – continua il fratello Salvatore – ed era in ferie quando lo hanno chiamato per raggiungere un numero sufficiente per la scorta di Borsellino. E lui non ha detto no. Il 15 settembre doveva partire per il corso di sottufficiale”. Per dare una madre ai suoi tre figli, Agostino Catalano circa un anno fa si era risposato con Maria Fontana. “Sembrava che la felicita’ fosse ritornata in casa sua”, continua Salvatore Catalano. Sempre disponibile, sempre pronto ad aiutare il prossimo, come quel dodicenne che stava annegando nel mare di Mondello appena un mese addietro e che lui aveva salvato con la respirazione bocca a bocca. “Ma non lo aveva abbandonato – racconta ancora Salvatore – e si stava prodigando per aiutarlo a superare lo choc con l’ aiuto di uno psicologo suo amico”. [105]
Sul Corriere della Sera compaiono altre brevi informazioni sugli agenti morti nella strage di via D´Amelio:
Era stata assegnata al nucleo scorte della questura di Palermo dopo la strage di Capaci, Emanuela Loi, 24 anni, nata e cresciuta a Sestu, a una decina di chilometri da Cagliari. E la prima donna poliziotto caduta sul fronte della lotta alla mafia. Una fine atroce, il corpo martoriato dall’esplosione che ha dilaniato il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e altri quattro agenti della scorta. A Palermo era arrivata due anni addietro. Biondina, minuta, dal carattere allegro, Emanuela Loi si era fatta subito voler bene dai suoi colleghi maschi. Il primo servizio, appena arrivata nel capoluogo dell’isola, lo aveva svolto in un commissariato. Un lavoro di “routine” per farsi le ossa, dopo aver concluso il corso a Roma per diventare agente di polizia. Quindi successivi incarichi nei piantonamenti ai detenuti agli arresti domiciliari e altri servizi di normale amministrazione. Per le sue qualita’ professionali, Emanuela Loi, dopo la strage di Capaci, fu inserita nel gruppo di poliziotti di rinforzo appositamente predisposto dal ministero dell’Interno. Quando l’avevano trasferita a Palermo, Emanuela aveva detto: “Se ho scelto di fare la poliziotta non posso tirarmi indietro. So benissimo che fare l’agente di polizia in questa citta’ e’ piu’ difficile che nelle altre, ma a me piace”. Amava il suo lavoro ma non trascurava gli affetti. Emanuela era prossima al matrimonio.
Sempre per rinforzare il nucleo scorte, da Trieste fu trasferito a Palermo Walter Eddie Cosina, 31 anni, nativo di Norwood, Australia. Era arrivato a Palermo dieci giorni dopo la strage di Capaci. Non era alla sua prima esperienza: infatti gia’ a Trieste faceva parte del nucleo scorte. Ferito, ormai in fin di vita, e’ stato trasportato all’ospedale, ma vi e’ giunto cadavere.
Il vecchio del gruppo di agenti che scortava il giudice Borsellino, per il quale le misure di sicurezza erano state rafforzate dopo le dichiarazioni del pentito Vincenzo Calcara, era Agostino Catalano, 43 anni, sposato e padre di tre figli. Raccolto agonizzante in via D’Amelio, per Catalano non c’ e’ stato nulla da fare. L’ agente lascia due figli orfani. Aveva infatti perso la moglie nei mesi scorsi.
Gli altri agenti uccisi dalla bomba sono Claudio Traina, 27 anni, palermitano come Vincenzo Li Muli, 22 anni. Ferito, infine, e ricoverato sempre nell’ ospedale di Villa Sofia, Antonio Vullo, 32 anni. L’esplosione ha provocato anche il ferimento di 23 persone, tutte residenti nei palazzi che si affacciano su via D’ Amelio. A eccezione di Giacoma Garbo, 52 anni, ricoverata all’ ospedale “Cervello”, tutti gli altri si trovano a Villa Sofia, con prognosi dai 5 agli 8 giorni. Tra i ricoverati, Ivan Trevis, 18 anni, testimone oculare dell’attentato: “Avevo posteggiato la mia auto – racconta – quando ho visto la fiammata della bomba. Mi sono gettato a terra e cosi’ mi sono salvato”. [106]
Sul quotidiano la Repubblica:
Nella sua Sardegna l’aspettavano per la fine del mese. Ma l’agente di polizia Emanuela Loi, 24 anni, bionda e carina, descritta da colleghi e amici come gentile e risoluta, non tornerà più. A Sestu, il paese natale nell’hinterland di Cagliari, tornerà domani solo il suo corpo dilaniato dall’esplosione che l’ha uccisa insieme al giudice Borsellino e ai quattro colleghi. Emanuela Loi è la prima donna poliziotto morta in servizio. Nelle ultime ore i familiari hanno vissuto momenti di angoscia straziante. Il padre di Emanuela, Virgilio Loi, 67 anni, ferroviere in pensione, è sconvolto: “Non trovo più parole per esprimere quello che provo”. Sul volto della madre, Berta Lai, di quattro anni più giovane del marito, non scorrono più lacrime. Le ha consumate tutte nella tremenda serata di domenica, quando ha saputo ella morte della figlia. Intorno ai genitori si sono stretti i due fratelli dell’agente assassinata. Il maggiore, Marcello, 27 anni, fa l’autista. Ha saputo dell’accaduto soltanto a qualche ora di distanza dall’attentato. Trascorreva fuori la giornata di festa ed è corso subito a casa temendo il peggio. Ha capito tutto non appena ha visto il padre e la madre. La sorella Claudia, 26 anni, lavora come parrucchiera ma aspirava anche lei a seguire le orme di Emanuela: aveva già presentato domanda per entrare in polizia. Da qualche giorno era in vacanza sui monti del Trentino. Ha telefonato a casa senza sapere nulla: “Torna subito – le ha detto la madre – a Palermo la mafia ha ucciso Emanuela”. Insieme ai familiari, nella tarda mattinata, ha quindi preso posto su un aereo di linea per Palermo. Appassionatissima nel lavoro, pignola e scrupolosa, Emanuela era anche una tiratrice scelta. Arruolatasi all’età di vent’anni, dopo il diploma magistrale, era stata trasferita nel capoluogo siciliano e soltanto da un mese era al servizio scorte. I familiari le avevano detto di essere preoccupati per questo nuovo incarico, decisamente più rischioso dei precedenti. “E’ il mio lavoro, non posso certo tirarmi indietro”, aveva risposto Emanuela ai genitori. Poi, per allentare la tensione aveva spiegato che presto sarebbe tornata a Sestu per un periodo di ferie.
E nella camera ardente i familiari degli agenti morti con Paolo Borsellino raccontano storie di grande dolore. Ci sono i figli di Agostino Catalano, il caposcorta. In meno di tre anni sono rimasti orfani di padre e di madre.
A Palermo sono arrivati anche la mamma e la sorella di Eddie Walter Cosina.
Claudio Traina era voluto tornare nella sua Palermo a tutti i costi: aveva chiesto lui di essere assegnato alle scorte. Da qualche tempo viveva insieme ad una ragazza, Maria Petrusia dos Santos, dalla quale aveva avuto un bimbo.
Vincenzo Li Muli aveva solo 22 anni. A 19 aveva realizzato il suo sogno di entrare in polizia.[107]
Secondo il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli c’e’ un collegamento, sia pure indiretto, fra la strage di Palermo e l’inchiesta milanese Mani Pulite sulle tangenti. “Se potessimo concederci il lusso di uno spunto di ottimismo si potrebbe dire che queste stragi sono gli estremi guizzi che la Piovra esibisce, forse proprio perche’ si sente tallonata. L’ azione intrapresa dalla magistratura a Milano, e seguita anche in molte altre sedi giudiziarie, e’ un´azione che attraverso la purificazione e la pulizia nella pubblica amministrazione puo’ minacciare molto da vicino il mondo dell’ affarismo mafioso”. Borrelli respinge con decisione l’ipotesi contraria, e cioe’ che la mafia sarebbe avvantaggiata dalla delegittimazione delle istituzioni seguita dalle manette ai politici. [108]
Nel pomeriggio si svolge una tesa riunione fra gli agenti delle scorte e Parisi. Vengono posti sul tavolo infiniti problemi, a partire dal perché dopo Capaci erano arrivate solo 4 auto blindate a fronte della richiesta di 20, alla ragione per cui la sollecitazione dell’auto bonifica per Borsellino era andata disattesa, al motivo per cui non c’era la zona rimozione in Via D’Amelio nonostante le scorte ne avessero segnalato la necessità.
Al termine della riunione Roberto Leone, inviato del quotidiano La Repubblica, intervista brevemente in questura il capo della Polizia Vincenzo Parisi:
Vincenzo Parisi (P): “C’è molta tristezza, ma anche molta determinazione. Non ho trovato negli uomini cadute di coraggio, di impegno e nemmeno di irresponsabilità”.
Roberto Leone (L): “Ma la protesta di domenica notte?”
P: “L’ mozione di domenica va capita. Si è stati spinti dall’onda emotiva. Purtroppo restano in piedi i problemi, molto sangue è stato versato. In meno di due mesi otto agenti, tre magistrati, tutti valorosi…”.
L: “Ma davanti a questo drammatico bilancio non ha pensato nemmeno per un attimo di dimettersi?”
P: “Sarebbe troppo facile forse, o troppo comodo. Certo si può sempre essere avvicendati, ma non tocca a me valutare il mio operato”.
L: “I mezzi, gli strumenti…”
P: “Abbiamo avviato in queste settimane una ricerca verso altri corpi di polizia e di Intelligence per sapere se esistono apparecchiature in grado di individuare o di rendere inoffensivi questi congegni. La risposta è stata negativa. Attentati come quelli di domenica e di Capaci sono imprevedibili”.
L: “Una dichiarazione di impotenza?”
P: “No. Il problema deve essere quello di una lotta ferma. La mafia è silente quando non vengono colpiti i suoi interessi”.
L: “Nell’immediato?”
P: “Ora c’è il decreto Scotti-Martelli che speriamo sia subito convertito. Certo il momento non è facile. Come ha detto il presidente Scalfaro o si esce dalla strettoia o si rischiano guai ancora peggiori”. [109]
In un editoriale sul Corriere della Sera Vincenzo Consolo si domanda chi ha deciso la condanna a morte di Paolo Borsellino e prima ancora di Giovanni Falcone con queste parole: “Ieri Falcone, ora Borsellino, quest’uomo quasi rude, schietto. E l’ infinita schiera, prima di loro, di martiri della mafia. Una strage dopo l’altra, un assassinio dopo l’ altro. Con una ripetitivita’ senza fine, con una prevedibilita’ lampante, con condanne pubblicamente annunciate. Da quale tribunale? Questo vorremmo sapere. E vedere le facce oscene dei giudici, il loro sguardo agghiacciante, il loro ghigno belluino. Sapere chi sono questi che hanno decretato la fine, in Sicilia, in questo nostro Paese, della democrazia, della civilta’ , e per quali tremendi fini. [110]
Il Corriere della Sera riporta che negli ultimi giorni precedenti la strage di via D´Amelio Paolo Borsellino fosse ad un passo dall´essere candidato al vertice della Procura nazionale antimafia perche’ proprio in questi giorni si stavano superando le ultime difficolta’. Borsellino viene indicato come il candiato del ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli alla guida della superprocura: scartata (dopo la risposta negativa del CSM alla riapertura dei termini per il concorso alla guida della superprocura, ndr) la possibilita’ di un ritiro spontaneo degli altri candidati (cioe’ Cordova e il procuratore capo della Repubblica di Civitavecchia Antonino Lojacono) per favorire appunto la scelta di Borsellino, Martelli comincio’ a pensare a un decreto legislativo da inserire nel pacchetto delle misure antimafia, il cosiddetto maxidecreto varato alla fine di giugno. Ma il governo, all’ultimo momento, congelo’ tutto ritenendo piu’ opportuno attendere la decisione della Corte costituzionale che si sarebbe dovuta pronunciare sul conflitto scoppiato sul tema delle nomine agli incarichi direttivi della magistratura tra il guardasigilli e Palazzo dei Marescialli. In poche parole si trattava di stabilire se il “concerto” col ministro per decidere a chi assegnare le poltrone piu’ importanti della magistratura significava per il Csm ricevere dal guardasigilli un parere vincolante o soltanto un generico gradimento. Pochi giorni fa i giudici della Consulta hanno risolto la controversia con un invito alle due parti in conflitto a “realizzare un’adeguata attivita’ di concertazione ispirata al principio della leale cooperazione”. E che solo in un prolungato disaccordo “il ministro non puo’ rifiutare di dar corso alle delibere dell’organo di autogoverno dei magistrati”. Questa decisione era all’esame degli esperti del ministero di Grazia e Giustizia e a quanto sembra una strada per riproporre con successo la candidatura di Paolo Borsellino era stata trovata. Inutilmente, purtroppo. [111]
I partiti politici Pds e Pri annunciano di essere pronti ad approvare il decreto antimafia presentato dal governo dopo aver introdotto alcune modifiche che non intacchino lo sirito del provvedimento: “Le norme del codice di procedura penale – dice il responsabile del Pds in commissione Giustizia del Senato, Massimo Brutti – devono essere modificate tenendo conto della esperienza dei processi di mafia, ma senza allargare a dismisura la discrezionalita’ della polizia giudiziaria e dei magistrati, perche’ cio’ e’ fonte di arbitrii e non giova alla lotta contro la mafia. Il potere della polizia giudiziaria di arrestare chi e’ accusato di false informazioni puo’ dar luogo a pressioni ingiuste e a clamorosi errori. Il fermo di polizia e’ inutile”. Il Pds propone inoltre di estendere l’applicabilita’ del reato di associazione mafiosa alle attivita’ intimidatorie volte a estorcere e controllare il voto.[112]
In serata circolano voci di dimissioni del capo della polizia, Vincenzo Parisi, subito smentite dal Viminale.[113]
Il prefetto di Palermo
La borsa di Milano accusa un ribasso vertiginoso: 9.500 miliardi di lire di capitalizzazione vengono bruciati in un solo giorno. “Non ho mai visto, in tutta la mia vita, una Borsa a questi livelli. Perche’ anche nei momenti piu’ drammatici, e’ sempre stato un problema di mercato. Ma qui non e’ piu’ cosi’. Qui e’ una questione di Paese, di ordine pubblico, di criminalita’ “ dice Attilio Ventura, presidente del Comitato direttivo milanese. Assiste, come tutti, ad un’emorragia che niente sembra riuscire ad arginare. Gli investitori interni vendono quello che possono. Gli stranieri, quei pochi ancora rimasti, negano di aver “disertato per mafia”. Ma le loro controparti italiane sono pronte a contraddirli, a spiegare che invece la smobilitazione avviata da settimane ieri ha registrato una sensibile accelerata.[115]
Il mercato finanziario italiano e´ giá da giorni in forte ribasso per la “guerra dei tassi d´interesse” condotta da alcune grosse banche europee ma anche in seguito agli sviluppi dell´inchiesta milanese Mani pulite che sta svelando un impressionante e pervasivo sistema di corruzione nei partiti politici italiani.
A Montecitorio a Roma si svolge una seduta straordinaria del Parlamento dove il ministro dell´interno Nicola Mancino riferisce sulla strage di via D´Amelio. In tribuna é presente anche il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. Ma l´aula é semivuota: non piu’ di 150 i deputati presenti, meno di un quarto del totale. Ci sono tutti i leader di partito, escluso Bettino Craxi.
Il ministro Mancino ricostruisce le fasi dell´attentato. Ha parlato di “strategia di attacco terroristico e vere e proprie azioni di guerra, alle quali lo Stato deve rispondere in modo energico e fermissimo”. Poi dice che la visita di Paolo Borsellino alla madre non era prevista, e quindi “non era stato possibile adottare, nella circostanza, alcuna misura preventiva di bonifica dei luoghi”. “Borsellino non era un frequentatore abituale della casa della madre” – dice Mancino,[116] il quale precisa che il magistrato era superprotetto, e che la scorta era stata recentemente potenziata. Assicura che i 205 uomini della Dia (Direzione investigativa antimafia) nel giro di pochi mesi saranno decuplicati. Infine accenna a “una revisione dei margini di permissivita’ , che non e’ un attentato ai principi costituzionali”. Il discorso appare piuttosto burocratico. Mancino non raccoglie nemmeno un applauso. Segue un acceso dibattito parlamentare:
A nome della Dc ha parlato Arnaldo Forlani. “La guerra aperta contro lo Stato – ha detto – comporta il rischio di una catena di recriminazioni e divisioni che puo’ preludere alla disfatta dei pubblici poteri”. Quindi, oltre a dotare le strutture dello Stato dei mezzi necessari per affrontare “una fase di piu’ decisa e incisiva lotta al crimine organizzato”, occorre “il presupposto di una comune responsabilita’ tra le forze politiche che hanno contribuito alla Costituzione”.
Invito raccolto da Achille Occhetto, segretario Pds: “Le rivalita’ devono cedere il passo al senso di responsabilita’ . Questa e’ una vera guerra condotta da una forza di occupazione che controlla una parte del Paese. Noi siamo disponibili ad approvare subito il decreto antimafia. Siamo pronti ad assumerci tutte le responsabilita’ , oggi dall’ opposizione, domani dal governo”. Per Occhetto, che ritiene “inadeguato” l’intervento di Mancino, “non servono leggi straordinarie, chi parla di pena di morte inganna l’ opinione pubblica”, mentre la democrazia ha i mezzi per difendersi: “Nessuna legge vieta di arrestare i latitanti, o di controllare il territorio”.
Anche Giulio Di Donato parla di “guerra”, di “sfida molto piu’ grave di quanto fu il terrorismo”. Quindi invita a utilizzare l’esercito per il controllo del territorio in Sicilia, a potenziare la magistratura e le forze dell’ordine, a tutelare i pentiti e incidere sui patrimoni dei mafiosi.
Per la Lega, Franco Rocchetta, quasi solo (“gli altri – spiega – stanno manifestando a Milano in favore dei magistrati”), si e’ scagliato contro governo e partiti: “Avete protetto voi la mafia, che vi ha insegnato la tecnica del racket, e infatti Craxi e’ venuto qui a celebrare l’apologia di reato… “, “Avete ridotto l’ Italia a serva di lupanare”. Si eccita, e “sfora” col tempo. Napolitano lo riprende, e lui protesta contro i metodi “fascisti e stalinisti”, provocando l’indignata reazione di Alessandra Mussolini (Msi).
Molto critico e’ anche Giorgio La Malfa, a nome del Pri: “Dopo l’uccisione di Falcone non ci risulta che siano stati compiuti molti arresti, ne’ che stavolta si siano fatte retate di mafiosi”. E da’ ragione al sociologo Pino Arlacchi: “Non bisogna aver paura di opporre violenza a violenza”.
Anche Carlo Vizzini, Psdi, e’ per la linea dura: “Ci vogliono presidi militari in Sicilia, dobbiamo portare fuori dell’Isola i detenuti che comandano dal carcere. Le garanzie costituzionali le ha gia’ sospese la mafia”.
E all’opposto Alfredo Biondi (Pli): “Non e’ vero che si risponde alla violenza con la violenza. I giudici non devono combattere, ma giudicare: condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti”. Lo applaudono anche Pannella, i Verdi e la Rete.
Francesco Rutelli, verde, propone di “applicare le leggi, prima di farne di nuove” e “congelare gli appalti, rubinetto della mafia”. E invita Mancino a trasferirsi a Palermo, e Scalfaro ad andarci spesso. E vorrebbe le Camere aperte, a turno, anche d’estate. Gianfranco Fini (Msi) se la prende con Mancino: “Sei un incapace, dovresti dimetterti”. E poi propone di applicare il codice militare di guerra: “Le condanne a morte – sostiene – non possono essere eseguite solo dai mafiosi”.
Anche Sergio Garavini (Rifondazione) da’ dell’incompetente a Mancino e parla di “compromissioni fra mafia e governo”.
