di Elena Proietti – Istituto Comprensivo Perugia 9 – III C
Alla fine mi ritrovavo sempre lì, in quel luogo, a contemplare quel pauroso silenzio.
Forse perché cercavo un po’ di me stessa, come tutti cerchiamo la pace dove c’è stata una guerra.
Poi ho sentito un sussurro, che all’inizio ho scambiato per vento, ma poco dopo ho notato come si facesse sempre più forte. Erano le loro voci. Sì, quelle di coloro che avevano sentito tutto, le voci di chi era rimasto in silenzio fino ad ora, nel terrore di vivere una vita che però avrebbero scambiato con una morte diversa da quella che li aspettava.
Poi quelle voci si trasformarono in urla. Percepii il loro dolore; anche se non potevo vedere i loro volti, sapevo quello che provavano e sapevo che il peso del silenzio li stava divorando.
Ad un tratto riuscii a udire qualcos’altro.
Inaspettatamente mi sentii come condotta da una mano amica. Eppure di fronte a me non vedevo nessuno, nemmeno una persona, ma io continuavo a camminare, senza una fine, senza sapere dove stessi andando.
Mi fermai: niente urla o parole, solo silenzio, un silenzio che indicava rispetto, un silenzio che indicava paura o forse solo un banale silenzio.
Quella mano amica mi stava tenendo forte, come timorosa, pensando che io non fossi pronta.
Quindi chiusi gli occhi, istintivamente, senza un apparente motivo, solo perché avevo la sensazione di doverlo fare.
Ma ciò che vidi non mi piacque.
La mia mente mi portava in luoghi reali, ma spaventosi allo stesso tempo. Ero stata catapultata in via d’Amelio.
Quando capii dove quella mano mi avesse condotta, il mio sangue si fermò e iniziai a sentire un brivido scendermi lungo la schiena e attraversarla, facendomi accapponare la pelle per poi svanire.
In quel momento di esitazione, non avevo più bisogno di chiudere gli occhi, riuscivo a visualizzarlo.
Del vetro era arrivato sotto ai miei piedi, ma io non mi capacitavo ancora di cosa stesse realmente accadendo. Tante persone urlavano intorno a me e scappavano. Molti invece si erano raggruppati in cerchio. La situazione era diventata caotica: delle auto stavano andando a fuoco, tra cui quella di Borsellino. Ma lui dov’era? Dalla mia prospettiva non riuscivo a visualizzarlo, perciò mi diressi verso quel gruppo.
C’era chi piangeva, ma se devo essere sincera la prima cosa che mi colpì fu lo sguardo della madre del giudice. Sembrava smarrito, confuso, come se non realizzasse cosa fosse successo.
Poi però lo notai.
Era morto oppure stava solo fingendo? In cuor mio ci speravo. Una delle più grandi risorse dell’Italia, uno dei maggiori combattenti … Non parlo di coloro che vanno con un’arma in mano contro il nemico. No! Dico di quelli che sono senza armi, indifesi, ma che pazientemente aspettano la loro ora, aiutando un paese a crescere.
In molti lo volevano morto, eppure continuava a sperare di potercela fare. Alcuni lo hanno definito illuso, matto, un utopista. Come puoi combattere qualcosa più grande di te? Sarebbe come andare contro uno tsunami: prima ti travolge e poi ti uccide.
Vicino al suo corpo vedevo anche quello di altre persone. Erano gli agenti della scorta. Una lacrima iniziò a rigarmi il volto, a scendere lentamente e ad accarezzare le mie labbra per poi finire a terra e mescolarsi con il sangue dei nostri piccoli grandi eroi.
Mi allontanai a piccoli passi, non riuscivo a stare in piedi. Chiusi gli occhi un secondo e quando li riaprii intorno a me non vidi più nulla.
Ero sola.
All’improvviso, era di fronte a me.
Mi fissava un po’ incuriosito, ma sorrideva, continuava sempre a farlo.
Mi prese la mano e l’appoggiò sul suo cuore. Avrei dovuto portarla indietro, ma qualcosa mi fermava. Sentivo i suoi battiti intensi, pieni di vita.
Levai la mano di scatto e iniziai a urlare. Non sapevo precisamente il perché, forse ero solo un po’ spaventata. Borsellino continuava a fissarmi e non capivo se fosse reale oppure una mia allucinazione, come quella di prima.
Dalla sua bocca uscirono delle parole. Non mi capacitavo di come potesse essere possibile, anche se in realtà non era l’unica domanda che mi stavo facendo.
Mi disse che tutto ciò che vedevo era nella mia testa ed era proprio quest’ultima che mi stava mandando un segnale: era lui a volermi vedere e parlare.