Carlo Palermo (Rete), ex magistrato che scampo’ a un attentato, chiede le dimissioni del ministro Martelli, dell’alto commissario Finocchiaro e del prefetto Jovine. E battibecca con Napolitano che non gli vuole concedere piu’ tempo e suona la campanella: “Non siamo a una partita di calcio – protesta – la morte di un collega vale piu’ di 5 minuti”. Pannella (che in precedenza aveva “beccato” Mancino e Di Donato) si associa. “Solo 5 minuti a noi, mentre i Vespa e i La Volpe hanno avuto ore per insultarci”, tuona.[117]
Umberto Bossi, segretario della Lega Nord, partecipa ad una manifestazione a Milano di fronte al palazzo di giustizia in sostegno dei magistrati che stanno conducendo l´inchiesta Mani Pulite. “Le bombe di Palermo dovevano fare rumore fino a Milano – afferma il sen. Bossi – Dovevano essere un monito alla magistratura per far capire che la mafia puo’ fermare quando vuole il rinnovamento che c’ e’ stato dopo le elezioni del 5 aprile con la vittoria della Lega, affermatasi come primo partito del Nord”. Il sen. Bossi invita i suoi sostenitori a girare il battimani ai giudici, a Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo e al procuratore della repubblica Francesco Saverio Borrelli da mesi impegnati nell’inchiesta sulle tangenti: “Vogliamo portare un applauso alla magistratura che sta compiendo quello che i cittadini si aspettavano da almeno quarant’ anni”. [118]
Cosimo Scirocco, operaio residente in Germania ma in vacanza nel suo paese di origine nel beneventano, non riesce a spedire un telegramma di cordoglio alla famiglia di Paolo Borsellino per l´opposizione di Michele Borrillo, direttore del locale ufficio postale:
“Questo telegramma non s’ha da fare, caro Cosimo Cirocco. Ne’ ora ne’ mai, o almeno fino a che saro’ io il responsabile di questo ufficio postale”, sentenzio’ Michele Borrillo, 58 anni, direttore delle Poste di Molinara, un paesino del Sannio (a 30 chilometri da Benevento) con poco piu’ di 2 mila abitanti dediti all’agricoltura o impiegati in qualche fabbrichetta di abbigliamento e di alluminio. E aggiunse con piglio dottorale: “Lo prevede l’articolo 18, secondo capoverso, capitolo III delle “Istruzioni sul servizio, edizione aggiornata al 1 ottobre 1985…”. Il povero Cosimo Cirocco, 42 anni, da 20 emigrato a Stoccarda dove e’ caporeparto alla Bosch, sposato, due figli, tornato al paesello per le ferie, di fronte a tanto scibile prima ammutoli’, quindi replico’, alla fine esplose, come Renzo Tramaglino di fronte a don Abbondio che parlava latinorum. La replica fu: “Un povero operaio non puo’ spedire un telegramma di solidarieta’ e protesta per l’uccisione di Paolo Borsellino? Ma allora – e qui Cosimo esplose – la mafia e’ anche qui e lei la copre”. Agitandosi, il dottor Borrillo minaccio’: “E io mi riservo di denunciarla per le sue espressioni irriguardose”. Poi tirando un fazzoletto da tasca, componendosi e asciugandosi il sudore, mormoro’ tra se’ e se’: “Ma guarda che cosa doveva capitarmi dopo 32 anni di servizio e proprio il primo giorno di lavoro dopo le ferie”. Era infatti il 20 luglio quando Cosimo Cirocco, di provata fede missina e italiano (all’estero) ferito nell’onore dalle stragi di mafia, aveva deciso, il giorno dopo la morte di Borsellino, di inviare un telegramma alla famiglia della vittima. La prima ricostruzione e’ del dottor Borrillo: “Mandata da Cirocco, che era ancora in Germania, venne sua cognata per spedire alla sede del Msi di Roma un telegramma cosi’ concepito: “Partecipo al dolore per la morte di Borsellino, ucciso con la collaborazione del governo”. Non potevo accettarlo. L’articolo 18 delle nostre disposizioni recita: “Ove in un telegramma si riscontrino parole scurrili, ingiuriose, denigratorie, e quindi si ravvisino in esse estremi di reato perseguibili a querela di parte il telegramma deve essere inoltrato a destinazione solo se il mittente di cui sia stata accertata l’identita’ sottoscrive il messaggio. In caso contrario deve essere accettato, ma inviato al pretore”. Replica Cosimo Cirocco dalla Germania, dove e’ ritornato al lavoro e dove ha scatenato un putiferio protestando presso l’associazione consolare Com. It. Es. (Comitato degli italiani all’ estero), di cui fa parte: “Le cose sono andate diversamente. Il telegramma intanto diceva: “Partecipo al dolore che ha colpito la vostra famiglia nell’amico Borsellino che e’ stato barbaramente trucidato dalla mafia causa anche la mancata protezione dello Stato”. Di quel magistrato in Germania si parlava tanto, noi italiani lo vedevamo come una bandiera dell’onesta’, lo sentivamo un amico. E’ vero che prima ho mandato mia cognata e che volevo indirizzare il messaggio alla sede del Msi. Di fronte alla reazione del direttore, pero’, mi sono precipitato io alla Posta, perche’ quel giorno ero in campagna, non in Germania. Eppure il direttore non lo ha accettato. E voleva convincermi che lo faceva per il mio bene”. Convinzione immutata nel dottor Borrillo: “Pensi – dice – a quel che sarebbe successo al povero emigrato se avessi mandato il telegramma al pretore”. “Ragazzacci, che, per non saper che fare, voglion maritarsi e non si fanno carico de’ travagli in che mettono un povero galantuomo”, diceva don Abbondio. Gia’, ma come e’ venuto in mente a un povero emigrato di voler inviare certi telegrammi..? [119]
Martedì 21 luglio 1992
Alla cattedrale di Palermo si svolgono i funerali degli agenti di scorta. La famiglia Borsellino ha deciso di attendere l’arrivo di Fiammetta e di celebrare i funerali in forma privata. La chiesa viene presidiata da 4000 agenti fatti venire da fuori Palermo. Lo scopo è quello di evitare il ripetersi dei disordini che si sono verificati la sera di due giorni addietro di fronte alla prefettura. La tensione é alle stelle. I vertici dello Stato sono letteralmente travolti dalle persone presenti all’interno della cattedrale:
[youtube:it.youtube.com/watch?v=rr5umA_cEp8]
(Fonte: antimafiamilitante)
Dalla cronaca del Corriere della Sera:
Non e’ bastato l’assedio di quattromila uomini, armati e disposti a cerchi concentrici in un raggio di un chilometro intorno alla cattedrale. Non e’ bastato filtrare con ossessione da lager gli ingressi in quella chiesa, lasciandola precauzionalmente semivuota. Non e’ bastato neppure un “ritardo strategico di quasi venti minuti”, come commenta un maresciallo, delle autorita’ arrivate da Roma. Alla fine della Messa in memoria dei cinque agenti annichiliti dalla bomba di via D’ Amelio, un minuto dopo l’affranta benedizione delle bare da parte del cardinale Pappalardo, esplode la rabbia degli uomini delle scorte. E, quasi che recitasse la sentenza di un processo appena concluso, uno di loro fissa lo sguardo sul capo dello Stato, sul presidente del Consiglio e sul prefetto Parisi, che gli stanno davanti, leva le braccia in alto e urla: “Li avete uccisi voi”. Partono i calci, gli schiaffi, gli sputi. Contro Parisi, Amato e lo stesso Scalfaro, almeno all’inizio bersaglio forse involontario, lui. Tra l’abside e l’alta navata echeggiano cori da brivido. “Assassini”. “Fuori la mafia da qui”. “Venduti”. Dall’altar maggiore qualcuno fa volare uno sgabello. Dai banchi vengono scagliate un paio di bottiglie d’acqua minerale. Poi tutto si chiude con la fuga precipitosa dei tre “condannati”, attraverso un’uscita laterale. E il giorno della rivolta, a Palermo. Dell’insurrezione contro un governo “che e’ stato sempre complice delle cosche”, contro un capo della polizia “che deve lasciare il proprio posto” (ma che in serata ha dichiarato: “Non mi dimetto, sarebbe un atto di vilta’ “) contro uno Stato “che lascia ammazzare i suoi uomini migliori” e che insomma e’ “colpevole”. Parole scritte sull’unico manifesto che un ragazzo e’ riuscito a portare dentro al Duomo e che un funzionario della questura gli strappa subito di mano. Le immagini del presidente della Repubblica che incespica sulla porta mentre si pulisce i pantaloni sporcati dai calci, del segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni, che si porta il fazzoletto alla bocca dove e’ stato colpito da un pugno, dell’inquilino di Palazzo Chigi che si copre le orecchie per non sentire, del prefetto Parisi con la guancia arrossata per le sberle, queste immagini (sfumate con una prudente dissolvenza dagli obiettivi della tv) sono la rappresentazione della svolta aperta dalla guerra della mafia. La Sicilia e’ stremata, esasperata, rabbiosa. Lo Stato, da qui, rischia ormai di apparire, assieme a Cosa Nostra, come un nuovo nemico: ottocento poliziotti delle scorte e ottomila cittadini che camminano dietro a loro si mettono a sfidare altri poliziotti e carabinieri, oltre ai politici e alle cosiddette “alte cariche”. Funerali a base di incenso e di insulti, di pianti e di ultimatum, mentre si dimettono tutti. Certi giudici della procura e il sindaco l’hanno gia’ fatto; il prefetto della citta’ e il suo collega col rango di capo al Viminale potrebbero farlo nelle prossime ore, magari assieme al procuratore Pietro Giammanco. Per Palermo queste notizie segnano continui soprassalti, nell’attesa del primo funerale di questa settimana. Che comincia alle 15.30, quando sull’altare della cattedrale arabo-normanna si presenta, pallidissimo, il cardinale Salvatore Pappalardo. Lo accoglie un incredibile silenzio, dopo che per piu’ di un ora, prima, qui dentro il gruppo degli agenti delle scorte si era fronteggiato duramente coi colleghi fatti accorrere in massa da diverse citta’ d’Italia. Tanto che sono appunto in quattromila, fra carabinieri, poliziotti e finanzieri, a presidiare chiesa e centro storico, “col compito di tenerci fuori, di cacciarci via”, come gridano gli amici delle vittime abbandonando l’angolo in cui sono relegati. La protesta, con spintoni e minacce, dura meno di mezz’ora, sul sagrato. Poi, all’arrivo dei carri funebri scatta il dietrofront, tornano dentro in massa e a gomitate, e si sistemano ai lati dell’altare. La Messa ha inizio e il vuoto nella fila delle autorita’ viene visto come un oltraggio, dai poliziotti palermitani pronti alla rivolta. “Scalfaro, Amato e Parisi hanno paura, usano la tattica del ritardo per evitare contestazioni”, e’ il messaggio che corre di bocca in bocca. In realta’ la missione dei rappresentanti dello Stato ha subito un paio di pesanti intoppi, che impediscono l’arrivo in orario. Il primo capita nelle strade attorno all’ aeroporto: un sit-in di manifestanti, che blocca il corteo per lunghi minuti. Il secondo e’ colpa del prefetto di Palermo il quale, pensando di migliorare le cose, dirotta le macchine a villa Whitaker: vuole studiare li’, con Scalfaro e Amato, un percorso alternativo per superare alcuni blocchi segnalati dalla questura e la delegazione perde cosi’ altro tempo finche’ proprio Amato decide di ripartire comunque, lungo la strada piu’ semplice e diretta, proseguendo a piedi se sara’ necessario. Cosi’, quando il gruppo prende finalmente posto sui banchi, l’omelia dell’arcivescovo e’ alle ultime battute. Battute amare, una requisitoria religiosa, con un invito che rievoca la parabola evangelica di Lazzaro: “Dico a te, Palermo: alzati! Non adagiarti nel fatalismo! Non rassegnarti alla sconfitta!”. Un lungo applauso. Scalfaro, invitato dall’ ex giudice Ayala, si avvicina ai parenti delle vittime e mormora loro poche parole di solidarieta’. Agli agenti delle scorte che gli chiedono un colloquio attraverso Ayala, manda a dire: “Non oggi, non qui. Li invitero’ al Quirinale”. Sull’affollatissimo altare adesso compare Rosaria Costa, vedova dell’agente Schifani ammazzato con Giovanni Falcone, quella che aveva detto ai mafiosi di inginocchiarsi se volevano essere perdonati. Si aggrappa alla manica del cardinale. Gli mormora: “E dillo, che quelli devono andare all’inferno! Dillo!”. “Ma tu li hai gia’ perdonati, li hai invitati a pentirsi”. “No, non si pentono, quelli… non si pentono”. Il dialogo e’ amplificato dai microfoni, e scattano altri applausi. Poi tutto si chiude con la benedizione, la musica d’organo, i pianti, le grida, la rissa.[120]
Il sostituto Vittorio Teresi ha qualcosa da dire riguardo alle inefficienze dell’apparato di sicurezza: “Chi dice che l’attentato a Borsellino era imprevedibile dice il falso. Non ci voleva molto a capire che Via D’Amelio era ad alto rischio, al n° 68 era stato scoperto un covo dei Madonia. Bastava questo per proteggere la zona dove viveva la madre del giudice. Non l’hanno fatto, l’hanno lasciato morire così: ecco perché chiediamo le dimissioni del ministro degli interni, del capo della polizia, del prefetto, del questore di Palermo. Erano loro a dover garantire la sorveglianza e la sicurezza di Borsellino. Hanno fallito ed adesso vanno cacciati via.” [121]
Fiammetta Borsellino apprende la notizia della morte del padre in serata al ritorno da un´escursione a Bali in Indonesia dove si e´ recata in viaggio insieme ad amici di famiglia: il ginecologo Alfio Lo Presti, la moglie Donatella Falzone, i figli Giorgia e Salvatore, compagni inseparabili di Fiammetta. Dall’albergo Kuta Beach Fiammetta chiama l’Italia: “Questo e’ un posto meraviglioso, io mi sto divertendo moltissimo. Mamma e papa’ come stanno?”. Dall’altro capo del telefono una voce rotta dal pianto ha risposto: “Fiammetta, devi tornare subito. E’ accaduto un fatto terribile…”. Non c’e’ stato bisogno di dire altro. La figlia di Borsellino ha capito. Fiammetta si e’ messa in contatto con l’ambasciatore italiano a Giakarta. Il tempo di fare in fretta le valigie, poi via di corsa verso l’aeroporto di Denpasar per prendere il primo aereo. [122]
Il quotidiano Corriere della Sera riporta che nelle settimane precedenti il giorno della strage un residente in via D´Amelio aveva notato movimenti “strani” nel palazzo di fronte a quello della famiglia Borsellino ed aveva deciso di telefonare alla polizia:
“Ho parlato di brutti ceffi e gente equivoca”, come spiega alle telecamere, senza paura di mostrare la sua faccia e scardinando sul serio la regola dell’omerta’ , un signore che bisognerebbe almeno proteggere. Ignaro d’ogni rischio, costretto a vagare senza casa come altre trecento persone, accusa: “Abbiamo informato che c’ era gente losca, per non dire altro, e ci rispondevano per telefono “Si’ , indaghiamo, indaghiamo”. Ma qui non si vedeva mai nessuno”.
Il cronista del Corriere della Sera ricorda poi come proprio in quel palazzo al n°68 di via D´Amelio fosse stato scoperto nel dicembre 1989 un covo della famiglia mafiosa dei Madonia dove era stato rinvenuto fra l´altro un registro del pizzo. Ma dopo la perquisizione nessuno si era piú preoccupato di controllare l´appartamento e via D´Amelio. Infine il giornalista cita come tra i posssibili moventi dell´attentato gli ultimi colloqui tra il Paolo Borsellino e quattro collaboratori di giustizia:
Un’esecuzione micidiale forse collegata ai quattro pentiti sui quali il giudice lavorava. Uno a Caltanissetta dove era stato annunciato l’attentato contro due investigatori. Uno a Palermo con buone informazioni sulle cosche locali. Uno a Milano con un quadro sulle trame finanziarie. E uno in Germania dove Paolo Borsellino sarebbe tornato oggi, come aveva detto sabato a un suo collega senza commentare la sentenza del giudice Barreca che aveva appena assolto tre mafiosi: “Ne parleremo al ritorno. Ma adesso so tutto sulla mafia di Palma di Montechiaro. Ho capito cosa c´e’ dietro l’omicidio Saetta, l’agguato al maresciallo Guazzelli e l’omicidio Livatino.” [123]
Ignazio De Francisci, PM di Palermo, sottolinea come la sovraesposizione di Paolo Borsellino abbia potuto accelerare la fase esecutiva della strage di via D´Amelio: “Dentro di me ero preoccupato perche’ era stato creato un simbolo (Borsellino, ndr). Era stato indicato, il bersaglio. Dopo la morte di Falcone, tutti a dire: adesso soltanto Borsellino ci potra’ salvare. Questo accentuarsi dell’attenzione su di lui forse ha fatto precipitare i tempi… Si parla di Borsellino come l’ erede di Falcone, come candidato alla Superprocura… e magari un processo in corso da anni ha la sua accelerazione finale e conclusiva”. De Francisci e´ uno dei sostituti palermitani che ha deciso di presentare le dimissioni dalla procura di Palermo e rilascia un´intervista al cronista del Corriere della Sera interrogandosi sul destino della procura palermitana:
“S’e’ gridato troppo presto alla vittoria dopo la morte di Falcone: la fiaccolata, la marcia su Palermo… Pure io m’ero illuso che fosse cambiato qualche pelo di questa citta’. E invece era soltanto un giudizio superficiale”. Ignazio De Francisci e’ uno dei giudici con la valigia. Uno dei sostituti della Procura che vogliono andarsene, perche’ ha deciso che non ne vale piu’ la pena. Ha fatto parte del pool antimafia, e’ stato amico di Borsellino e di Falcone. Ad alta voce, De Francisci riflette su questo momento terribile. Le manifestazioni, le fiaccolate, le marce ci sono sempre state. “Si’, solo che Falcone aveva colpito proprio perche’ era Falcone. Adesso cosa vuole che dica… siamo a fine luglio, la gente va in vacanza”. Non e’ solo questione di vacanze. “Pero’ e’ un fatto che la durezza del colpo e l’obiettiva vittoria di Cosa nostra ci ha messi tutti al tappeto. E’ inutile far proclami di riscossa quando abbiamo il nemico che spadroneggia”. Questa di Borsellino e della scorta era una morte annunciata. “Dentro di me ero preoccupato perche’ era stato creato un simbolo. Era stato indicato, il bersaglio. Dopo la morte di Falcone, tutti a dire: adesso soltanto Borsellino ci potra’ salvare. Questo accentuarsi dell’attenzione su di lui forse ha fatto precipitare i tempi”. E’ difficile credere che l’abbiano ucciso perche’ era finito sui giornali. “Io faccio solo ipotesi sulla base dell’esperienza. Magari loro, tra tanti obiettivi che hanno, si dedicano a uno perche’ l’attenzione dei mass media crea…”. Aspettativa? “Esatto. Si parla di Borsellino come l’erede di Falcone, come candidato alla Superprocura… e magari un processo in corso da anni ha la sua accelerazione finale e conclusiva”. Condivide l’ analisi che fa risalire quest’accelerazione al delitto Lima? “Come scenario complessivo, la morte di Salvo Lima e le stragi di Falcone e Borsellino possono essere viste in un quadro generale. Pero’ siamo soltanto al primo fotogramma”. Il fotogramma mostra che son saltati degli equilibri. O no? “E’ un’ipotesi plausibile”. Parliamo di questo Palazzo, di quale fine fara’ questa Procura. “Me lo chiedo pure io. Ma non mi so dare nessuna risposta. E’ come lo stato maggiore di un esercito in rotta. Chissa’, forse faremo la stessa fine che ha fatto lo stato maggiore del nostro esercito a Caporetto: chi di qua e chi di la’, chi scappa e torna a casa”. Esplodono contraddizioni, malumori, contrasti. C’e’ un senso d’impotenza… “Fino a ieri veniva tutto superato dal senso del dovere e dello Stato che ognuno di noi ha”. O dal senso di solidarieta’ personale verso qualcuno che ora non c’e’ piu’? “Negli ultimi mesi, con la presenza di Borsellino c’era un sicuro punto di riferimento: l’ancora di salvezza da un lato e dall’altro un motore propulsivo. Adesso tutto questo non c’e’ piu’. C’e’ la stanchezza di ognuno di noi, di ognuno che fa questo mestiere e invece dei risultati vede le delusioni: sia in casa propria, nelle sentenze; sia fuori, nel mondo politico e nella societa’ in genere. Ecco, questa stanchezza alla fine poi vince, perche’ siamo tutt’altro che eroi: siamo degli impiegati statali come gli altri. C’e’ un’unica differenza: e’ che in un certo periodo ci siamo ritrovati…”. A navigare su un’onda che portava da qualche parte. “Si’, e’ stata la presenza di alcune persone. Ci hanno fatto salire su una barca e pensavamo che la barca potesse arrivare sull’altra sponda. Avevamo una rotta e un comandante”. E invece ora? “Da un lato, la barca e’ sfasciata e dall’altro, tra i tanti rematori, ce ne e’ qualcuno che rema al contrario”. Questa faccenda delle dimissioni di voi sostituti e’ il segno d’una sfiducia verso una persona, cioe’ il Procuratore capo Giammanco? “In tutta la mia carriera ho sempre cercato di escludere i rapporti personali da quelli d’ufficio. Anche all’epoca del pool antimafia, quando mi ostinavo a salutare Meli nonostante lui facesse il contrario. No, da parte di coloro i quali hanno pensato di dimettersi dalla Direzione distrettuale antimafia c’e’ la constatazione che non si e’ piu’ in grado di andare avanti. Che dove hanno fallito Falcone e Borsellino sarebbe un’utopia pensare che potremmo far qualcosa noi”. Con Giammanco ci sono stati momenti di tensione molto acuta? “Io non lo vedo da trentasei ore”. Non lo vede lei, non lo vede nessuno? “Qualcuno lo vede, qualcuno no. Chi si sente di andarlo a trovare, ci va. A questo punto, per chi ha dei rapporti umani una vera visione, per chi crede nell’amicizia e senza secondi fini proprio non e’ facile superare queste due morti con una doccia la mattina”. Che vuol dire? “Che c’ e’ pure chi tra noi, in questo ufficio, in questo corridoio, a poche ore dalla strage di Falcone, dopo una annoiata e distratta apparizione al suo funerale, ha ripreso la vita di tutti i giorni. Noi, parlo per me e per tanti altri colleghi, abbiamo avuto un primo segno dentro. E questo di Borsellino e’ stato un secondo segno, per certi versi ancora piu’ devastante del primo. Percio’ andare a parlare…”. Lei ha detto che con Borsellino se n’e’ andato il sessanta per cento del potenziale di questa Procura e che il quaranta che rimane arranca. Allora, dove bisogna mettere le mani? “Guardi, la nostra linea offensiva, diciamo la nostra flotta, ha perso la portaerei. Ora ci sono rimaste tante cacciatorpediniere che sguazzano in un mare di mine e che salteranno a una a una”. Di questo e’ convinto? “O salteranno o finira’ il carburante e andremo a remi”. Cosa cambiera’ in questa Procura? “Che andremo in ferie, che la citta’ dimentichera’ fra quindici giorni e noi fra venti. Che riprenderemo la routine, i soldati ritorneranno in caserma. Che ci sara’ qualche lapide in piu’, qualche vedova che per tre mesi non vede la pensione e qualche torneo di calcetto intitolato a questo o a quello. Che si continuera’ a pagare il pizzo e i commercianti continueranno a pagarlo poi verranno a dire a me, che finiro’ l’inchiesta, che non pagavano”. Lei rimarra’ alla procura di Palermo? “Il tempo strettamente necessario ad andarmene e chiedero’ di lasciar prima”. Quanti altri se ne andranno? “Non lo so. Questa e’ diventata una Procura giovane e i giovani non hanno le nostre cicatrici”. Per bloccare le dimissioni c’e’ prima da risolvere un problema politico, piu’ che giudiziario in senso stretto. “E’ un problema anche di decreti, di leggi. Di timide sentenze di condanna e di scandalose sentenze di assoluzione. Di apparati dello Stato che non sai da che parte stanno”. E’ un problema di Cassazione… “Si’, che ti rifiuti di capire perche’ senno’ potresti pure commettere peccati di pensiero. E’ un problema generale di sensibilita’ della classe di governo rispetto alla questione della mafia”. Martelli ha attaccato questore e prefetto, ha detto che loro dovranno rispondere della strage. “Potrei anche risponderle che non me ne frega niente che dopo si scopra che si poteva evitare. Ciascuno si passi la mano sulla coscienza se ancora ce l’ha. Magistrati, agenti dei servizi, funzionari della prefettura e poliziotti: si guardino allo specchio la mattina se si fanno la barba, si chiedano se hanno fatto tutto quanto era nei loro poteri. Non m’interessa sapere chi deve saltare, perche’ la mia vita non cambia d’un pelo se cambia il prefetto, il questore o il capo della polizia”.[124]
Il PM di Palermo Gioacchino Natoli si reca in una localitá segreta per incontrare Gaspare Mutolo. “Posso immaginare cosa stia provando – dice Natoli rivolgendosi a Mutolo – ma non puó tirarsi indietro in questo momento, lo faccia per Borsellino, un uomo cosí buono non meritava di fare una fine del genere”. Natoli cerca di convincere Mutolo a proseguire nella sua collaborazione con la giustizia e dice che personalmente proseguirá nel suo lavoro di magistrato a qualunque costo: ”Continueró , anche se dovessi essere il prossimo ad essere ammazzato”. [125]
Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, commemorando Paolo Borsellino in seno al Csm, lancia un messaggio solenne: «Nuova resistenza!». In che senso? «Questa Patria – dice − deve saper risorgere, e dipende da noi, uomini e cittadini. Resistere, resistere, resistere, perché siamo dalla parte della libertà”. Durante la prima Resistenza, ai tempi del nazifascismo – spiega − «sembrava che l’aurora non sarebbe mai spuntata, e un giorno è spuntata»; «contro il terrorismo le forze si unirono, coraggio e avanti»; oggi, nonostante le stragi e la corruzione, «la democrazia è più forte della violenza e delle azioni criminose, di chi vuole sconfiggere tutto. Siamo di fronte alla crisi più pesante, quella dei valori dell’uomo, ma non vincerà né la violenza né la ricchezza senza morale – guardate ai processi sulle tangenti – vincerà l’uomo se sarà credibile. La gente ha bisogno di credibilità. Non di infallibilità, ché quella non ce l’ha nessuno. Come si può chiedere se chi chiede non ha credibilità?». Per questo «occorre ricominciare dalla ricostruzione dei valori morali» per non deludere «le attese della gente pulita e onesta».
Lo Stato, la Patria – aggiunge Scalfaro – non possono essere rappresentati «da chi non è degno, da chi non è giudice perbene, da chi non è pulito, da chi non è cittadino operoso». D’altra parte perché sono stati uccisi Falcone e Borsellino? «Per che cosa? Per una Patria che abbia il trionfo della giustizia? O perché vinca la disgregazione, l’abbandono, il gettare la spugna? Queste parole non si riferiscono ai magistrati, ma a tutta la realtà dello Stato. Di chi è questa Patria? Solo di chi muore o anche di chi vive e deve vivere e operare? Bisogna quindi resistere. Resistere e lottare tutti insieme!».[126]
Il capo della Procura palermitana, Pietro Giammanco, risponde indirettamente alle critiche con un comunicato stampa: “Profondamente turbato dall’ultima efferata strage mafiosa, ho ripercorso con amarezza nella mia coscienza il doloroso cammino delle critiche che, talvolta in buona fede ma piu’ spesso in malafede, mi sono state rivolte e che peraltro posso facilmente dimostrare essere infondate; mi sono chiesto comunque se fosse opportuno, nell’interesse delle istituzioni, lasciare il mio incarico. Ho riflettuto pero’ sul fatto che in serena coscienza ho sempre fatto fronte senza incertezza alcuna e senza paura all’attacco della mafia. Ho altresi’ riflettuto che la mia decisione non doveva essere influenzata dalle convenienze di fazioni politiche, delle quali non posso e non devo tenere conto, ma esclusivamente dagli interessi delle istituzioni nel momento piu’ terribile dello scontro con la mafia. Pertanto ritengo mio inderogabile dovere non abbandonare l’azione intrapresa, ma continuarla per il raggiungimento del massimo risultato possibile”. [127]
A Milano si svolge in mattinata una manifestazione contro la mafia per ircordare Paolo Borsellino e gli agenti della scorta uccisi con lui. La manifestazione é organizzata dai sindacati Cisl, Cgil e Uil e vede la partecipazione di ventimila persone. In piazza San Marco prende la parola Orlando Minerva, segretario del Sindacato unitario di polizia: “Gli agenti di scorta. non sono carne da macello. Basta con le scorte fasulle a politici che le vogliono come status symbol: a Milano non esiste neppure una macchina blindata ed invito il capo della polizia Parisi ad assumersi le sue responsabilita’ e qualora sia necessario ad andarsene. Abbiamo piu’ volte fatto proposte e cercato un dialogo senza mai ottenere risultati o risposte. Non vogliamo essere martiri ma fare il nostro dovere. Domani, in segno di lutto tutti gli agenti addetti alle scorte porteranno il lutto”. [128]
Con un’ iniziativa senza precedenti il Senato accademico dell’Universita’ degli Studi di Palermo minaccia le dimissioni in massa se governo e Parlamento, cosi’ come le altre istituzioni dello Stato, non cambiano registro sul fronte antimafia. I presidi delle 11 facolta’ di Palermo, con il rettore Ignazio Melisenda Giambertoni in testa, hanno deciso di non tacere piu’ dopo quanto accaduto il 23 maggio a Capaci e domenica 19 luglio in via Mariano D’Amelio. Per due giorni si riuniscono e hanno discusso a Palazzo Steri, sede del rettorato. Alla fine approvano in mattinata un documento in cui, sostanzialmente, chiedono le dimissioni di chi, occupando posti di responsabilita’ , non ha fatto nulla per evitare che due magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nonche’ gli uomini delle loro scorte fossero uccisi da Cosa nostra. E a proposito della strage di via D’ Amelio il Senato accademico “ritiene questo ennesimo eccidio un segnale tragico della volonta’ del sistema di potere politico-mafioso di riappropriarsi del protagonismo affaristico e clientelare della “nuova mafia”, attraverso una sfida, che pretende di essere definitiva, allo Stato repubblicano, ai suoi principi e ai suoi servitori… Di fronte a tanta affermazione di volonta’ omicida il Senato accademico dell’Universita’ di Palermo giudica ancora troppo debole e deludente l’ azione dello Stato, attendista nell’ atteggiamento del Parlamento fermo all’esame del decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri sull’onda dell’assassinio di Falcone, di sua moglie e della loro scorta, nonche’ omissiva nell’azione di governo, ondeggiante tra i rigorismi retorici dei ministri di turno e i lassismi incomprensibili, quando talora non conniventi, degli apparati periferici dello Stato”. Il senato accademico ritiene “indifferibile una immediata assunzione di responsabilita’ a tutti i livelli e per ciascuna delle competenze in qualche modo coinvolte, anche fino alle dimissioni o destituzioni dei vertici preposti all’ordine pubblico e all’ amministrazione della giustizia, compresi i ministri interessati. É questo un segnale forte e chiaro di inversione di tendenza nel confronto, ormai di tipo bellico, con la mafia, che solo puo’ restituire prestigio e dignita’ allo Stato e infondere alle giovani generazioni la rinnovata speranza nella capacita’ delle istituzioni di assicurare loro un vivere civile conforme ai valori di liberta’ e democrazia… Il senato accademico ritiene l’assunzione di responsabilita’ un elemento discriminante per il futuro sviluppo delle relazioni politico-culturali all’interno del sistema rappresentativo della societa’ civile palermitana. In mancanza il senato accademico ritiene di non potersi consentire ulteriormente la continuazione di una convivenza, ormai insopportabile, con gli attuali vertici politico-istituzionali preposti all’ordine pubblico e all’amministrazione della giustizia, fino a giungere alla rinuncia del proprio mandato… Governo e Parlamento devono definire urgentemente un quadro coerente di misure che incidano effettivamente sugli stati patrimoniali e finanziari delle organizzazioni mafiose e dei loro partner politico-affaristici, nonche’ sull’intreccio, ormai chiaro e strettissimo, tra sistema economico e sistema di potere mafioso, tra sistema politico-amministrativo di gestione del denaro e della cosa pubblica e creazione del consenso mafioso-clientelare”. [129]
In mattinata il sindaco di Palermo Aldo Rizzo annuncia le dimissioni con un comunicato stampa: “Dinanzi alla gravissima tragedia che vive Palermo occorre richiamare con forza ciascuno alle proprie responsabilita’ . Per quanto mi concerne ritengo doveroso rassegnare le mie dimissioni e aprire un ampio dibattito cittadino”. Il sindaco spiega questa decisione come “un atto di solidarieta’” verso la magistratura e le forze di polizia e aggiunge di volere corrispondere in questo modo “alla grande e composta rivolta morale della citta’ “. In serata Rizzo annuncia di ritirare le dimissioni: “Il capo dello Stato mi ha pregato di rimanere al mio posto”.
L’ iniziale decisione di dimettersi Rizzo l’aveva maturata lunedi’ notte dopo un assalto notturno al palazzo delle Aquile che, in alcuni momenti, aveva assunto il carattere di una vera e propria “presa della Bastiglia”. Un migliaio di persone avevano cinto d’assedio il municipio, presidiato all’interno dagli esponenti dell’opposizione. I consiglieri della Rete, dell’Msi, di Citta’ per l´uomo ed Ernesta Morabito di “Insieme per Palermo”, infatti, avevano occupato l’aula del consiglio in segno di protesta contro il sindaco. La manifestazione era stata decisa in seguito all’improvvisa “chiusura” del municipio. Lo stesso Rizzo, qualche ora prima, aveva invitato al palazzo delle Aquile i cittadini per manifestare dopo la strage mafiosa. Successivamente il sindaco aveva pero’ negato l’autorizzazione ad accedere in municipio, “per motivi di sicurezza”. A presidiare il municipio erano cosi’ rimasti
In un´intervista allo speciale del TG1 Linea Notte il ministro dell’ Interno, Nicola Mancino, afferma che una talpa avrebbe potuto controllare gli spostamenti di Paolo Borsellino nei giorni precedenti la strage: “Quando si e’ a corto di notizie sulle modalita’ di preparazione dell’ attentato, ogni ipotesi puo’ accreditarsi, prendere corpo… Io so questo: la vedova del giudice Borsellino ha detto a Martelli, ad Ando’ e a me la notte che siamo andati a renderle visita che il marito il giorno precedente doveva andare a casa della mamma per assisterla in una visita medica. Questa visita non c’e’ stata; c´e´ stata invece una telefonata del medico che ha chiesto di posticipare al giorno successivo la visita. Non so quale strumento telefonico sia stato utilizzato, faccio l’ipotesi di un cellulare. Questo cellulare puo’ avere trasmesso la comunicazione, perche’ e’ facile l’intercettazione di un cellulare”. Nel corso dell’ intervista, Mancino affronta i temi della lotta alla mafia, della Superprocura, della Dia e delle scorte. In merito alla Superprocura dice di augurarsi “che non si facciano piu’ nomi, soprattutto quando essi vengono fatti dalla parte politica”.[131]
Vengono riaperti i termini per il concorso a capo della Direzione nazionale antimafia per mezzo di un emendamento specifico che compare nelle modifiche predisposte dal governo al maxidecreto varato dopo la strage di Capaci. L´emendamento indica che alla direzione e’ preposto “un magistrato… scelto tra coloro che hanno svolto anche non continuativamente, per un periodo non inferiore a sei anni, funzioni di Pubblico ministero o Giudice istruttore; sulla base di specifiche attitudini, capacita’ organizzative ed esperienze nella trattazione di procedimenti relativi alla criminalita’ organizzata”. In attesa che si compia tutto l’iter del concorso (bando, selezione dei nomi, controllo dei requisiti), il Procuratore generale della Cassazione Vittorio Sgroj dovra’ scegliere un magistrato da “applicare” alla Dna.
Le modifiche alla struttura di vertice della Dna vengono discusse durante un incontro in mattinata sui problemi dell’ordine pubblico tenutosi al Quirinale tra il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il presidente del consiglio Giuliano Amato, il ministro degli interni Nicola Mancino, il ministro della giustizia Claudio Martelli, il ministro della difesa Salvo Ando’ ed il vicepresidente del Csm Galloni. Il vicepresidente del Csm, Giovanni Galloni, manifesta ancora una volta le sue riserve e prima di pronunciarsi si reca a Palazzo dei Marescialli, riunisce il Comitato di presidenza, poi telefona al ministro di giustizia Martelli per comunicare la risposta positiva.[132]
Mercoledì 22 luglio 1992
In un servizio del GR3 RAI a cura di Arcangelo Ferri vengono riportate le testimonianze di un agente del nucleo scorte di Palermo e di Vincenzo Parisi in merito all´incontro avuto dal magistrato con il capo della polizia venerdí 17 luglio a Roma. Tema dell´incontro fu il rafforzamento della scorta di Borsellino:
Speciale RAINEWS24 del 19 luglio 2007
Un agente del nucleo scorte di Palermo (A): “Venerdí (17 luglio, ndr) Borsellino e´andato a Roma ed ha parlato con il capo della pollizia, con Parisi, e gli ha detto che degli agenti di Palermo, comprendendo che lui era in pericolo immediato di vita, avevano dato la loro professionalitá e disponibilitá 24 ore su 24 con compiti di super-scorta e desideravano soltanto essere armati ed avere il via per l´operazione. Parisi non ha detto nulla di questo e sta ignorando questa richiesta di Borsellino che aveva chiesto “Fatemi lavorare con questi ragazzi”… Capivano (i ragazzi, ndr) che era (Borsellino, ndr) in grosso pericolo ed i ragazzi che lavoravano soltanto alla scorta ordinaria non erano capaci a proteggerlo, perché si protegge una persona con tanti altri mezzi, non soltanto accompagnandolo. Bisogna avere una copertura totale sull´obiettivo militare, non soltanto lavorando con la scorta con la macchina.
Arcangelo Ferri (F): “E quanti erano che hanno chiesto questo?”
A: “Dieci agenti”.
F: “Ci sono anche i morti fra questi?”
A: “No, non ci sono i morti. Sono tutti ragazzi vivi che possono testimoniare perché adesso qualcuno deve pagare ed é giunto il momento di pagare. Perché non si puó uccidere altra gente, perché noi a Palermo abbiamo un questore ed un prefetto che non sanno fare il loro lavoro”.
F: “Che risposta é stata data a questi ragazzi?”
A: “Vedremo”.
Intervista di Arcangelo Ferri al capo della polizia Vincenzo Parisi:
Arcangelo Ferri (F): “Prefetto Parisi, é vero quanto afferma questo agente?”
Vincenzo Parisi (P): “Ma. Guardi, io devo dire che la circostanza secondo me é inesatta. Deve esserci stato un malinteso. Io ho visto venerdí il giudice Borsellino ma non mi ha assolutamente accennato a questo particolare, proprio niente. Anzi non ha nemmeno parlato particolarmente della sua sicurezza, non ha affrontato questo tema. Era consapevole del pericolo che affrontava molto serenamente, rendendosi anche conto della relativa affidabilitá di qualunque dispositivo di sicurezza. Nessun dispositivo di sicurezza assicura in totale, garantisce in totale la certezza di poter sfuggire ad attentati. L´unica cosa di cui era preoccupato era di rincorrere le ore ed i minuti per le sue indagini importantissime”.
F: “Scriveva il giudice Falcone che si muore perché si cade nella routine, si violano le norme che dovrebbero essere invece sempre strettamente osservate”.