Iniziò con le solite parole per rompere il ghiaccio, anche se non sapevo più cosa fosse “normale” fare.
Parlò solo lui. Non mi dispiaceva per niente. La sua voce era così soave e delicata, mi ricordava il movimento di una piuma spostata dal vento.
Ad un tratto il discorso prese un’altra piega.
Parlò della sua morte e disse: “ Io in verità sapevo che la morte mi stava aspettando e per questo motivo ho iniziato ad allontanarmi dalla mia famiglia, perché quando sei distante dagli altri, loro dopo sentiranno meno la tua mancanza. Io in effetti non mi godevo più la vita, ma sapevo che tutto ciò prima o poi sarebbe servito a qualcosa. Rimanevo sveglio tutte le notti, cercando un modo per sconfiggere la mafia. Mi sentivo come in quei film polizieschi, dove, in effetti, nessuno riesce a essere sempre perfetto. C’è sempre qualcosa che non va.
Devo dire la verità, dopo la morte del mio amico Falcone non riuscivo più a svolgere il mio lavoro con lo stesso entusiasmo di prima. Avere qualcuno nella tua stessa situazione e che lotta con te è sempre di grande aiuto, pertanto, quando mi trovai lì, solo, ero un po’ spaventato.
Quando venni ucciso, solo una piccola parte di me è morta: io sono sempre stato qui a guardare tutto ciò che gli altri facevano e dicevano, ma nessuno mi ha mai veramente cercato, anche se posso dirti che ho aspettato con pazienza qualcuno che fosse in grado di comprendermi.
Quel giorno, in via d’Amelio, io avevo una sensazione strana. Proprio per questo non parlai con nessuno. Ero troppo assorto nei miei pensieri, forse un po’ ingarbugliati.
In verità sapevo che quello era il mio ultimo giorno, ma stentavo ancora a crederlo.
Poi però i miei sospetti si sono trasformati in realtà. Ma sai cosa mi ha fatto più male? Il fatto di vedere, anche se per pochi secondi, altre persone sacrificarsi per me e con me. Eppure lottavo per ottenere il contrario.
Sono morto, ma con la consapevolezza che tutto quello che avevo fatto era stato giusto.”
Rimasi allibita, non sapevo precisamente cosa dire, ero esterrefatta dal grande cuore di quell’uomo che aveva lottato contro il più grande nemico italiano.
Poi dalla mia bocca uscì una domanda. In quel momento mi sentivo come una giornalista anche se in verità ero solo una banale persona in confronto alla sua grandezza. Gli chiesi se, conoscendo il suo futuro, avrebbe scelto di fare lo stesso lavoro.
Lui si schiarì la voce e mi disse: “ Ovviamente, sapendolo sarei stato di certo un po’ spaventato. La morte faceva paura anche a me, ma io a differenza degli altri sapevo che fare quel lavoro avrebbe risparmiato la vita di molte altre persone. Perciò sì! Lo rifarei altre mille volte.”
Gli posi quindi un’altra domanda:“ Le manca la sua famiglia? E cosa crede abbia visto quel giorno sua madre?”.
Lui dichiarò con un tono di voce molto dolce: “La mia famiglia è la cosa che mi manca più di tutte. Io sono sempre stato legato a loro e doverli lasciare per me è stato molto difficile. Mi manca non sentire più le loro risate riempire le mura di casa, i loro litigi e tutto il loro amore.
Riguardo a mia madre, penso che lei, come dice mio fratello quando parla con me di fronte a una mia fotografia, non abbia visto nulla perché io ho preferito coprirle gli occhi, poco prima dell’incidente, risparmiandole così un altro grande dolore.
Avevo un sogno, era quello di aiutare gli altri. Avevo un sogno, era quello di avere una famiglia. Avevo un sogno, era quello di combattere. Avevo un sogno che spero si trasformi in realtà grazie all’aiuto di tutti.”
Svanì di fronte ai miei occhi e mi ritrovai a contemplare di nuovo quel silenzio, sapendo che al suo interno si trovava un uomo che aveva cambiato il mondo.
Elena è la Speranza di Paolo
di Angela Romano, Agende Rosse Umberto Mormile di Perugia
Per il secondo anno consecutivo l’Istituto Comprensivo Perugia 9, scuola secondaria di primo grado di San Martino in Campo e San Martino in colle, ha aderito al progetto La Speranza di Paolo siete Voi. Gli incontri si sono tenuti tra febbraio e marzo 2021 e, malgrado la modalità in DAD, sono stati caratterizzati da un crescente entusiasmo che ha raggiunto il culmine il giorno in cui i ragazzi si sono potuti confrontare con Angelo Garavaglia Fragetta, del direttivo nazionale delle Agende Rosse, e con Salvatore Borsellino, il fondatore del Movimento.