P: “Il giudice Borsellino ha fatto il meglio che si potesse fare. Certamente é uno degli uomini che restano dentro quando uno ha avuto il piacere di conoscerli, di sui ci si innamora. E quindi parlare di questo é assolutamente… la scorta lavorava con molto impegno. Naturalmente fatti di quel genere non sono facilmente prevedibili a meno che non giunga la cosiddetta soffiata dall´ambiente che ti faccia prevenire l´attentato con i mezzi giusti al momento giusto”.[133]
Otto sostituti della direzione distrettuale antimafia di Palermo rassegnano le loro dimissioni con una lettera consegnata la sera prima al procuratore Giammanco e resa nota in mattinata. Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi, Ignazio De Francisci, Teresa Principato, Nino Napoli, Nino Ingroia, Giovanni Ilarda ed Alfredo Morvillo scrivono: “Siamo disposti a rischiare, a morire, ma solo a condizione di sentirci partecipi di uno sforzo collettivo destinato, sia pure gradualmente, a raggiungere risultati concreti. E’ necessario che la procura di Palermo recuperi quell’unità di intenti, quello spirito di collaborazione che oggi appaiono gravemente compromessi. E lo dimostrano l’esistenza di divergenze, se non di spaccature, divenute ormai financo di dominio pubblico dopo la strage di Capaci, acuite dopo l’attentato di Via D’Amelio. Divergenze e spaccature che solo una guida autorevole ed indiscussa potrebbe sanare”. La lettera chiama poi in causa “i vertici politico-istituzionali sempre pronti a coprire responsabilità ed inefficienze, ad illudere la pubblica opinione con leggi-manifesto e solenni dichiarazioni d’intenti sistematicamente disattese.” [134]
Alle ore 15 il ministero dell´interno dirama una nota in cui si afferma che il ministro dell’ Interno “ha dato incarico al capo della Polizia, Vincenzo Parisi, di individuare la responsabilita’ di chi non e’ stato in grado, ieri a Palermo, di impedire che prevedibili atti di intemperanza della folla coinvolgessero anche il capo dello Stato e il governo, e di adottare i conseguenti, necessari provvedimenti” che vengono annuciati verso le 18 con un altro comunicato: “Su proposta del capo della Polizia Parisi, il ministro Mancino ha disposto con decorrenza immediata la nomina del questore di Salerno, Matteo Cinque, a questore di Palermo e il trasferimento dell’ex questore di Palermo, Vito Plantone, all’ ufficio centrale ispettivo a Roma, al dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale”. Il questore Plantone riceve la solidarietá dei funzionari della squadra mobile di Palermo: “Non potremo mai dimenticare l’ affetto, la serenita’ e la forza che ci ha saputo trasmettere nei momenti piu’ difficili”. [135]
La decisione del ministro Mancino di rimuovere il questore Plantone arriva dopo una riunione del ministro con il capo della polizia Parisi sul quale il giorno precedente erano girate insistentemente voci di dimissioni alle quali Parisi aveva cosí replicato: “Sono evidentemente una persona scomoda perche’ lavoro bene e perche’ do il mio contributo serio alla lotta al crimine… Non sono l’uomo della resa. Tutti gli atti recessivi e di abbandono dei posti, di ritiro dal campo sono una soddisfazione in piu’ per la mafia. In ogni caso saro’ sempre pronto ad andarmene”. Il capo della Polizia aveva anche dato la sua versione degli incidenti alla cattedrale di Palermo il giorno precedente: gli autori della contestazione “non erano agenti di polizia. Contrariamente a quanto si dice, il capo dello Stato e il capo del governo non hanno ricevuto contestazioni. Molti erano agitati, alcuni sobillati e certamente manovrati perche’ vi fosse una delegittimazione dell’autorita’, soprattutto di quella del capo della Polizia”. La stessa versione degli eventi é stata fornita dal questore Plantone: “L’ intera cerimonia si e’ svolta senza alcuna turbativa… non vi e’ stato alcun segno di contestazione neppur minima ma soltanto segni di comprensibile commozione… nessuna protesta verso il capo dello Stato ne’ verso il presidente del Consiglio… molti erano agitati, alcuni sobillati e in qualche modo manovrati… da certi infiltrati”. [136]
Al termine dell´incontro tra il ministro degli interni Mancino ed il prefetto Parisi viene emesso un comunicato in cui si spiega che il responsabile del Viminale, d’intesa col presidente del Consiglio, “ha espresso al capo della Polizia, prefetto Parisi, la piena fiducia del governo e lo ha invitato a continuare nell’esercizio delle sue alte funzioni”. E si da’ anche una notizia: “Negli ultimi giorni e martedi’ sera al rientro da Palermo, il prefetto Parisi aveva messo a disposizione del ministro dell’Interno e del governo il suo incarico”. Si specifica dunque che il capo della polizia Parisi non aveva mai dato le sue dimissioni ma solo “messo a disposizione” il suo incarico.[137]
Il quotidiano Il Popolo esprime piena solidarietà a Vincenzo Parisi, uomo coraggioso ed avveduto.
Anche la poltrona del prefetto di Palermo
Giammanco rifiuta di incontrare i giornalisti che lo attendono da ore nell’anticamera della procura. Invia come sostituto l’aggiunto Aliquò che legge un breve comunicato in cui il procuratore conferma di voler restare al suo posto. Poco dopo Giammanco si allontana utilizzando un’uscita secondaria del Palazzo di Giustizia.
Il presidente del consiglio Giuliano Amato ed il ministro della giustizia Claudio Martelli criticano pesantemente alcuni servizi giornalistici che hanno diffuso immagini del carcere di Pianosa. Il ministro Martelli entra in polemica in particolare con il TG1 diretto da Bruno Vespa che lunedi´ 20 luglio aveva diffuso in prima serata alcune immagini del carcere di Pianosa ripreso da un elicottero dei carabinieri. Martelli invia una lettera di protesta al comandante generale dell´arma dei carabinieri Antonino Viesti ed il dipartimento dell´amministrazione penitenziaria avvia un´indagine “volta ad accertare le eventuali responsabilitá di dipendenti i quali hanno consentito senza autorizzazione l´accesso all´isola ed al penitenziario di alcuni giornalisti”.[139]
Frino Restivo, avvocato palermitano e presidente uscente della camera dei penalisti italiani, rilascia un´intervista al Corriere della Sera in cui critica pesantemente i provvedimenti antimafia del governo: “Come i nazisti con gli ebrei. Per carita’ , so bene quanto profonde siano le differenze. Ma l’idea di quel marchio che le nuove norme vorrebbero apporre su chi viene indagato per reati ipoteticamente collegati alla mafia recupera i principi dei nazisti. Insomma: non puoi appiccicare un’etichetta precostituita prima ancora di cominciare un’indagine. Senno’ stravolgi tutte le regole. E quando cominciano a saltare le regole e’ in pericolo la stessa democrazia”. Restivo, giá legale di fiducia di una trentina di imputati del maxi-processo tra cui Francesco Madonia, critica il fatto che il processo penale per imputati di reati di stampo mafioso venga avviato con regole diverse da quelle per imputati di altri reati: “Qui sono in gioco alcuni principi vitali. Martelli ci dice: va bene, prendiamo in considerazione le vostre obiezioni, le nuove norme sono valide solo per i mafiosi. No, no. Non puoi stabilire a priori, se uno e’ mafioso o no. Non puoi mettergli il marchio preventivo”. “E’ stato gia’ fatto con i terroristi” osserva il cronista del Corriere. “Si’ – ribatte Restivo – ma era una situazione diversa. Erano loro che si dichiaravano tali. Qui nessuno si dichiara mafioso. E allora, su quali basi puoi decidere di applicare con lui delle regole diverse? Perche’ e’ siciliano? Qui si vorrebbe instaurare un sistema in cui l’ inchiesta su un individuo denunciato per un reato di stampo mafioso viene condotta con regole diverse prima ancora che sia stabilito se quell’ individuo e’ mafioso o no. E’ un’idea perversa, che viola l’ articolo 27 della costituzione sulla presunzione di innocenza”. Restivo non approva l´ampliamento dei poteri di polizia giudiziaria previsto dal provvedimento del governo: “Io dico: dateci pure un pubblico ministero sceriffo, e dategli tutto il potere di cui ha bisogno. Ma sotto il controllo di un giudice che sia davvero estraneo, separato, imparziale. Che vigili sul rispetto delle regole”. “Magari, se giudici come Carnevale..” – commenta il cronista. “Lasci stare Carnevale. Lo hanno crocefisso. E invece lui ha solo onorato la magistratura applicando la legge” – ribatte Restivo. “Ma lei crede davvero che sarebbe possibile battere la mafia con le regole che sono in vigore oggi?” – chiede infine il giornalista. “Si’. Certo che si potrebbe. Tutto sta nel capire se vogliono davvero batterla”- chiude Restivo.[140]
Pablo Escobar, uno dei piu´ importanti boss del traffico di droga a livello mondiale e recluso nel carcere colombiano di Envigado (20 chilometri a sudest di Medellin), evade dal penitenziario. Il superboss della droga, che per ordine del presidente Gaviria doveva essere trasferito in un’installazione militare, si era asserragliato in un tunnel all’interno del carcere “di massima sicurezza” assieme al fratello Roberto e ad altri 13 detenuti che dovevano essere trasferiti con lui. Escobar e i suoi complici nella notte di martedi’ si erano impadroniti delle armi dei loro guardiani e avevano preso in ostaggio il viceministro della Giustizia Eduardo Mendoza e il direttore della prigione, colonnello Hernando Navas Rubio, che erano andati a sovrintendere all’operazione di trasferimento. I due ostaggi erano stati liberati ieri grazie all’intervento di forze speciali dell’esercito. Nell’attacco notturno due persone sono morte e quattro sono rimaste ferite. L’esercito, su richiesta del ministero della Giustizia, aveva assunto la sorveglianza della prigione. La prigione di Envigado, situata in una regione montuosa del dipartimento di Antioquia, e’ una vecchia fattoria usata in passato dai narcotrafficanti. L’anno scorso, quando accetto’ di consegnarsi alla giustizia insieme a 14 dei suoi uomini, Escobar pose come condizione di non venir trasferito altrove. E dal carcere aveva continuato a dirigere i suoi traffici: comunicava liberamente con l’esterno e riceveva visite dei suoi uomini, noti pregiudicati.[141]
A Palermo un gruppo di donne comincia un digiuno di protesta e rivolge un appello al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro in cui si chiedono le dimissioni del procuratore Giammanco, del prefetto Jovine e dell’alto commissario antimafia Finocchiaro.[142]
Giovedí 23 luglio 1992
Fiammetta Borsellino atterra nella notte all´aereoporto di Francoforte di ritorno da Giakarta in Indonesia. Poi si imbarca su un aereo messo a disposizione dalla presidenza del consiglio e rientra a Palermo alle cinque di mattina.
Paolo Alfano, pericoloso latitante affiliato a Cosa Nostra, riesce a fuggire mentre scatta un blitz per catturarlo a Palermo. Non si nascondeva lontano dalla Sicilia: si trovava con i genitori, la moglie e il figlio nella sua casa, una villetta sul litorale palermitano. Il blitz della polizia scatta dopo una segnalazione anonima ma quando gli uomini del capo della mobile Arnaldo La Barbera fanno irruzione nello stabile il latitante si é giá dato alla fuga.[143]
Il Secolo XIX dá notizia dell´informativa del Ros dei carabinieri di Milano del 16 luglio 1992 in cui si affermava che Paolo Borsellino ed Antonio di Pietro potevano essere gli obiettivi di un attentato. Curiosamente la notizia su queste minacce filtra sulla stampa in un modo alquanto strano: viene infatti pubblicata sul Secolo XIX insieme ad altre due notizie false: un presunto incontro di Falcone e Di Pietro prima della strage di Capaci (incontro subito smentito dallo stesso Di Pietro e dal Procuratore Borrelli) ed alcune indiscrezioni sulla possibile collaborazione del boss Tanino Fidanzati. Anche questa notizia si rileverà un falso, mentre il rapporto dei ROS verrà confermato.
Il Corriere della Sera dá la notizia che gli investigatori che stanno lavorando sulla strage di Via D´Amelio hanno potuto identificare l´autobomba utilizzata per il delitto grazie ad un frammento di lamiera recante il numero di telaio: si tratta di una Fiat 126 il cui furto sarebbe stato denunciato una decina di giorni addietro. Inoltre il quotidiano riporta che la valigietta in pelle marrone di Paolo Borsellino é stata trovata pressoché intatta sul divano posteriore della “Croma” blindata. All´interno sarebbero stati trovati vari documenti con l´intestazione “Procura di Palermo”, una agenda telefonica ed un pro-memoria su di un siciliano arrestato a Mannheim, in Germania, che Borsellino aveva gia’ ascoltato qualche settimana addietro.[144]
L´Osservatore Romano pubblica un´intervista di Massimo Carrara a Manfredi, figlio di Paolo Borsellino, che verrá rilanciata dal Corriere della Sera il giorno successivo. Nell´articolo de L´Osservatore l´autore dell´intervista afferma che il magistrato era vicino all´individuazione degli assassini di Giovanni Falcone: “Ad alcuni amici aveva confidato (Paolo Borsellino, ndr), pochi giorni prima di cadere nell’agguato di via d’Amelio: “Se Dio mi aiuta, forse non sono lontano dagli assassini di Giovanni”. Manfredi Borsellino parla di “morte annunciata”. Dice infatti al giornalista de L´Osservatore: “Del resto, la morte di mio padre e’ stata forse quella piu’ annunciata. Era nel mirino, molto esposto. Troppe interviste, troppe chiacchiere sulla sua ipotetica successione a Falcone come candidato alla Superprocura… Negli ultimi tempi sembra che mio padre fosse costretto a esporsi ancor piu’ di quanto non facesse prima. Troppa pubblicita’ per lui che, piuttosto schivo, avrebbe voluto far parlare solo i fatti”. Manfredi si sofferma poi sulla profonda fede cristiana che il padre ha trasmesso alla famiglia: “Forse lei si stupira’ nel vederci cosi’ apparentemente calmi ma noi siamo cristiani e sappiamo bene che la morte e’ soltanto un passaggio della nostra esistenza. E questa convinzione che ci ha dato e ci da’ la forza di affrontare il vuoto della disperazione. Mio padre e’ caduto per i valori in cui credeva fermamente, e che ci ha trasmesso. Se sei coerente con la tua fede, la morte per gli ideali che professi non puo’ che essere un ritorno alla vita… L’ unica cosa sicura e’ che mio padre e’ in Paradiso. Io non spero, sono certo della giustizia divina… Quanto alla giustizia terrena, non ci saranno persone uguali a Paolo Borsellino. Pero’ mi auguro che ve ne siano di simili”. E a proposito di funerali, dice Manfredi: “Il giorno di Falcone papa’ rimase profondamente scosso dal chiasso, dalle urla, dall’atmosfera nella quale si celebrava un rito per dei defunti. Mio padre dovra’ essere sepolto con la dignita’ e la serenita’ che lui ha sempre avuto e che ci ha insegnato”. Chi era Paolo Borsellino per il suo Manfredi? “Oltre a una grande umanita’ , aveva la capacita’ di immedesimarsi nell’ interlocutore, anche di un mafioso, riusciva a capire, a interpretare, a comunicare. Aveva il polso della Sicilia, conosceva per esperienza diretta le situazioni locali… Mio padre e’ stato per noi una persona meravigliosa, un uomo sano, splendido e squisito, in famiglia e ovunque”. [145]
Il procuratore capo di Palermo Pietro Giammanco si mette in malattia e non si presenta in ufficio. Il magistrato sarebbe affetto da coliche ed attacchi di ulcera.[146]
Il Csm avvia un’ indagine conoscitiva affidata al “gruppo di lavoro per i provvedimenti di competenza del Csm sulle regioni ad alto tasso di criminalita’ organizzata”, cioe’ il vecchio comitato antimafia, per cercare di fare chiarezza sulla situazione degli uffici giudiziari palermitani. Entro il 4 agosto, l’organismo dovra’ riferire le sue conclusioni alla prima commissione che valutera’ se aprire o meno un’inchiesta vera e propria. Ad uno ad uno, dal Procuratore generale della Corte d’appello Bruno Siclari, al Procuratore capo Pietro Giammanco fino ai sostituti, tutti saranno ascoltati a Palazzo dei Merescialli tra martedì e giovedì della prossima settimana. C’e’ un esposto che formalmente motiva l’apertura dell’indagine, una paginetta di resoconto, inviato al comitato di presidenza del Csm, il 3 luglio scorso, dal consigliere “verde” Antonio Condorelli. In allegato, le fotocopie di due articoli di giornale con stralci dei diari del magistrato assassinato a Capaci. Falcone spiegava perche’ aveva abbandonato Palermo: per i contrasti con il Procuratore Giammanco di cui era il vice.[147]
Al senato inizia in mattinata la discussione sul decreto antimafia sul quale il governo ha deciso di chiedere la fiducia. In aula interviene il ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli: “Cattureremo i latitanti, processeremo mandanti ed esecutori, smaschereremo i complici, puniremo i collusi e i corrotti, proteggeremo i testimoni, premieremo i pentiti e manterremo gli irriducibili in carceri dure e afflittive senza sconti, senza attenuazioni di pena. Sequestremo le ricchezze dei mafiosi, scopriremo i loro conti cifrati e i santuari del riciclaggio, spegneremo le aspettative di potere, di ricchezza, di impunita violenza”… lo Stato “non lascera’ altra speranza che la diserzione, la fuga, la resa dell’esercito mafioso per tutto il tempo necessario finche’ non si inginocchiera´, non confessera’ i suoi delitti e non chiedera’ perdono alle sue vittime… chiediamo a Palermo e alla Sicilia di stringersi intorno ai suoi eroi e ai suoi martiri, ai poveri agenti massacrati, ai giudici Falcone e Borsellino, al loro esempio, alla prova del loro coraggio. Chiediamo di scuotere inerzia e incuria dei pubblici poteri, di scuotere lo Stato, ma soprattutto di ribellarsi al cancro che e’ dentro la loro societa’, di non farsi intimidire e prostituire dalla paura e anche nella paura di chiamare lo Stato, di farsi aiutare e proteggere, di dire, di gridare il nome e il cognome di chi ricatta, di chi minaccia, di chi uccide, di chi corrompe, di chi traffica… La vita pubblica non e’ fatta di scatti di carriera, di sinecure, di privilegi, di immobili garanzie, la vita e la responsabilita’ pubblica esigono qualcosa di piu’ della responsabilita’ individuale cui e’ tenuto il cittadino. Il funzionario pubblico, il servitore dello Stato e’ responsabile verso la gente e della gente, responsabile delle liberta’ e della sicurezza di tutti”. Successivamente interviene in aula iil ministro degli interni Nicola Mancino che sembra voler rispondere a Martelli: “Non generalizziamo pero’ le accuse coinvolgendo tutti, ministri da poco in carica e gia’ patentati di incapacita’, governo nella sua collegialita’, capo della polizia e via via tutti i vertici dell’ordine pubblico: cosi’ comportandoci, faremo solo il gioco della mafia, oggi piu’ che mai attenta a dividere, ad approfondire il solco fra i poteri statali”.
Sempre in giornata il governo boccia, per le violente reazioni critiche da esso suscitate, un emendamento al decreto antimafia che era stato proposto dal senatore Psi Franco Castiglione e approvato in mattinata dalla commissione Giustizia del Senato: esso mirava a punire severamente (con pene fino a tre anni di reclusione) la violazione del segreto istruttorio mediante la pubblicazione di notizie relative a procedimenti e inchieste.[148]
Venerdì 24 luglio 1992
Si svolgono in forma privata i funerali di Paolo Borsellino presso la chiesa di Santa Maria di Marillac a Palermo. Gli unici rappresentanti delle Istituzioni ai quali la famiglia estende l´invito a partecipare alla funzione sono il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, il ministro della giustizia Claudio Martelli, il capo della polizia Vincenzo Parisi ed il segretario del Msi Gianfranco Fini. Il funerale si chiude con la preghiera laica di Antonino Caponnetto:
Queste sono le parole di un vecchio ex magistrato che e’ venuto nello spazio di due mesi due volte a Palermo con il cuore a pezzi a portare l’ultimo saluto ai suoi figli, fratelli e amici con i quali ho diviso anni di lavoro di sacrificio di gioia, anche di amarezza. Soltanto poche parole per un ricordo, per un doveroso atto di contrizione che poi vi diro’ e per una preghiera laica ma fervente.
Il ricordo e’ per l’amico Paolo, per la sua generosita’, per la sua umanita’, per il coraggio con cui ha affrontato la vita e con cui e’ andato incontro alla morte annunciata, per la sua radicata fede cattolica, per il suo amore immenso portato alla famiglia e agli amici tutti. Era un dono naturale che Paolo aveva, di spargere attorno a se’ amore. Mi ricordo ancora il suo appassionato e incessante lavoro, divenuto frenetico negli ultimi tempi, quasi che egli sentisse incombere la fine.
Ognuno di noi e non solo lo Stato gli e’ debitore; ad ognuno di noi egli ha donato qualcosa di prezioso e di raro che tutti conserveremo in fondo al cuore, e a me in particolare mancheranno terribilmente quelle sue telefonate che invariabilmente concludeva con le parole: “Ti voglio bene Antonio” ed io replicavo “Anche io ti voglio bene Paolo”.
C’e’ un altro peso che ancora mi opprime ed e’ il rimorso per quell’attimo di sconforto e di debolezza da cui sono stato colto dopo avere posato l’ultimo bacio sul viso ormai gelido, ma ancora sereno, di Paolo. Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, puo’ dire che ormai tutto e’ finito.
Pensavo in quel momento di desistere dalla lotta contro la delinquenza mafiosa, mi sembrava che con la morte dell’amico fraterno tutto fosse finito. Ma in un momento simile, in un momento come questo coltivare un pensiero del genere, e me ne sono subito convinto, equivale a tradire la memoria di Paolo come pure quella di Giovanni e di Francesca.
In questi pochi giorni di dolore trascorsi a Palermo che io vi confesso non vorrei lasciare piu’, ho sentito in gran parte della popolazione la voglia di liberarsi da questa barbara e sanguinosa oppressione che ne cancella i diritti piu’ elementari e ne vanifica la speranza di rinascita. E da qui nasce la mia preghiera dicevo laica ma fervente e la rivolgo a te, presidente, che da tanto tempo mi onori della tua amicizia, che e’ stata sempre ricambiata con ammirazione infinita. La gente di Palermo e dell’intera Sicilia, ti ama presidente, ti rispetta, e soprattutto ha fiducia nella tua saggezza e nella tua fermezza. Paolo e’ morto servendo lo Stato in cui credeva cosi’ come prima di lui Giovanni e Francesca. Ma ora questo stesso Stato che essi hanno servito fino al sacrificio, deve dimostrare di essere veramente presente in tutte le sue articolazioni, sia con la sua forza sia con i suoi servizi. E’ giunto il tempo, mi sembra, delle grandi decisioni e delle scelte di fondo, non e’ piu’ l’ora delle collusioni degli attendismi dei compromessi e delle furberie, e dovranno essere, presidente, dovranno essere uomini credibili, onesti, dai politici ai magistrati, a gestire con le tue illuminate direttive questa fase necessaria di rinascita morale: e’ questo a mio avviso il primo e fondamentale problema preliminare ad una vera e decisa lotta alla barbarie mafiosa. Io ho apprezzato le tue parole, noi tutti le abbiamo apprezzate, le tue parole molto ferme al Csm dove hai parlato di una nuova rinascita che e’ quella che noi tutti aspettiamo, e laddove anche con la fermezza che ti conosco hai giustamente condannato, censurato, quegli errori che hanno condotto martedi’ pomeriggio a disordini che altrimenti non sarebbero accaduti perche’ nessuno voleva che accadessero.
Solo cosi’ attraverso questa rigenerazione collettiva, questa rinascita morale, non resteranno inutili i sacrifici di Giovanni, di Francesca, di Paolo e di otto agenti di servizio. Anche a quegli agenti che hanno seguito i loro protetti fino alla morte va il nostro pensiero, la nostra riconoscenza, il nostro tributo di ammirazione. Tra i tanti fiori che ho visto in questi giorni lasciati da persone che spesso non firmavano nemmeno il biglietto come e’ stato in questo caso, ho visto un bellissimo lilium, splendido fiore il lilium, e sotto c’erano queste poche parole senza firma: “Un solo grande fiore per un solo grande uomo solo”. Mi ha colpito, presidente, questa frase che mi e’ rimasta nel cuore e credo che mi rimarra’ per sempre.
Ma io vorrei dire a questo grande uomo, diletto amico, che non e’ solo, che accanto a lui batte il cuore di tutta Palermo, batte il cuore dei familiari, degli amici, di tutta la Nazione. Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto fino al sacrificio dovra’ diventare e diventera’ la lotta di ciascuno di noi, questa e’ una promessa che ti faccio solenne come un giuramento.[149]
Il senato approva definitivamente il testo del decreto antimafia presentato dal governo. Il testo del provvedimento, modificato, e’ approvato con 163 voti favorevoli e 106 contrari. Sul piano politico va registrato il “si” del Pri, che rimarca, pero’, come il consenso sia al provvedimento e non al governo. I parlamentari del Pds, invece, non se la sono sentita di votare “si” con la sola eccezione del senatore Greco. Ecco i punti salienti:
1) TEMPI DELLE INDAGINI. Quando si procede per i piu’ gravi delitti di criminalita’ organizzata (ma anche per alcuni gravi delitti comuni) il termine normale delle indagini e’ aumentato ad un anno, e la durata complessiva delle stesse puo’ estendersi sino a due anni in forza di successive proroghe, che nel caso dei delitti di mafia vengono autorizzate dal giudice senza contraddittorio. In tali procedimenti, inoltre, non opera la sospensione feriale dei termini relativi alle indagini preliminari.
2) INTERCETTAZIONI AMBIENTALI. Sempre nei procedimenti di criminalita’ organizzata le intercettazioni domiciliari di dialoghi tra persone presenti sono ammesse anche al di fuori della flagranza della attivita’ delittuosa, e le medesime intercettazioni possono essere altresi’ disposte al solo scopo di agevolare le ricerche dei latitanti, quando si tratti di delitti di mafia.
3) ARRESTI E PERQUISIZIONI. E’ stabilito l’obbligo dell’arresto in flagranza in tutte le ipotesi di associazione di tipo mafioso (con notevoli riflessi anche sulle regole di utilizzabilita’ delle intercettazioni telefoniche), ed e’ stato inoltre ripristinato il potere degli organi di polizia di procedere a perquisizioni di interi edifici o blocchi di edifici, quando si tratti di sequestrarvi armi od esplosivi, ovvero di ricercarvi latitanti od evasi in relazione a delitti di mafia.
4) INFILTRAZIONI DI POLIZIA. Al fine di favorire la possibilita’ di infiltrazioni nelle organizzazioni criminali, e’ esclusa la punibilita’ degli ufficiali di polizia che, per esigenze investigative, si intromettano in attivita’ di ricettazione di armi, di riciclaggio ovvero di reimpiego di denaro o di altri beni di provenienza illecita, ed in ipotesi del genere e’ previsto il differimento dei provvedimenti di sequestro fino alla conclusione delle indagini.
5) PROVE DI ALTRI PROCEDIMENTI. E’ di regola consentita l’acquisizione delle prove (oltreche’ delle sentenze irrevocabili) provenienti da altri procedimenti, salvo il diritto delle parti di ottenere una nuova assunzione della stessa prova, se utili e rilevanti; ma nei procedimenti per delitti di mafia il nuovo esame dei testimoni o dei coimputati “pentiti” e’ ammesso solo quando sia ritenuto dal giudice “assolutamente necessario”. Lo scopo e’ quello di evitare il pericolo della intimidazione o, comunque, della usura di tali fonti di prova, come era stato ripetutamente sottolineato anche da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino.
6) DICHIARAZIONI RESE AL PM. Le dichiarazioni rese dai testimoni alla polizia o al Pubblico ministero, ma non confermate in dibattimento, nemmeno a seguito di contestazioni, possono valere come prova soltanto se corroborate da altri elementi probatori di riscontro. Esse, invece, acquistano di per se’ valore di prova piena quando il giudice (come accade spesso nei processi di criminalita’ organizzata) si convinca che il testimone e’ stato successivamente intimidito con violenze o minacce, o che altre analoghe situazioni ne hanno compromesso la genuinita’.
7) ESAMI A DISTANZA. Quando occorra esaminare dei collaboratori della giustizia sottoposti a misure di protezione, in apporto ai processi per i piu’ gravi delitti, e’ previsto che la loro audizione dibattimentale possa svolgersi a distanza, nei luoghi dove si trovano, a mezzo di collegamento audiovisivo. E lo stesso vale anche per le persone gia’ esaminate in altri procedimenti, allorche’ ne sia stato disposto un nuovo esame.[150]
Il governo dá il via all’operazione Vespri Siciliani con la quale 7000 militari dell’esercito sbarcano in Sicilia per proteggere obiettivi a rischio ed alleggerire le forze dell’ordine dai controlli di routine. I soldati saranno scelti tra corpi specializzati come la “Folgore”, la “Friuli” e la “Aosta”, ma soprattutto saranno dotati delle prerogative di agenti di pubblica sicurezza. I militari, in sostanza, non potranno compiere indagini. Sara ‘, invece, confermato e rafforzato, cosi’ come da tempo proposto dal ministro della difesa, Salvo’ Ando, il compito di affiancare le forze dell’ordine nel controllo del territorio.[151]
Il Corriere della Sera rilancia la notizia data dal Secolo XIX il giorno precedente su un´informativa del 16 luglio 1992 del Ros dei carabinieri di Milano su un possibile attentato ai danni di Paolo Borsellino e Antonio di Pietro ed aggiunge alcuni particolari:
Borsellino e Di Pietro: due giudici diversi, due strategie diverse. Due strade che, alla fine, potevano confluire su un solo obiettivo: Cosa Nostra. Dopo la morte di Falcone, Paolo Borsellino era l’ultima memoria storica dell’antimafia: e, che andasse o no alla Superprocura, restava uno degli avversari principali dell’onorata societa’. Antonio Di Pietro, invece, e’ partito dalla corruzione, dagli affari fra politici e imprenditori. Poi, pero’, potrebbe aver toccato una parte del sistema molto vicina agli interessi mafiosi. Forse era arrivato agli investimenti al Nord del denaro sporco di droga e di sangue. Due nemici, insomma. E Cosa Nostra ha deciso di eliminarli entrambi. Cosi’ dice un’informativa dei carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) di Milano. Un’informativa datata 16 luglio e fondata su indiscrezioni raccolte nel mondo della malavita comune. Quanto siano attendibili queste indiscrezioni, nessuno puo’ dirlo. Ma sta di fatto che tre giorni dopo, il 19 luglio, Borsellino e’ stato massacrato insieme con la sua scorta. E il documento che il Ros aveva prontamente inviato alle Procure di Palermo e di Milano e’ diventato terribilmente credibile. Anche Di Pietro, dunque, e’ nel mirino della mafia? L’ informativa dei carabinieri e’ stata tirata fuori ieri da un cronista del quotidiano genovese Il Secolo XIX, Manlio Di Salvo, e il procuratore capo di Milano Francesco Saverio Borrelli non ha smentito lo scoop, di fatto confermandolo. L’informativa dunque c’e’, anche se Borrelli ha voluto contestare alcune interpretazioni del Secolo XIX. L’informativa c’e’ e racconta, in quattro paginette, che Borsellino e Di Pietro stanno arrivando entrambi, sia pure per strade diverse, all’alta mafia. Il giudice milanese sarebbe sul punto di svelare i rapporti fra alcuni politici e Cosa Nostra al Nord. Si parla di un’azienda gestita a Milano da giovani siciliani imparentati con Toto’ Riina. E di un politico, sia pure di basso profilo, legato pero’ a un big. Si accenna anche alla famiglia Fidanzati. Nomi grossi. Toto’ Riina, latitante da un paio di decenni, e’ uno dei due luogotenenti storici di Luciano Liggio. L’altro e’ Bernardo Provenzano, anche lui latitante, anche lui – come Riina – di Corleone. Secondo tutti i grandi pentiti – Antonino Calderone, Salvatore Contorno, Francesco Marino Mannoia, Tommaso Buscetta – Riina e Provenzano sono i veri reggenti di Cosa Nostra dall’inizio degli anni Ottanta. Dopo lo sterminio dei clan Inzerillo e Bontade, i due luogotenenti di Liggio hanno trasformato in dittatura il governo della Cupola, che fino ad allora era stato contrassegnato – se si puo’ usare un termine del genere – da una certa democrazia: nel senso che ogni “famiglia” aveva un suo rappresentante in grado di partecipare alle grandi decisioni. All’inizio degli anni Ottanta si verifica un fatto unico nella storia di Cosa Nostra: una famiglia e’ presente nella Cupola con ben due rappresentanti, che sono appunto Riina e Provenzano. Anche Fidanzati e’ un marchio doc. Il capofamiglia, Gaetano Fidanzati, e’ stato il boss dell’ Arenella di Palermo, la zona sotto la cui “giurisdizione” cade anche l’Addaura, dove Cosa Nostra organizzo’ nell’ 89 il primo attentato contro Falcone. Don Tanino, condannato a tre anni di reclusione in Argentina e a dodici al maxi-processo di Palermo, era detenuto a Buenos Aires fino a poco tempo fa. Quattro giorni dopo la morte di Falcone ha firmato una rinuncia al ricorso contro l’estradizione: in pratica, ha accettato la galera pur di tornare in Italia. Perche’? Qualcuno ha ipotizzato un suo pentimento. Ma sembra fuori strada. Nei giorni scorsi Fidanzati e’ venuto in Italia per testimoniare al processo “Fior di loto”, una storia di narcotraffico e riciclaggio: ma ai giudici ha offerto solo una serie di “non so” e “non ricordo”. E alla fine dell’udienza si e’ lamentato per lo strettissimo isolamento in cui e’ stato tenuto: sperava di poter comunicare con amici e parenti. Cosa c’entri il clan Fidanzati nella storia del possibile attentato a Di Pietro non e’ ben chiaro. Ma nell’informativa si fa riferimento alla scoperta, nel giugno scorso, in provincia di Bergamo, di una raffineria di cocaina gestita proprio dai Fidanzati. Un’inchiesta in cui Di Pietro non e’ intervenuto. Ma puo’ darsi che il giudice anti-tangenti si sia imbattuto in qualche collegamento. Dall’informativa non si capisce chi, all’interno di Cosa Nostra, avrebbe deciso la morte di Di Pietro. Sembra difficile attribuire la paternita’ della condanna al clan Fidanzati, che in questo momento si trova, praticamente al completo, in galera. Il procuratore Borrelli ha fatto girare nel pomeriggio un comunicato con cui non smentisce l’esistenza dell’informativa e i timori per Di Pietro, ma nega due particolari di scarso rilievo (“Di Pietro non ha incontrato Falcone e non ha mai indagato su Fidanzati”) e assicura che non c’e’ “alcun legame tra l’ inchiesta in corso e fatti di mafia”. Ma lunedi’ proprio Borrelli, parlando della strage di Palermo, aveva detto che “l’azione intrapresa dalla magistratura a Milano, attraverso la purificazione e la pulizia nella pubblica amministrazione, puo’ minacciare molto da vicino il mondo dell’affarismo mafioso”. La tensione, a palazzo, e’ palpabile. Lo stesso comunicato di Borrelli ha avuto un parto travagliato: Di Pietro ne aveva preparato un altro, che il procuratore capo ha bocciato. Cosa voleva far sapere il giudice anti-tangenti? Il clima e’ pesante. I magistrati cercano una talpa perche’ temono che da palazzo escano notizie che scottano: informazioni sugli arresti da eseguire o sui movimenti dei giudici? Si e’ partiti da una mazzetta da sette milioni, ora siamo al tritolo.[152]
Dopo che la stampa ha dato notizia del rapporto riservato, interviene da Roma il colonnello Subranni, comandante dei Ros, per spiegare che per quel che riguarda il PM Antonio Di Pietro l’informativa “non e’ considerata allarmante”. In un comunicato diffuso attraverso l’agenzia Ansa, i vertici del reparto speciale dell’Arma fanno sapere: “Le notizie raccolte non da un pentito, come alcuni giornali hanno riportato, ma da un informatore, a Milano, erano estremamente generiche. Non si indicava ne’ come, ne’ dove, ne’ quando gli attentati avrebbero potuto essere fatti. Per quel che riguarda la minaccia al giudice milanese, l’informatore riferiva, piu’ che fatti, un’analisi in base alla quale l’inchiesta sulle tangenti rappresentava un danno per gli interessi di Cosa Nostra, poiche’ ha indotto un rallentamento in determinate attivita’ economiche. Sulla base di informazioni di quel tipo non sono possibili altre precauzioni che non verificare l’adeguatezza della protezione fornita a persone che, nel caso dei due giudici, erano considerate anche prima in pericolo”.[153]
Sempre il Corriere della Sera rilancia una notizia data dal quotidiano svizzero Le Matin secondo cui il magistrato elevetico Carla Del Ponte sarebbe stato oggetto di pesanti minacce da parte di Cosa Nostra:
Anche Carla Dal Ponte, procuratrice del Canton Ticino, e’ nel mirino. Ma non per la vicenda delle tangenti, nella quale collabora con Di Pietro. La giudice sarebbe stata minacciata da Cosa Nostra. Lo rivela il quotidiano svizzero “Le Matin”, secondo il quale le minacce proverrebbero dal clan Madonia, che controlla il traffico di droga colombiana in Europa. Le minacce sarebbero collegate all’indagine che la Dal Ponte sta svolgendo su Giuseppe Lottusi, il cassiere della mafia e del cartello di Medellin. Secondo il giornale, Lottusi, attualmente detenuto a Milano, controllava a Chiasso, nel Canton Ticino, la societa’ Fimo per riciclare il denaro sporco proveniente da Palermo. Il punto debole della mafia sarebbe infatti proprio il riciclaggio e, secondo il quotidiano svizzero, la voce che Lottusi avrebbe confessato ha seminato il panico nelle file di Cosa Nostra. E questo, aggiunge “Le Matin”, giustifica il timore di Carla Dal Ponte di recarsi in Italia. Le minacce sono state confermate dal procuratore generale Piergiorgio Mordasini che ha dichiarato: “Le intimidazioni non ci fermeranno”.[154]
Ancora il Corriere della Sera rilancia alcune dichiarazioni rilasciate da Manfredi Borsellino al quotidiano La Stampa in merito a fughe di notizie riguardanti l´attivita´ investigativa del padre, Paolo Borsellino: troppa gente sapeva, e scriveva quello che non doveva sapere o scrivere, “chi le ha date queste notizie ai giornali, come sono uscite? Chi e’ stato?” [155]
Vito Ciacimino si mostra in serata a passeggio per le vie del centro di Roma: in un impeccabile vestito blu, accompagnato da una signora di circa quarant’ anni, dopo una breve passeggiata nell’affollata piazza Navona, Vito Ciancimino qualche minuto dopo la mezzanotte ha deciso di concedersi un gelato. Pensava di passare inosservato. Ma quando ha raggiunto uno dei bar che si affacciano sulla Piazza e’ stato riconosciuto. Qualche minuto di sorpresa e di imbarazzo. Poi, da un tavolo all’altro, e’ corso l’interrogativo: “Ma come, e’ libero?”. Prima un borbottio generale, poi frasi di insofferenza e battute ad alta voce. Infine, da un tavolo affollato di giovani, si e’ levata una scandalizzata protesta, seguita dall´immediato abbandono del tavolo. Don Vito, imperturbabile, ha ordinato la consumazione, senza dar peso a quello che succedeva attorno a lui. Cosi’ vuole la legge. L’ ex sindaco di Palermo e’ in attesa del giudizio della Cassazione. [156]
Ignazio Sanna, 37 anni, metronotte dell’istituto privato di vigilanza “Citta’ di Palermo”, viene arrestato per favoreggiamento. Sarebbe caduto in numerose contraddizioni, mostrandosi reticente sulle “sequenze” dell’eccidio di via D´Amelio. Attraverso le telecamere a circuito chiuso Sanna avrebbe potuto osservare gli artificieri della mafia al lavoro. Uno degli occhi elettronici che controllano l’esterno e’ infatti puntato su via d’Amelio. Ma non basta: un testimone ha raccontato di aver visto, subito dopo l’esplosione, un uomo con una pistola in mano che fuggiva proprio davanti allo scivolo posteriore dell’esattoria comunale. Invece il metronotte ha continuato a ripetere di non aver visto nulla. La sua posizione e’ ora al vaglio del Gip, che dovra’ decidere entro dopodomani se convalidare l’arresto.[157]
Sabato 25 luglio 1992
Il Corriere della Sera pubblica un´intervista al capo dell´ufficio Istruzione negli anni ottanta, Antonino Caponnetto che dá la notizia della scomparsa dalla borsa di Paolo Borsellino dell´agenda rossa dalla quale il magistrato non si separava mai:
Andrea Purgatori (P): “Cosa ne pensa Antonino Caponnetto della decisione degli otto sostituti procuratori che si sono dimessi dalla Direzione antimafia?”