Ragazzi splendidi che, merito anche delle docenti Alessia Battistelli, Benedetta Ponti, Elena Macciò, Lisa Piccioloni e della Dirigente Morena Passeri, si sono fatti notare per acume, competenza informativa, domande, capacità di analisi e coinvolgimento emotivo.
Ricordo perfettamente il primo intervento di Elena Proietti, al quale ne seguirono altri, in quanto in lei notai, oltre a profondità e competenza, una luce particolare che riscontro in chi, nei percorsi di formazione, incontra il carisma di Paolo Borsellino e ne rimane folgorato. E’ questo il motivo per cui quando ho ricevuto il suo componimento onirico, tra sogno e memoria, pur non restandone sorpresa ho cominciato ad analizzarlo per comprenderne il significato profondo.
”Inaspettatamente mi sentii come condotta da una mano amica”: da cosa è stata mossa la giovane Elena nel vagheggiare di vedere Paolo fino a sentirne la fisicità, ricreando una presenza altrimenti impossibile?
Nella sua visione onirica è riuscita a materializzare il ricordo di Paolo legandolo al suo corpo … “Mi prese la mano e l’appoggiò sul suo cuore. Avrei dovuto portarla indietro, ma qualcosa mi fermava. Sentivo i suoi battiti intensi, pieni di vita”…, alla sua voce …”Parlò solo lui. Non mi dispiaceva per niente. La sua voce era così soave e delicata, mi ricordava il movimento di una piuma spostata dal vento”, sortendo un effetto che è proprio degli artisti: far diventare materiale la realtà del ricordo trasformata dallo scorrere del tempo.
Elena è stata geniale in questo suo personalissimo modo di ricordare perché con l’inconsapevolezza e l’audacia della sua giovane età, attraverso una narrazione allucinante, è riuscita a dare corpo, materialità, ad una memoria collettiva che travalica l’età anagrafica e diventa testimonianza potentissima proprio nel momento in cui si cerca di relegare nel passato il sacrificio di tanti.
Salvatore Borsellino ha commentato: quasi non posso credere che si tratti solo di una ragazzina di terza media… Sono i miracoli che riesce a fare Paolo anche da morto, ispirare ad una adolescente parole e sogni che sembrano più grandi di lei.
Ha ragione Salvatore, miracolosamente le giovani generazioni continuano ad essere permeate dalle parole di Paolo Borsellino:
La lotta alla mafia deve essere un movimento culturale e morale che coinvolga tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità, quindi complicità”.
“I giovani e la mafia? È un problema di cultura, non in senso restrittivo e puramente nozionistico, ma come insieme di conoscenze che contribuiscono alla crescita della persona. Fra queste conoscenze vi sono quei sentimenti, quelle sensazioni che la cultura crea e che ci fanno diventare cittadini, apprendendo quelle nozioni che ci aiutano a identificarci nelle Istituzioni fondamentali della vita associativa e a riconoscerci in essa”.
“Se i giovani oggi cominciano a crescere e a diventare adulti, non trovando naturale dare alla mafia questo consenso e ritenere che con essa si possa vivere, certo non vinceremo tra due, tre anni. Ma credo che, se questo atteggiamento dei giovani viene alimentato e incoraggiato, non sarà possibile per le organizzazioni mafiose, quando saranno questi giovani a regolare la
società, trovare quel consenso che purtroppo la mia generazione diede e dà in misura notevolissima. E questo mi fa essere ottimista”.
Parole, queste, che ci ricordano la speranza riposta da Paolo nei giovani ai quali dedicava grande attenzione e tempo.
Persino il 19 luglio 1992, 57 giorni dopo aver perso il collega e grande amico Falcone nella strage di Capaci, dopo un susseguirsi di giornate in cui il tempo per il lavoro non bastava mai e lacerante era il dolore per la morte di Giovanni, alle 5 del mattino Paolo iniziò a rispondere alle domande dei ragazzi di una scuola di Padova: “Come e perché è diventato giudice? Cosa sono la Dia e la Dna? Che differenza c’è tra mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita?”…
La lettera è rimasta incompiuta a causa di quella fiat 126, imbottita di tritolo, che alle 16:58 di quella domenica uccise Paolo Borsellino sotto casa della madre insieme ad Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Claudio Traina.
L’esplosione, però, non ha cancellato né reso vano il sacrificio di Paolo ed il suo messaggio di Amore continua ad arrivare alle giovani generazioni nelle quali riponeva tanta speranza e che erano fonte del suo ottimismo.
“Avevo un sogno che spero si trasformi in realtà grazie all’aiuto di tutti” … dopo quasi 29 anni da quella strage Elena è la materializzazione del Sogno di Paolo.
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