Antonino Caponnetto (C): “Un passo avanti rispetto a quello che pensavo. La sera prima ero andato a cena con una collega: le avevo esposto la situazione in termini ancora piu’ preoccupanti. Lo stesso De Francisci, uno di loro, si era confidato parecchie volte piangendo con me. Era distrutto, combattuto, preoccupato. Non sapeva che decisione prendere. E invece stamattina gli ho visto negli occhi che s’era come liberato d’un peso. Proprio non speravo che si coagulasse questo primo gruppo, questo primo nucleo con la voglia di cambiare qualcosa”.
P: “La prossima settimana andranno tutti e otto a Roma, per essere ascoltati dal Comitato antimafia del Csm.”
C: Io so che alcuni hanno cose molto delicate da riferire. Lo dicevo stamane anche al presidente Scalfaro. Perche’ non ci dimentichiamo che e’ anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura e questo mi da’ un senso di fiducia. Certo, le esperienze passate non inducono all’ottimismo, ma credo che anche all’interno del Consiglio voglia cambiare qualcosa. Spero proprio che il Csm non perda quest’altra occasione storica. Ne ha gia’ perse tante…”.
P: “Quali per esempio?”
C: “Basta risalire al 20 gennaio 1988. Quella notte in cui per succedermi alla guida dell’Ufficio istruzione fu scelto Meli anziche’ Falcone. Quella e’ una vera colpa storica”.
P: “E poi?”
C: “Quando esaminarono il contrasto tra Meli e Falcone e diedero, come si dice, un colpo al cerchio e uno alla botte. Eludendo le aspettative di Falcone, che era un candido e pensava di vedere il Csm schierato al suo fianco”.
P: “Cosa accadde?”
C: “Che dopo quella serie di delusioni, Falcone fini’ di lottare. Li’ si apri’ una pagina all’interno della Procura, che Falcone non ha mai voluto amplificare. Mi disse: “Nino, ci sono stati troppi scandali e questo Palazzo di Giustizia non ne potrebbe sopportare un altro”. E fu sempre questo senso di fedelta’ alle istituzioni che lo indusse a firmare quella requisitoria diciamo riduttiva nel processo sui delitti eccellenti”.
P: “In che senso riduttiva?”
C: “In particolare, lui era contrario a chiudere l’inchiesta sul delitto di Pio La Torre: avrebbe voluto dar piu’ spazio alle parti civili ma gli fu negato. Ne prese atto con amarezza. Quando arrivo’ la requisitoria sul suo tavolo, senti’ che se avesse rifiutato di firmarla il Palazzo di Giustizia non avrebbe mai resistito allo scandalo: dopo la talpa, dopo il corvo… Allora, contro i suoi convincimenti, firmo’ una requisitoria che non condivideva. Un atto che a un profano potrebbe sembrare almeno strano e che invece rappresento’ il punto piu’ alto e sublime della sua fedelta’ allo Stato. Ma immediatamente dopo lascio’ la Procura”.
P: “Come era cominciata l’avventura del pool, il suo arrivo a Palermo nel 1983?”
C: “Con una telefonata che Giovanni mi fece a Firenze, all’ inizio di novembre. Ero stato nominato a capo dell’Ufficio istruzione ma non m’ero trasferito. Mi disse: “Nino, vieni subito. C’e’ bisogno di te”. C’ era il processo contro i 162 che languiva, i fascicoli marcivano. Dunque, arrivai: non conoscevo nessuno. Giovanni mi disse: “Senti, non voglio influenzarti nelle scelte. Ti chiedo solo di ripescare Paolo Borsellino”. Di Paolo non sapevo assolutamente nulla. Solo che dopo l’indagine sull’omicidio di Boris Giuliano era stato messo da parte. Lo presi. Presi anche Di Lello, di cui avevo letto molti interventi, e Guarnotta”.
P: “In che modo decise di lavorare?”
C: “Senza concentrare i rischi su una sola persona e cercando di avere una visione globale del fenomeno mafioso. Questa fu la decisione vincente. E per qualche anno riuscimmo a lavorare tutti in uno stato di grazia difficilmente ripetibile nella Procura attuale. E comunque non in queste condizioni”.
P: “Dov’ e’ piu’ fragile la mafia, dove sta la sua debolezza, dove va colpita?”
C: “Nella sua consistenza finanziaria. Finche’ non saranno capaci di farlo, la mafia continuera’ ad esistere”.
P: “C’ e’ anche questa connivenza con la politica. Ci sono politici della mafia che siedono in Parlamento?”
C: “Non credo abbia dei suoi uomini in Parlamento. Con la politica ha sempre preferito un rapporto collaterale”.
P: “Che cos’ ha toccato che non doveva toccare Borsellino in questi cinquanta giorni tra la morte di Falcone e la sua?”
C: “Non lo so, non ne accennava mai. Mi ripeteva sempre: “Nino, di queste cose al telefono non parlo”. Solo una decina di giorni fa, tornando dalla Germania, mi disse: “Sono proprio soddisfatto. Su ho fatto un grosso lavoro, che poi ho completato a Roma”. Ecco, me lo disse con la stessa gioia d’ un ragazzino”.
P: “Eppure qualcosa ha fatto precipitare tutto, ha accelerato la sua esecuzione”.
C: “Per forza. Ma non so cosa”.
P: “Tuttavia c’ e’ chi sa “cosa””.
C: “Certo che c’ e’ chi sa”.
P: “Allora c’ e’ da sperare che il lavoro fatto da Borsellino sia al sicuro.”
C: “Lo spero. Per ora l’Agnese lamenta la sparizione dalla borsa della agenda di Paolo, che a lei e’ particolarmente cara. Un’agenda sopra cui c’era tutto l’indirizzario telefonico, anche quello di famiglia. Paolo non se ne distaccava mai, se la teneva con se’ in modo quasi ossessivo, al punto che il maresciallo Canale scherzando diceva che ci andava perfino al gabinetto”.
P: “L’agenda era in una borsa che non e’ andata distrutta nell’ esplosione?”
C: “La borsa c’ e’ e manca solo l’ agenda. E fino a ieri sera ancora non l’avevano ritrovata”.[158]
Sempre il Corriere della Sera scrive che gli investigatori avrebbero individuato tre possibili “postazioni” da dove sarebbe partito, via radio, l’impulso alla carica di esplosivo utilizzata per la strage di via D´Amelio. La prima potrebbe essere il giardino che chiude via D’Amelio, in prossimita’ del numero civico 19 dove abitano la sorella e la madre del magistrato; la seconda e’ stata localizzata sul tetto di un edificio in costruzione, ad alcune centinaia di metri di distanza; infine si ipotizza come base d’osservazione il monte Pellegrino, nei pressi del castello Utveggio. La visione dall’alto consente di controllare il teatro della strage. La distanza tra l’innesco e il radiocomando, circa un chilometro, sarebbe stata superata grazie a un amplificatore di frequenza, trovato subito dopo la strage.
Il Corriere riporta poi di una misteriosa “segnalazione” giunta a Borsellino qualche giorno prima della strage. Una donna gli comunico’ un “messaggio” da parte di un amico “sensitivo”: “Agguato, procuratore e sue sentinelle, Agrigento, spari”. La signora, madre di uno degli studenti travolti da un’auto di scorta a Borsellino nel 1985, invito’ il giudice a stare attento. Il magistrato informo’ Giammanco e la procura di Agrigento.[159]
Vito Plantone, ex-questore di Palermo rimosso dalla carica ufficialte a causa dei moti in chiesa il giorno dei funerali della scorta di Paolo Borsellino e “promoso” a vicecapo della Criminalpol nazionale, rilascia un´intervista al Corriere della Sera in cui afferma di aver fatto tutto il possibile per la protezione di Paolo Borsellino e degli agenti della scorta:
“Ma io non sono colpevole di niente” confida il dottor Plantone mentre si gode le prime ferie a Noci, paese natale nella Murgia barese, dopo due anni di lavoro senza sosta, in un colloquio amichevole che sarebbe dovuto restare privato. Neppure di scarsa sorveglianza e prevenzione? “Il dottor Borsellino per me era un amico, oltre che una persona da proteggere. E l’abbiamo superprotetto. I contatti erano quotidiani, concordavamo ogni passo, esaudivamo ogni suo desiderio in un battibaleno. Ricordo quando gli “coprimmo” le spalle nel senso letterale della parola: non si sentiva sicuro in ufficio, lo preoccupava la finestra dietro la poltrona. La blindammo subito. E un capannone sospetto dietro casa sua, a fianco del garage: lo abbattemmo perche’ non gli dava affidamento. E le centinaia di inquilini del suo palazzo controllati uno per uno…”. Ma non avete “bonificato” via D’ Amelio… “E perche’ non tutte le altre strade che frequentava? Il giudice sapeva che era impossibile una protezione assoluta pur avendo doppia scorta. A lui premeva che fosse sicura la zona in cui abitava, e quella lo era. Il sistema possibile di prevenzione era quello che lui adottava: decideva le destinazioni per strada, facendo mettere la freccia all’autista. Il pomeriggio di quella domenica, lasciando la casa dell’onorevole Tricoli, alla scorta disse che si andava a Palermo, solo all’ ultimo fece sapere che la meta era la casa materna, che visitava abbastanza di rado (tanto che la signora scherzosamente lo rimproverava) e sempre di mattina, dopo la messa. Dal che e’ facile dedurre come gli assassini lo stessero curando da tempo o aspettando fin dal mattino. I killer di Falcone non sono forse rimasti appostati dal giorno precedente sull’ autostrada?” E come mai non avete i rivelatori di esplosivo? “Semplicemente perche’ di efficaci non ce ne sono. Parisi ha disposto ricerche in tutto il mondo, ma senza esito. Ha interessato perfino il Cnr…”. E la “non saggezza” nel disporre il servizio in chiesa? “Un’osservazione che non riguarda me. D’altra parte il sindacato di polizia ha parlato chiaro. Io ero col mio “capo”, Parisi, a proteggere il presidente Scalfaro, che era stato seriamente minacciato”. Ma allora, perche’ ? “Un giornalista siciliano, Lucio Galluzzo, mi ha espresso la sua solidarieta’ con un questa frase: beato il popolo che non ha bisogno di eroi e lo Stato di capri espiatori. Io sono stato l’ agnello sacrificale. Qualcuno doveva pagare. Forse ha ragione Cossiga… Ma cosi’ va il mondo. Sono un servitore dello Stato, senza tessere ne’ padrini, che va dove viene mandato. Mi dispiacerebbe solo che si pensasse che sono stato spostato per incapacita’ “. Nessuna colpa, allora? “L’ unica colpa e’ quella di aver fatto la guerra alla mafia vincente: i Vernengo, i Madonia… Una guerra che ha scatenato la reazione sanguinaria che stiamo pagando”. [160]
La situazione a Palermo é molto tesa. In mattinata scatta un allarme bomba sotto l´abitazione del PM Vittorio Teresi: gli artificieri, davanti ad una auto Orion con fili a vista sotto il volante, fanno esplodere una minicarica per scardinare il bagagliaio. Un boato che allarma la citta’ e il proprietario, un fotografo uscito dalla sua bottega a fianco incredulo: “E’ mia. Che avete combinato?” [161]
Nell´ambito delle indagini sulla strage vengono arrestati due giovani, uno in possesso di un’arma e un meccanico che nascondeva numerose targhe d’auto. Quest’ultimo potrebbe avere avuto un ruolo nella strage perche’ sulla 126 imbottita di tritolo e’ stata trovata la targa di un’auto rubata sabato sera. Significa che, davanti alla portineria della strage, fino a domenica mattina doveva essere parcheggiata una macchina diversa da rimuovere poco prima del “via libera” con uno spostamento dell’ autobomba, effettuato in un raggio ristretto alle vicinanze di via D’Amelio. [162]
Permangono i dubbi sulla sorte dell´agenda personale di Paolo Borsellino che non e´ stata ritrovata nella borsa del magistrato: a sera una Tv attribuisce alla famiglia la notizia del ritrovamento, ma in Questura non si retrocede dal “no comment”.[163]
Una telefonata anonima giunge nella notte al centralino del quotidiano La Sicilia preannunciando un attentato contro il carcere di massima sicurezza di Pianosa dove sono stati trasferiti nei giorni scorsi numerosi imputati in processi di mafia. Un uomo, dall’ accento marcatamente catanese, dice che un quantitativo di esplosivo (tritolo combinato con T4) sarebbe stato inviato a Pianosa dal porto di
Domenica 26 luglio 1992
Si uccide a Roma la testimone di giustizia Rita Atria. La ragazza aveva deciso di collaborare con la Giustizia rivolgendosi proprio a Paolo Borsellino, dal quale aveva ricevuto un grande aiuto anche dal punto di vista umano. Rita non riesce a trovare la forza per fare fronte alla notizia della morte del magistrato. Gli uomini dell’ Alto commissariato per la lotta alla mafia che avevano il compito di proteggerla consegnano alla magistratura romana il biglietto che la ragazza ha lasciato: “Sono rimasta sconvolta dall’uccisione del procuratore Borsellino, adesso non c’ e’ piu’ chi mi protegge, sono avvilita, non ce la faccio piu’ “. [165]
L´ex segretario della Dc Flaminio Piccoli scrive in un articolo per il quotidiano Popolo che “Oggi Di Pietro corre seri pericoli. Dopo Falcone e Borsellino, lo Stato deve tutelarlo al massimo perche’, se un altro dei grandi esploratori del crimine senza volto venisse eliminato, saremmo giunti all’ultimo delitto di confine fra la democrazia, la distruzione del sistema democratico e la nascita di un nuovo totalitarismo… La mafia si colloca a livelli alti e altissimi, nei settori dello Stato e delle imprese, anche nel Nord e all’estero”. Se anche Di Pietro cadesse vittima delle forze criminali, osserva Piccoli, “si tratterebbe di un’altra pozza di sangue, di un delitto Matteotti, del bersaglio piu’ alto che si avverte, nelle pieghe degli eventi, come quello che vuol colpire definitivamente la democrazia dei partiti popolari; come quello cui mira chi vuole servirsi, oggi, delle piazze: leghisti, fascisti, gruppi di una certa sinistra radicale, in vista di un golpe…”. Ad allarmare Piccoli sono le recenti sortite dei leghisti in Slovacchia e a proposito della Sicilia. “Siamo al punto di rottura dell’ unita’ nazionale”. Anche il presidente dei senatori dc ed ex ministro degli Interni Antonio Gava, in un articolo sul Mattino, afferma che “in Sicilia si combatte oggi una guerra che non e’ solo in difesa della Patria una e indivisibile, ma di una concezione umana… L’attuale e’ un momento peggiore rispetto a quello del terrorismo. Le Brigate Rosse non avevano la potenza di fuoco e di danaro di Cosa Nostra”. [166]
Sebastiano Bongiorno, unico Gip del tribunale di Caltanissetta, denuncia lo stato penoso in cui sono lasciati gli uffici giudiziari nisseni in un´intervista al Corriere della Sera:
Su col morale: non c’e’ il calamaio. Per scatenare la guerra senza quartiere contro la Mafia il giudice per le indagini preliminari Sebastiano Bongiorno puo’ contare su modernissime penne biro, marca Bic, che gli permettono di sveltire il lavoro superando le lentezze borboniche del pennino e del tampone. E perfino di una macchina per scrivere elettrica. Certo, anche se lo ha chiesto 4 anni fa non ha il computer, tranne quello da cui al pomeriggio spodesta suo figlio, a casa. Non ha i floppy disk dove inserire le informazioni che man mano gli vengono fornite. Non ha un collegamento diretto via cavo con le banche dati italiane o statunitensi. Ma gli hanno assicurato che non si deve preoccupare. Un po’ alla volta i mezzi tecnici arriveranno anche qui, in questo ufficio al VI piano del Palazzo di giustizia. E’ solo questione di settimane. Massimo di mesi. La burocrazia… Ogni tanto, lo assale lo sconforto: “Vorrei tacere. Lavorare e tacere. Ma e’ una situazione ridicola. Assurda. Insostenibile. Dico: e’ o non e’ , il nostro, l’ufficio giudiziario in questo momento piu’ delicato d’Italia e probabilmente d’Europa? Bene: sono solo. Prima che se ne andasse una collega eravamo in due, stando alla pianta organica dovremmo essere 3 e ci sarebbe lavoro almeno per 4. Eppure sono solo. E guardi un po’ come sono costretto a lavorare”. Ridacchia amaro e accenna con la testa ai tavoli stracolmi di fascicoli, agli armadi che traboccano di carte, agli angoli del pavimento coperti da pile di dossier: “Mi pare di essere Bartleby, lo scrivano di Melville”. Un piccolo travet che affoga tra i flutti di un polveroso mare cartaceo. Eccolo, il ponte di comando della lotta alla Piovra. Il cuore delle inchieste su tutti i delitti che hanno insanguinato le toghe siciliane degli ultimi 10 anni. L’uccisione di Rocco Chinnici, consigliere istruttore a Palermo. Di Ciaccio Montalto, sostituto procuratore a Trapani. Di Antonino Saetta, presidente della I sezione della Corte d’assise d’appello palermitana. Di Rosario Livatino, giudice del tribunale di Agrigento. Della donna e dei due bambini trapanesi morti nell’attentato dinamitardo contro Carlo Palermo. Da qui e’ partita la caccia ai killer di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo (la cui appartenenza al tribunale di Palermo ha fatto scattare la competenza nissena) e dei tre uomini della scorta dilaniati nella strage del 23 maggio. Da qui, infine, quella agli assassini di Borsellino e dei 5 agenti. Indagini difficilissime. Rischiose. Da togliere il sonno. E da impegnare a tempo pieno una squadra di magistrati al gran completo. E proprio questo e’ il punto. Costretti ad arrossire davanti alle denunce seguite all’eccidio di Capaci, quando salto’ fuori che la importantissima procura nissena mancava di 3 sostituti procuratori su 6 e che dei tre a disposizione solo uno era abilitato alle inchieste antimafia, il Csm e il ministero di Giustizia hanno si’ tappato la falla. Ma ne hanno lasciata spalancata un’altra. Non meno sconcertante e pericolosa. Dopo aver inviato in tutta fretta a Caltanissetta i sostituti procuratori catanesi Giuseppe Petralia e Paolo Giordano e quello messinese Pietro Vaccara, che si erano generosamente offerti, Roma sembra infatti essersi dimenticata dell’ufficio dei giudici per le indagini preliminari. Il quale, se non potesse contare su Sebastiano Bongiorno (rimasto al suo posto – nonostante fosse sul piede di partenza – in nome del dovere e dell’ amicizia che lo legava a Falcone), non avrebbe oggi un solo titolare in grado di autorizzare un’intercettazione telefonica o la sistemazione di una microspia. Auguri. Per il momento la situazione e’ gravissima, ma non disperata. Le inchieste sulle due stragi palermitane non sono ancora arrivate a quel punto di svolta in cui il Gip, sulla base delle nuove regole, assume una funzione dominante. Ma quando arrivera’? “Non so. E’ assurdo lavorare cosi’ – risponde Bongiorno – Per affrontare inchieste come quella sul delitto Falcone non basta leggere le migliaia di pagine dell’indagine. Occorre studiare gli antefatti: le uccisioni di Chinnici o di Dalla Chiesa, il ruolo dei corleonesi, le testimonianze dei pentiti… Insomma: certe inchieste non si possono piu’ fare a mano. Ci vuole la protesi: il computer. Anche se poi magari mi farebbero mancare il tecnico…”. Prima ancora, pero’, servono gli uomini: “Ci vuole uno staff di magistrati. Forte. Unito. Compatto. Insomma, io non mi posso neanche prendere il lusso di avere un raffreddore. Possibile?”. E prima ancora la volonta’ di dare una risposta non solo giudiziaria: “Una risposta globale”. In fretta: “La mafia ha il vantaggio del bianco negli scacchi. Muove per prima. Questo e’ il punto: partiamo sempre con uno scarto di svantaggio”. Duro da recuperare, senza strumenti nuovi: “La Sicilia sta reagendo come mai era accaduto prima. Dico io: datecela la legge sui pentiti. Datecela, se volete fare la guerra alla mafia. Ogni momento che passa puo’ essere un’ occasione perduta”.[167]
Il Corriere della Sera rilancia un articolo uscito sul settimanale tedesco Bild am Sonntag in cui il capo dell’ufficio criminale del Bka, Hans Ludwig Zachert, assicura che Borsellino aveva interrogato a Mannheim i presunti assassini accusati della strage di San Silvestro, quando nel “Bar Duemila” di Palma di Montechiaro fu sterminata la famiglia Allegro (5 morti):
La “pista tedesca” porta alla spietata mafia di Palma di Montechiaro, al viaggio che Paolo Borsellino fece ai primi di luglio a Mannheim per interrogare 4 presunti assassini dei quali la polizia tedesca ieri ha rivelato i nomi anche se questo forse non sara’ molto gradito a chi in Sicilia avrebbe bisogno di indagare senza scoprire le carte, perche’ qui si e’ ad un passo dalla verita’ sui grandi delitti di una provincia malata come quella di Agrigento. E’ in questa terra di potenti lobbies e sanguinari clan che si era concentrata l’attenzione di Borsellino convinto di potere trovare in Germania la spiegazione dei massacri di due colleghi, Saetta e Livatino, del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli e delle altre stragi che hanno puntellato la guerra combattuta fra i paesi di Sciascia e Pirandello. Punto debole delle cosche, il tedesco Heico Shinna, un trafficante di cocaina che dopo il suo arresto si e’ pentito consentendo di aggiornare la mappa delle famiglie e, secondo una voce non confermata, di avere anche una traccia per individuare una “talpa” nell’apparato investigativo. Sul settimanale tedesco Bild am Sonntag il capo dell’ufficio criminale del Bka, Hans Ludwig Zachert, assicura che Borsellino aveva interrogato a Mannheim i presunti assassini accusati della strage di San Silvestro, quando nel “Bar Duemila” di Palma di Montechiaro fu sterminata la famiglia Allegro (5 morti). Quattro nomi, solo uno dei quali noto per diverse storie di mafia, quello di Gioacchino Schembri. Inediti gli altri: Gaspare e Ignazio Incardona e Gioacchino Calafato. Tutti legati alle rivelazioni di Shinna, il tedesco con il quale i siciliani si erano confidati troppo, lo “straniero” che alcune settimane fa aveva portato all’arresto di Gaetano Puzzangaro, 23 anni, un assassino che a Palma chiamano “la mosca”, indicato in un primo momento come uno dei killer di Livatino, ma poi uscito di scena anche perche’ il supertestimone Pietro Ivano Nava aveva riconosciuto solo Paolo Amico e Domenico Pace. Sono questi gli uomini che Borsellino avrebbe dovuto interrogare partendo per la Germania lunedi’.[168]
Alcune centinaia di cittadini partecipano a Palermo ad una “marcia della speranza” dalla parrocchia di Don Orione, quartiere Montepellegrino, sino al luogo dell’attentato a Paolo Borsellino e agli uomini della scorta. Il corteo si muove in silenzio alle ore 16.57, la stessa ora della strage, e dopo aver percorso un chilometro, depone un fiore in via D’Amelio. Il parroco Salvatore Caione recita lo stesso augurio che Borsellino pronuncio’ in occasione del trigesimo dell’attentato a Falcone alla fiaccolata degli scout.[169]
L´onorevole Enzo Leone, 52 anni, socialista, ex-assessore alla Presidenza della Regione siciliana, viene tratto in arresto nella mattinata a casa sua a Castelvetrano (Trapani) per un ordine di custodia cautelare. Reato ipotizzato, l’abuso in atti d’ufficio. L’indagine fa riferimento ad una pioggia di finanziamenti nei confronti di cooperative giovanili “fantasma”. Con Leone sono stati arrestati anche i suoi piu’ stretti collaboratori: l’avvocato Giacomo Hopps, consulente legale dell’assessore; il funzionario regionale Vincenzo Conigliaro, gia’ componente del comitato che esaminava i progetti delle cooperative; l’ex consigliere comunale del Psi di Castelvetrano Rosario Allegra. Quest’ultimo e’ accusato di istigazione alla corruzione. Avrebbe cercato di convincere un dirigente della Regione che aveva denunciato tutto a fare marcia indietro in cambio di una “mazzetta”. Leone era stato inquisito anche da Paolo Borsellino, allora Procuratore a Marsala, in un’inchiesta sulla compravendita di voti.[170]
Il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro parla a Osso di Croveo, piccolo paese della val D´Ossola in Piemonte, sotto il tendone della chiesa all’aperto del “Treno dei bambini”, trentacinque vagoni ferroviari che sono la colonia estiva dei frati cappuccini di Domodossola: “Al tramonto di domenica scorsa l’Italia e’ stata insanguinata un’altra volta. Ho detto l Italia, non la Sicilia… Quella esplosione e’ per tutta l’Italia, quei morti sono di tutta l’Italia. E se qualcuno pensasse che si possono risolvere i problemi stracciando brandelli di patria, non ci sarebbe piu’ nemmeno la patria”. Scalfaro non lo nomina mai, ma deve avere in mente il leghista Gianfranco Miglio che nei giorni scorsi aveva proposto di lasciare la Sicilia al suo destino. “Con nell’ animo le lacrime e il sangue che ho raccolto fino a venerdi’ e mescolandolo all’ondata di serenita’ e di pace di questa terra – dice Scalfaro – vorrei che ognuno sentisse che questo e’ il patrimonio comune per poter risorgere… l’impegno dell’onesta’ incomincia da me, dipende da voi amministratori, dai parlamentari, da tutti coloro che hanno una responsabilita’ nel mondo economico e finanziario. O si risorge insieme o, lo diro’ ancora una volta, guai a noi”. [171]
Lunedí 27 luglio 1992
Viene ucciso a Catania in un agguato di stampo mafioso Giovanni Lizzio, capo della speciale sezione anti estorsioni della squadra mobile. É il primo delitto eccellente che avviene a Catania dopo l’uccisione del giornalista Pippo Fava, avvenuto nel gennaio del 1984.
Il Corriere della Sera intervista Giusi Agnello, dirigente del commissariato di Palma di Montechiaro (Agrigento), che sabato ha ricevuto l’ordine di trasferirsi entro 48 ore a Roma, alla Dia, senza che nessuno pensasse alla sostituzione. Il commissario aveva lavorato a Palma per due anni e mezzo ed aveva collaborato con Paolo Borsellino all´Operazione “Gattopardo”: “In tre mesi con lui, non appena ha funzionato la Dda, la Direzione distrettuale antimafia, siamo riusciti a fare quel che non era stato possibile in due anni. Lavorando senza concorrenza, noi e i carabinieri finalmente avevamo trovato un interlocutore che, in poco tempo, ci ha consentito di mettere tanti tasselli del mosaico a posto. E’ quel che stavamo facendo e che bisogna continuare a fare”. [172]
Martedì 28 luglio 1992
Al termine di un’audizione a Roma di fronte al Csm sullo stato della giustizia palermitana il procuratore Pietro Giammanco legge una lettera con cui chiede ufficialmente di essere trasferito ad altro incarico. Durante l´audizione Giammanco sottolinea il pieno accordo che e’ sempre esistito sia con Giovanni Falcone (con lui qualche piccolo screzio dovuto alla differenza di temperamento, e giudicando semplici sfoghi le accuse contenute nel suo diario), da lui difeso proprio davanti al Csm, sia con Paolo Borsellino, al quale concedeva una delega ben piu’ ampia del dovuto e sul conto del quale proprio il giorno prima della strage si era espresso in termini lusinghieri, proponendolo per incarichi direttivi superiori. Giammanco rivendica la sua assoluta indipendenza dai partiti politici, esibendo le sue “medaglie antimafia” (“ho fatto perquisire immediatamente studi e abitazioni dell’europarlamentare Salvo Lima dopo la sua uccisione”) e giudica “un prodotto dell’ emotivita’ ” il documento degli otto sostituti palermitani dimissionari che definisce opportunisti e strumentalizzati politicamente.
Nello stesso giorno viene ascoltato dal CSM anche il PM palermitano Roberto Scarpinato, uno degli otto dimissionari, il quale dichiara: “Noi rinunceremo alle dimissioni solo a una condizione, che vengano assicurati i livelli di sicurezza adeguati per i magistrati e per le scorte. Occorre subito fare qualcosa, abbiamo chiesto un incontro col ministro Mancino, ma aspettiamo ancora una risposta. Comunque non si deve far credere alla gente che quello di Palermo sia un problema di faide tra magistrati. Non sono atteggiamenti personalistici. Si tratta di problemi di livello istituzionale. Qui parliamo di mafia, di vita o di morte negli uffici giudiziari”. [173]
Il prefetto di Palermo
Il Corriere della Sera pubblica un estratto della lettera scritta da
Sempre il Corriere della Sera rivela che il telefono di Rita Borsellino,sorella del giudice Paolo e residente in via D´Amelio, sarebbe stato tenuto sotto controllo dalla mafia nei giorni precedenti alla strage. La fase finale della della preparazione dell´attentato sarebbe scattata a mezzogiorno di domenica 19 luglio, dopo una telefonata via cavo in cui Paolo Borsellino preannunciava la sua visita nel pomeriggio. Gli artificieri di Cosa nostra avrebbero piazzato in via D’Amelio la Fiat 126, imbottita con 80 chili di “Sintex”, tre ore prima dell’esplosione. Numerose testimonianze dei condomini concordano infatti nel fissare attorno alle ore 14 la comparsa dell’autobomba.[176]
Il presidente del consiglio Giuliano Amato partecipa alla trasmissione “Lezioni di mafia” ideato per il Tg2 da Giovanni Falcone in collaborazione con il direttore Alberto La Volpe, ed accusa: “Questo Stato non e’ del tutto innocente e lo sappiamo. Quanta parte di Stato ha collaborato, ha lasciato che accadessero fatti, ha omesso di intervenire quando poteva intervenire, anche nei confronti della criminalita’ organizzata? Sono domande, queste, che attendono risposte nella nostra storia recente”. Secondo il capo del governo, il fenomeno mafioso non e’ solo italiano, soprattutto per quanto riguarda il traffico della droga e forse col traffico di armi nell’ex Repubblica jugoslava. Amato non vuole pero’ rientrare nella categoria dei disfattisti: “Criticare lo Stato, spronarlo a esercitare meglio le sue responsabilita’ ha un senso. Lasciarsi andare al dileggio, agli atteggiamenti distruttivi, al distruggere tutto e tutti, al ritenere che chiunque sia Stato, o e’ per un attimo Stato, e’ per cio’ stesso spregevole, questo significa stare”. [177]
Mercoledì 29 luglio 1992
Enzo Scotti si dimette da Ministro degli Esteri. Ufficialmente la ragione è da ricercarsi nella decisione della DC sull’incompatibilità tra mandato parlamentare ed incarico ministeriale, in realtà si tratta di una lotta di potere tutta interna al clan democristiano. Scalfaro critica apertamente la decisione. La decisione sull´incompatibilitá tra mandati era stata presa su proposta del segretario Dc Arnaldo Forlani e la prima conseguenza era sta quella di sbarrare la strada per la nomima a ministro degli esteri di Giulio Andreotti, senatore a vita.
Il Ministro Martelli continua a rilasciare dichiarazioni che denotano quantomeno una scarsa conoscenza del fenomeno mafioso: “Da quando negli Stati Uniti i vertici di Cosa Nostra hanno subito duri colpi, le decisioni più importanti tornano alla cupola, al gruppo di comando siciliano.”[178]
Proseguono le audizioni presso il “gruppo di lavoro antimafia” del Csm dove vengono ascoltati i magistrati degli uffici giudiziari palermitani. Molto nette le dichiarazioni dei sostituti Antonio Ingroia e Vittorio Teresi: “Borsellino ci disse di non riferire a Giammanco troppi particolari sulle indagini che stavamo svolgendo perché non si fidava di lui.” [179]
Inoltre gli stessi ed altri colleghi della procura confermano una frase pronunciata da Giammanco in una riunione relativa alle misure di sicurezza per i magistrati palermitani. Riguardo al sostituto Di Lello che al pomeriggio si muoveva da solo con la macchina della moglie per mancanza di personale e mezzi, Giammanco aveva affermato: “Di Lello? Sta assittato supra ‘na cartedda ‘e munnizza“ (sta seduto su un mucchio di spazzatura), espressione palermitana rivolta a chi si vuole dare delle arie ed una certa importanza senza ragione.
Altri magistrati ascoltati dal CSM rilasciano brevi dichiarazioni al termine delle audizioni: “Non mi pare che le cose siano cambiate con la domanda di trasferimento presentata dal procuratore – dice il pm Giovanni Ilarda, uno degli otto giudici dimissionari – non ci sono divergenze all’interno del nostro gruppo. Personalmente non ho elementi per esprimere giudizi negativi su Giammanco al quale riconosco doti organizzative eccezionali. Nel nostro documento non parlavamo tanto di Giammanco, quanto delle inefficienze e dei problemi che esistono nei nostri uffici giudiziari. Il problema vero e’ quello dell’improvvisazione con cui viene fatto tutto. Non possiamo fare a meno di constatare comunque che divergenze profonde esistono non solo tra i magistrati di Palermo ma in tutta la societa’ italiana come abbiamo potuto constatare di fronte alla rabbia e al dolore della gente”. Per un altro dei sostituti ascoltati, Lorenzo Matassa, e’ necessario che “una volta placati i clamori non ci si dimentichi di Palermo. Abbiamo bisogno di soluzioni definitive e concrete”. [180]
Il Plenum del Csm dovrá essere convocato entro la metá di agosto per la decisione finale sugli uffici giudiziari palermitani dopo aver esaminato le conclusioni del “gruppo antimafia”. Tuttavia gli umori di alcuni membri del Csm rivelano giá i diversi punti di vista presenti all´interno dell´organo di autogoverno della magistratura: da una parte la corrente piu’ conservatrice che vorrebbe Pietro Giammanco al suo posto, dall’altra il movimento Magistratura democratica piu’ propenso ad un cambiamento che rappresenti una svolta per la guida della Procura piu’ esposta d’Italia. “Ricomporre la situazione negli uffici giudiziari di Palermo e’ possibile; occorre adottare una soluzione che eviti l’impressione che lo Stato sia occupato piu’ nelle beghe interne che nelle lotte esterne”, ha commentato uno dei consiglieri del gruppo di lavoro antimafia. Carlo de Gregori, per quanto riguarda la richiesta di trasferimento presentata da Giammanco, afferma: “La pratica passa ora alla terza commissione, quella dei trasferimenti, che e’ stata convocata, ma bisogna pero’ risolvere prima alcuni problemi. Giammanco infatti e’ a Palermo da soli due anni mentre per chiedere il trasferimento ce ne vogliono quattro”. In questo caso se il Csm dovesse decidere di rimuovere il capo della Procura non resterebbe che la strada, dura, del trasferimento d’ufficio in base al principio della incompatibilita’ d’ambiente. [181]
Il Corriere della Sera rilancia un´intervista rilasciata dall´ex presidente del consiglio Giulio Andreotti al settimanale “Famiglia Cristiana”. Andreotti ricorda un rapporto “ottimo” con Giovanni Falcone e difende la sua “gestione”: abbiamo sciolto i consigli comunali sospetti, abbiamo raggiunto accordi internazionali per il controllo del riciclaggio del denaro sporco, rammenta. Poi, una frase: “Sulla mafia non si sa tutto, perche’ se no, sarebbe gia’ stata vinta”. Andreotti ammette che il momento e’ difficile, eppure sottolinea: “Guai se ci lasciassimo prendere dai cavilli e dalla paura, bisogna stare attenti perche’ certe misure eccezionali sono una sconfitta dello Stato democratico”. L’ex presidente del Consiglio – dopo aver ricordato che l’ Italia dovrebbe combattere la mafia accentuando le indagini con quegli stessi servizi segreti – “che abbiamo fatto di tutto per smantellare in quanto ritenuti inaffidabili” – spezza una lancia in favore della cultura di governo della Democrazia cristiana. Respinge infatti come “falsa e ipocrita” l’accusa “che la colpa di tutto risiede nel fatto che il ministero degli Interni e’ sempre stato in mano alla Dc”. A chi gli chiede il perche’ dell’omicidio Lima, Andreotti risponde: “Quello che so e’ che aveva dato preziosi consigli per il decreto sulla proroga dei termini di carcerazione dei boss”. Andreotti difende la memoria del suo vecchio amico Salvo Lima: “Dopo la sua fine si e’ visto che Lima non aveva tutto quello che si poteva supporre che avesse non dico un mafioso, ma un “fiancheggiatore”, come si e’ arrivati a dire che fosse”. [182]
Il senatore della Lega Gianfranco Miglio risponde al giornalista Giulio Anselmi e a
Caro Direttore, il 26 luglio scorso Giulio Anselmi mi ha attribuito la “proposta insensata di abbandonare la Sicilia e i siciliani”. Scelgo, nel coro vociante dei miei contestatori, la sua obiezione per rispondere anche a tutte le altre. Conoscendo la storia dei siciliani, ho sempre pensato che essi siano stati “incorporati” contro natura, prima nel Regno di Napoli, e poi nel Regno Sabaudo. Sono sempre stato convinto che la Sicilia costituisca il fulcro spontaneo di un aggregato politico centro-mediterraneo di straordinaria potenzialita’ e vitalita’. Se la geopolitica non e’ una frottola fu un gravissimo errore negare ai siciliani la indipendenza che chiedevano nel 1945: gli italiani avrebbero oggi nel Sud un polo attivo di politica estera quale non sono mai riusciti a procurarsi nei centocinquant’anni di storia unitaria. E naturalmente anche i problemi interni dell’isola avrebbero preso una piega diversa: la nascita di una vera classe politica padrona del suo destino (e non mantenuta dalle benevolenze e dalle collusioni della dirigenza romana) avrebbe consentito di impostare i rapporti con i diversi strati della societa’, e quindi anche con la mafia, in un modo ben diverso da quello disperato in cui li vediamo oggi gestiti. Soprattutto sarebbe scomparso quel dualismo fra Stato continentale dominante e regione colonizzata che dura da quando la monarchia militare conquisto’ l’isola e vinse nel Sud la sanguinosa guerra civile dei primi anni Sessanta. Ma davvero si crede che anche i siciliani estranei alla esperienza mafiosa tollereranno di essere “civilizzati” e “messi in riga” dai funzionari e dai militari inviati e comandati da Roma? Non si vede che alla radice di queste pretese “soluzioni” c’e’, come presupposto, una totale svalutazione del popolo siciliano e della sua dignita’? Le mie idee sulla Sicilia io ho gia’ avuto modo di esprimerle in un paio di interviste rese alcuni mesi fa a due quotidiani dell’isola: e ne ho avuto, come eco, soltanto delle telefonate molto favorevoli. Percio’ credo di ravvisare, all’origine della canea che si e’ scatenata, soltanto gli interessi di quella classe politica siciliana che prende i voti sull’isola e li gode nei palazzi romani. Io non conosco (e non intendo conoscere) il fratello del compianto giudice Borsellino: a giudicare da come scrive (e da come non riesce a padroneggiare i suoi del resto comprensibili risentimenti) deve fruire di un livello culturale piuttosto basso. Comunque voglio rassicurarlo: da un mese (per essere ancora piu’ libero) ho sciolto anche l’ultimo legame che mi univa all’Universita’ Cattolica. Per quanto concerne invece il titolo che legittima la mia presenza in Parlamento, esso non dipende dal benestare di nessun “signor Borsellino” ma dai quarantatremila comaschi e dai ventimila milanesi che, il 5 aprile, con doppia investitura, mi hanno inviato in Senato. La cosa buffa pero’ e’ che, per le mie idee su quanto si dovrebbe fare in Sicilia, io non ho nemmeno il merito dell’ originalita’: perche’ esse si trovano, in un articolo (Cosa loro) scritto da Indro Montanelli sul “Giornale” il 4 settembre 1991: si vada a fare il confronto. Io ho sempre avuto simpatia per una parte dei siciliani, e non credo affatto che, in prospettiva storica, il vincolo mafioso sia stato sempre e soltanto un fatto criminale. Prima che l’anno si chiuda verra’ pubblicata una preziosa ricerca, con la quale un mio allievo ha studiato la mafia come fenomeno politico. Non dunque i rapporti della mafia con la politica, ma la mafia come struttura in se’ politica. Se si vuol venire a capo dei problemi piu’ gravi, bisogna abbandonare le escandescenze e usare la ragione. E finirla di strumentalizzare anche il sangue degli assassinati.
Gianfranco Miglio [183]
Giovedí 30 luglio 1992
Maria Falcone viene ascoltata dal Csm riguardo al contenuto dei diari di suo fratello ed al clima di isolamento che egli aveva vissuto prima di chiedere il trasferimento a Roma. Maria Falcone conferma che Giammanco ostacolava pesantemente il lavoro di Giovanni Falcone tanto da sottrargli anche atti d’indagine dei quali era titolare in quanto componente del coordinamento antimafia della procura.
Il Corriere della Sera riporta parte di una lettera del rettore dell´Universitá Cattolica di Milano Adriano Bausola che ha manifestato a
Il Corriere della Sera pubblica un´intervista al funzionario al vertice del servizio di protezione della Polizia di Stato per i collaboratori di giustizia. Il funzionario spiega il momento di difficoltá che alcuni collaboratori stanno vivendo dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino:
Funzionario (P): “I pentiti hanno bisogno di un nuovo magistrato che sia un amico comprensivo e un confessore disponibile, non soltanto un notaio che registra le dichiarazioni. E’ questo il miracolo che Falcone e Borsellino erano riusciti a fare. Grazie a loro viviamo una stagione d’ oro. C’ e’ tanta gente che e’ nata dentro la mafia e che non ne puo’ piu’ della mafia. Bisogna tendere una mano e facilitare il passaggio verso la civilta’ . Ma i pentiti vogliono d’ altra parte un uomo, uomini integerrimi, autorevoli, con carisma, in grado di promettere e mantenere, di interrogare e non partire per le ferie, di verbalizzare e non passare le carte agli avvocati dei mafiosi”.
Felice Cavallaro (FC): “Dopo Falcone, dopo Borsellino ha registrato uno sconforto generalizzato?”
P: “I miei pentiti hanno reagito male. Tanto male. Erano stati loro a “scegliere” Falcone e Borsellino. C´e’ sicuramente un grande sconforto ma comprensibile”.
FC: “Che cosa dice loro per superare questa fase?”
P: “Che bisogna andare avanti. E si va avanti. Nessuno infatti ha deciso di ritrattare, di ritirarsi. Ma bisogna stare vicino a queste persone perche’ non mollino”.
FC: “
P: “E’ quel che temevo. E invece abbiamo segnali opposti. Ma c’e’ bisogno di un magistrato disponibile non solo per raccogliere le dichiarazioni del pentito ma anche per vivere con lui i suoi momenti di tristezza. Gestire un collaboratore non significa riempire i verbali come un notaio. Significa soprattutto sapere rinunciare ad un pomeriggio di interrogatorio se il pentito si mette a piangere preso da dubbi e tormenti”.
FC: “Qual era il metodo di Falcone e Borsellino per conquistare la fiducia dei pentiti?”
P: “Grazie alla loro esperienza coglievano la dignita’, lo spessore umano di queste persone che non vogliono ne’ l’elemosina, ne’ essere trattate come strumento di un disegno. Vivono un dramma interiore immenso. Vogliono liberarsi di informazioni che hanno, dissociandosi indipendentemente dal pentimento che e’ un’altra cosa. Chi per vendetta, chi perche’ teme di essere ucciso, chi per crisi mistica o altro, al di la’ della motivazione, queste persone nel momento in cui decidono di dissociarsi finiscono per strapparsi la pelle, per sradicarsi dalla loro cultura, dal loro mondo. E non e’ facile. Da soli non possono farcela”.
FC: “Chi puo’ aiutarli?”
P: “Occorre l’aiuto di un esperto, soprattutto di chi conosce le possibili parabole con momenti di caduta di tensione, con ricorrenti stati di apprensione. Deve saper vivere con loro senza derogare a nessuna delle sue funzioni, cercando di rispettare il silenzio, di cogliere il momento di sconforto, di restare vicino senza insistere utilizzando l’attimo in cui la persona e’ pronta ad aprirsi, a dichiarare”.
FC: “Chi puo’ sostituire Falcone e Borsellino?”
P: “Dei giudici con il garbo giusto, che sappiano fare la battuta al momento opportuno o che sappiano allontanarsi magari con la scusa di prendere un caffe’ quando il pentito ha bisogno di solitudine… Ci sono anche i giudici che vanno di fretta, che pensano all’aereo da riprendere… Non tutti lo sanno fare. Ci vuole un po’ di carattere e tanta esperienza”.
FC: “Come fa un pentito a “scegliere” il “suo” magistrato?”
P: “Molto dipende dal carisma che il giudice s’ e’ guadagnato con una presenza su giornali e Tv. E’ facile fraintendere ma io mi riferisco al concreto impegno antimafia che puo’ venire fuori attraverso articoli ed interviste su operazioni, blitz, arresti. E’ un elemento che conta moltissimo. Non dimentichero’ mai i primi interrogatori di Calderone. Quando gli dicevo che stavano arrivando da Palermo con un aereo speciale Falcone, il giudice Natoli e il procuratore capo per sentirlo, sorpreso, chiedeva: “Possibile che si muovano queste personalita’? Pure Falcone e il procuratore per me? Allora quello che dico vi pare davvero importante? Non pensavo di valere tanto”. Funzione, grado, notorieta’ sono elementi importanti. O, almeno, possono trasformarsi nella chiave che apre una porta”.
FC: “Lei ha chiesto a qualche pentito perche’ ha scelto Falcone o Borsellino?”
P: “Lo chiedo spesso. Mi rispondono che sicuramente non sono magistrati “avvicinati”. Hanno paura di essere trattati con superficialita’ o di mettere la loro vita nelle mani di persone “avvicinabili”, influenzabili, di giudici che dopo l’interrogatorio spiattellano quel che hanno sentito”. [185]
Venerdì 31 luglio 1992
Il governo cambia i vertici dei servizi segreti. Al SISDE Angelo Finocchiaro, giá Alto commissario “per il coordinamento della lotta alla delinquenza mafiosa”, succede ad Alessandro Voci, al SISMI Cesare Pucci sostituisce Luigi Ramponi. Il prefetto di Palermo
L’affermazione riguardo alla mancata segnalazione della pericolosità di Via D’Amelio è palesemente falsa.[187] In un’altra nota Iovine afferma: ”Spero solo che questo movimento di prefetti non venga interpretato da nessuno come un mio allontanamento per colpa. Spero di lasciare un buon ricordo nei cittadini palermitani per i cinque anni in cui ho svolto qui la mia attività, prima da questore e poi da prefetto. Credo di aver agito sempre secondo coscienza al meglio delle mie possibilità, con professionalià e zelo.” [188]
Si svolgono a Partanna in provincia di Trapani i funerali di Rita Atria, confidente di Paolo Borsellino suicidatasi pochi giorni dopo la strage di via D´Amelio. I funerali si svolgono al cimitero di Partanna dove altre donne sono giunte da ogni parte d´Italia per testimoniare la propria solidarietá a Rita, ripudiata dalla madre dopo la scelta di collaborare con la magistratura. Al rito é presente Anna Maria, la sorella di Rita, insieme al marito, un sottufficiale dell’Esercito con cui vive in Lombardia. Quando dalle sacre scritture il vecchio parroco di Partanna, don Russo, sceglie per il rito funebre solo i salmi che parlano del peccato anziche’ dell’innocenza, una ragazza romana lo interrompe e lo corregge: “Rita non ha peccato. Rita ha parlato. Mai piu’ lasceremo una donna sola”. Michela Buscemi, la donna che a Palermo ha accusato gli assassini del fratello rompendo con il resto della famiglia, compresa la madre, urla in dialetto: “Rita eri picciridda ma facisti cosi granni (Rita eri una bambina ma hai fatto cose grandi)”. La grande fotografa
Sul Corriere della Sera compare una lettera di risposta di Scianna Ferdinando, Redaelli Giulio, Sciardelli Franco all´editoriale di Corrado Stajano del 20 luglio:
Sul “Corriere” di lunedi’ 20, Corrado Stajano conclude un suo articolo sulla strage di Palermo con questa frase: “Paolo Borsellino era uno dei “professionisti dell’antimafia”, come lo aveva definito Sciascia, uno di quelli che facevano carriera con le inchieste di mafia. Che carriera, che splendida carriera”. Giuseppe D’Avanzo, giornalista, se non ricordiamo male, tra i piu’ pertinacemente attivi dalla parte dell’ingiustizia ai tempi dell’affare Tortora, scrive sulla “Repubblica” del 21 che “Paolo Borsellino fu definito professionista dell’antimafia da un Leonardo Sciascia male informato, peggio istigato da quelli che Borsellino riteneva ancora amici fraterni”. Affermazioni assolutamente non vere come puo’ verificare chiunque voglia rileggere quel famoso articolo apparso sul “Corriere” e ora ripubblicato in un libro postumo che non a caso si intitola “A futura memoria”. Ha anche un sottotitolo di lucido pessimismo quel libro: “Se la memoria avra’ un futuro”. Ed evidentemente non ce l’ha se gente come D’Avanzo e Stajano puo’ mentire con tanta premeditata spudoratezza. Premeditata e non solitaria, ne’ sorprendente. Ci sono persone e giornali, infatti, che non riescono ancora a digerire le ferite che le molte verita’ di Sciascia hanno inferto a quanti la verita’ non hanno mai amato. E oggi, fidando appunto nella orchestrata perdita di memoria, tentano, con stillicidio di menzogne e travisamenti, di operare meschine vendette. Fra le tante altre cose illuminanti e’ anche possibile leggere in quel libro quanto Sciascia scriveva gia’ il 20 febbraio 1983 a proposito di una certa evoluzione della mafia che nemmeno il generale Dalla Chiesa aveva capito: “Non aveva capito, insomma, la mafia nella sua trasformazione in “multinazionale del crimine”, in un certo senso omologabile al terrorismo e senza piu’ regole di convivenza e connivenza col potere statale e col costume, la tradizione e il modo di essere siciliani”. Ma dov’ e’ oggi uno Sciascia per analizzare fatti e misfatti di questo paese che i D’Avanzo, Stajano e compagni non riusciranno a capire nemmeno con i soliti dieci anni di ritardo?
Ferdinando Scianna, Giulio Redaelli, Franco Sciardelli
Alla lettera risponde Corrado Stajano:
Che malinconia! Il non aver dubbi, il non voler riconoscere neppure davanti a quei cadaveri straziati che la polemica di Sciascia sui professionisti dell’antimafia fu sbagliata e sommamente ingiusta. Falcone e Borsellino si portarono dentro fino alla fine il peso di quelle rovinose accuse (“Nulla vale piu’, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte a processi di stampo mafioso”). Dopo l’assassinio di Falcone, Paolo Borsellino ne parlo’ in pubblico a Palermo durante la presentazione della rivista “MicroMega”: disse che il suo amico Giovanni Falcone aveva cominciato a morire proprio dopo quell’ articolo di Leonardo Sciascia uscito il 10 gennaio 1987.
Corrado Stajano [190]
[1] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 142
[2] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 145
[3] La Trattativa, pag. 178
[4] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 146
[5] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 148
[6] Falcone Borsellino, Mistero di Stato, pag. 90
[7] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 148
[8] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 141
[9] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 151
[10] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 151
[11] Guglielmo Sasinini, „Quel giudice dovevo ucciderlo io“, Famiglia ristiana n° 32, 05-08-1992
[12] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 153
[13] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 152
[14] Corriere della Sera, 05-07-1992
[15] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 157
[16] Corriere della Sera, 05-07-1992
[17] Corriere della Sera, 22-07-1992
[18] Corriere della Sera, 21-07-1992
[19] La Repubblica, 7/7/1992
[20] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 161
[21] L’Unità, 8/7/1992
[22] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 166
[23] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 167
[24] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 168
[25] Corriere della Sera, 08-07-1992
[26] Corriere della Sera, 09-07-1992
[27] Corriere della Sera, 09-07-1992
[28] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 170
[29] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 172
[30] Corriere della Sera, 09-07-1992
[31] Corriere della Sera, 10-07-1992
[32] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 173
[33] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 173
[34] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 174
[35] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 175
[36] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 176
[37] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 176
[38] Corriere della Sera, 12-07-1992
[39] Corriere della Sera, 12-07-1992
[40] Corriere della Sera, 26-07-1992
[41] L’Europa dei Padrini, Fabrizio Calvi, Mondadori 1993, pag. 261 e La Repubblica, 22/7/1992
[42] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 176
[43] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 177
[44] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 177
[45] L’Europa dei Padrini, pag. 164
[46] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 179
[47] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 180
[48] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 181
[49] Falcone Borsellino, Mistero di Stato, pag. 75
[50] Falcone Borsellino – Mistero di Stato, pag. 20
[51] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 181
[52] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 182
[53] “U Baruni di Partanna Mondello”, Valeria Scafetta, Editori Riuniti, 2003, pag. 65
[54] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 183
[55] Corriere della Sera, 17-07-1992
[56] Corriere della Sera, 16-07-1992
[57] Arcangelo Ferri, Rai GR3 22-07-1992 e RAINEWS24 19-07-2007
[58] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 184
[59] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 184
[60] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 184
[61] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 185
[62] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 186
[63] Marco Bettini, “Pentito. Una storia di mafia”, Marco Bettini, Bollati Boringhieri, pag. 219, 1994
[64] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 189
[65] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 190
[66] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 191
[67] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 191
[68] Enzo Biagi, “Falcone mio fratello, cosí timido”, intervista a Maria Falcone, Corriere della Sera, 18-07-1992
[70] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 193
[71] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 194
[72] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 195
[73] Paolo Borsellino, Antonella Ferrera, La Storia in giallo, RAI Radio Tre, 22-03-2008
[74] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 197
[75] Corriere della Sera, 20-07-1992
[76] Corriere della Sera, 20-07-1992
[77] Corriere della Sera, 20-07-1992
[78] Corriere della Sera, 20-07-1992
[80] Corriere della Sera, 20-07-1992
[81] Corriere della Sera, 20-07-1992
[82] Corriere della Sera, 20-07-1992
[83] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 198
[84] Corriere della Sera, 20-07-1992
[85] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 199
[86] Corriere della Sera, 20-07-1992
[88] Corriere della Sera, 20-07-1992
[89] Corriere della Sera, 20-07-1992
[90] Corriere della Sera, 20-07-1992
[91] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 200
[92] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 201
[93] Corriere della Sera, 20-07-1992
[94] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 201
[95] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 201
[97] Il gioco grande, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Editori Riuniti, 2006
[98] L´Agenda rossa di Paolo Borsellino, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Chiarelettere, 2007, pag. 202
[99] Corriere della Sera, 21-07-1992
[100] Corriere della Sera, 20-07-1992
[101] Corriere della Sera, 23-07-1992
[102] Corriere della Sera, 21-07-1992
[103] Corriere della Sera, 23-07-1992
[104] Corriere della Sera, 21-07-1992
[105] Corriere della Sera, 21-07-1992
[106] „Emanuela, poliziotta quasi sposa“, Giorgio Petta, Corriere della Sera, 20-07-1992
[107] „Storia di Emanuela, morta in divisa a 24 anni“, Pier Giorgio Pinna, La Repubblica, 21-07-1992
[108] Corriere della Sera, 21-07-1992
[109] La Repubblica, 21-07-1992
[110] “Le facce di quei giudici”, Vincenzo Consolo, Corriere della Sera, 20-07-1992
[111] Corriere della Sera, 20-07-1992
[112] Corriere della Sera, 21-07-1992
[113] Corriere della Sera, 21-07-1992
[114] Corriere della Sera, 21-07-1992
[115] Corriere della Sera, 21-07-1992
[116] La Repubblica, 21-07-1992
[117] Corriere della Sera, 21-07-1992
[118] Corriere della Sera, 21-07-1992
[119] Corriere della Sera, “Le poste censurano le condoglianze di un operaio per la morte di Paolo Borsellino”, Costantino Muscau, 02-09-1992
[120] Corriere della Sera, Marzio Breda, 22-07-1992
[121] La Repubblica, 22/7/1992
[122] Corriere della Sera, 23/07/1992
[123] Corriere della Sera, 22/7/1992
[124] Corriere della Sera, 22-07-1992
[125] “U Baruni di Partanna Mondello”, Valeria Scafetta, Editori Riuniti, 2003, pag. 31
[126]
[127] Corriere della Sera, 22-07-1992
[128] Corriere della Sera, 22-07-1992
[129] Corriere della Sera, 22-07-1992
[130] Corriere della Sera, 22-07-1992
[131] Corriere della Sera, 22-07-1992
[132] Corriere della Sera, 22-07-1992
[133] Arcangelo Ferri, Rai GR3 22-07-1992 e RAINEWS24 19-07-2007
[134] La Repubblica, 23/7/1992
[135] Corriere della Sera, 23-07-1992
[136] Corriere della Sera, 23-07-1992
[137] Corriere della Sera, 23-07-1992
[138] Corriere della Sera, 23-07-1992
[139] Corriere della Sera, 23-07-1992
[140] Corriere della Sera, 23-07-1992
[141] Corriere della Sera, 23-07-1992
[142] Corriere della Sera, 27-07-1992
[143] Corriere della Sera, 24-07-1992
[144] Corriere della Sera, 23-07-1992
[145] “Stava per scoprire i killer di Giovanni”, Paolo Conti, Corriere della Sera, 24-07-1992
[146] Corriere della Sera, 25-07-1992
[147] Corriere della Sera, 24-07-1992
[148] Corriere della Sera, 24-07-1992
[150] Corriere della Sera, Regole speciali ma giustizia piu’ efficiente, Vittorio Grevi, 27-07-1992
[151] Corriere della Sera, 25-07-1992
[152] Michele Brambilla e Goffredo Buccini, Corriere della Sera, 24-07-1992
[153] Corriere della Sera, 25-07-1992
[154] Corriere della Sera, 24-07-1992
[155] Corriere della Sera, 24-07-1992
[156] Corriere della Sera, 25-07-1992
[157] Corriere della Sera, 25-07-1992
[158] Corriere della Sera, 25-07-1992
[159] Corriere della Sera, 25-07-1992
[160] Corriere della Sera, 26-07-1992
[161] Corriere della Sera, 26-07-1992
[162] Corriere della Sera, 26-07-1992
[163] Corriere della Sera, 26-07-1992
[164] Corriere della Sera, 27-07-1992
[165] Corriere della Sera, 28-07-1992
[166] Corriere della Sera, 26-07-1992
[167] Gian Antonio Stella, “Solo, con carta e penna, in prima linea contro i killer”, Corriere della Sera, 26-07-1992
[168] Corriere della Sera, 26-07-1992
[169] Corriere della Sera, 27-07-1992
[170] Corriere della Sera, 27-07-1992
[171] Corriere della Sera, 27-07-1992
[172] Corriere della Sera, 27-07-1992
[173] Corriere della Sera, 29-07-1992
[174] L’Unità, 28/7/1992
[175] Corriere della Sera, 28-07-1992
[176] Corriere della Sera, 28-07-1992
[177] Corriere della Sera, 29-07-1992
[178] La Repubblica, 30/7/1992
[179] La Repubblica, 1/8/1992
[180] Corriere della Sera, 30-07-1992
[181] Corriere della Sera, 30-07-1992
[182] Corriere della Sera, 29-07-1992
[183] Corriere della Sera, 29-07-1992
[184] Corriere della Sera, 30-07-1992
[185] Corriere della Sera, “Vi racconto la disperazione dei pentiti”, Felice Cavallaro, 30-07-1992
[186] La Repubblica, 1/8/1992
[187] Falcone Borsellino – Mistero di Stato, pag.30
[188] Agenzia Ansa, 31/7/1992
[189] Corriere della Sera, 01-08-1992
[190] Corriere della Sera, 31-07-1992