di Lucia De Sanctis – blogger
Vincenzo Musacchio, giurista e direttore scientifico della Scuola di Legalità “don Peppe Diana” di Roma e del Molise da pochi giorni vincitore del Premio Nazionale “don Peppe Diana” – Per amore del mio popolo non tacerò – Menzione Speciale – attribuita dai familiari del sacerdote assassinato dalla camorra con la seguente motivazione: “Per la sua instancabile azione di diffusione della cultura della legalità con particolare riferimento alla lotta alle mafie, alla corruzione e con predilezione per l’approfondimento della nostra Costituzione”.
Professore, come stanno cambiando le mafie?
La criminalità organizzata è in continua metamorfosi e investe nell’economia legale miliardi di euro in imprese, centri commerciali e attività economiche di ogni genere dando lavoro a migliaia di persone, dall’operaio al professionista. Cittadini che in tutta Italia sostengono le mafie perché si mettono in affari con esse e ne traggono notevoli benefici.
Com’è cambiato il potere mafioso in Italia dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio?
Certamente la mafia oggi è qualcosa di diverso da quella stragista degli anni novanta, non ha più bisogno di sparare, ha un grado di penetrazione totale nelle istituzioni pubbliche e nell’economia legale e reinveste facilmente i proventi miliardari del traffico di droga, di esseri umani, di organi o dei rifiuti aprendo attività imprenditoriali nel rispetto della legge.
Com’è possibile che uomini senza istruzione né cultura, tengano sotto scacco intere zone dell’Italia?
Per me la risposta è facile poiché io sono un teorizzatore del cd. quarto livello. Esiste una rete, ove si annidano “poteri forti”, una sorta di “super comitato”, costituito da uomini politici, massoni, banchieri, alti burocrati dello Stato, industriali, che influenza (direttamente o indirettamente) anche le sorti delle mafie italiane. Questi poteri forti nazionali costituirebbero il cd. “terzo livello”, mentre quelli sovranazionali realizzerebbero al cd. “quarto livello”.
Cos’è questo “quarto livello” e chi sono le persone che lo comporrebbero?
Senza dubbio sono organizzazioni e multinazionali abbastanza grandi da contare e pesare nello scenario politico ed economico internazionale. I membri di questi “poteri forti” coincidono tout court con una rete d’interessi interdipendenti di tipo finanziario, politico, economico e industriale. Le mafie e l’economia sono sempre state connesse per il semplice fatto che l’attività predatoria delle organizzazioni criminali si rivolge verso la ricchezza. Oggi, le mafie sono divenute non solo “imprenditrici” ma anche “politiche” entrando a pieno titolo nell’economia globale mediante le ingenti somme di denaro a loro disposizione.
Cosa ne pensa della trattativa fra Cosa Nostra e pezzi dello Stato, fra il 1992 e il 1994?
Una trattativa tra mafia e Stato italiano, per raggiungere un accordo sulla fine degli attentati stragisti, in cambio dell’attenuazione delle misure detentive c’è stata e lo conferma la sentenza penale della Corte d’Assise di Palermo del 20 aprile 2018. Tutto nasce dalla sentenza del Maxi-processo. Da allora Cosa Nostra decise la linea delle stragi. Nel giro di pochi mesi caddero vittime di attentati, Salvo Lima, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ignazio Salvo. Personalmente ritengo che Paolo Borsellino sia stato ammazzato proprio per la sua volontà di ostacolare questi accordi. A essere onesti fino in fondo credo bisogna avere il coraggio di dire che lo Stato si sia piegato alle mafie da molti decenni. I rapporti tra crimine organizzato e Stato sono noti a tutti gli esseri umani di buon senso, la sentenza di Palermo è solo una nuova conferma. E’ un dato di fatto ormai che i rapporti tra i due poteri siano talmente stretti che in alcuni casi sia impossibile distinguere l’uno dall’altro. Singole “trattative” sono messe in campo, di fatto, da parte delle istituzioni tutti i giorni in alcune zone d’Italia.
Nei suoi incontri con i ragazzi lei parla spesso delle vittime, tra loro c’è qualcuno che l’ha colpita particolarmente?
Il piccolo e innocente Giuseppe Di Matteo, 15 anni, figlio del boss Santino sciolto nell’acido per punire il padre diventato collaboratore di giustizia. Don Peppe Diana, al quale abbiamo intitolato la nostra Scuola di Legalità che fu barbaramente assassinato dentro la Chiesa di San Nicola a Casal di Principe dal clan dei Casalesi.
Secondo lei siamo attrezzati a contrastare questa nuova dimensione delle mafie?
Io credo di no! In primis perché non sono mai stati adottati gli strumenti necessari per far fronte a questa emergenza e ritengo che non si vogliano neanche adottare. Mancano le persone, gli apparati, le leggi adeguate, sembra quasi che tutti si siano rassegnati a convivere con la malattia e pur sapendo che potremmo sconfiggerla ci lasciamo morire abbandonandoci alla stessa. A questo punto non riesco più a comprendere se questo stato di cose stia bene anche a tanti italiani. Di una cosa però sono certo: a me non sta per niente bene!
Lei pochi giorni fa ha ricevuto la menzione speciale al Premio Nazionale “don Peppe Diana” concessa direttamente dai familiari del sacerdote ucciso sente di averlo meritato?
Meritiamo alcune cose sulla base delle nostre condotte o almeno così dovrebbe essere. Se qualcuno riceve un premio per il suo lavoro, vuol dire che probabilmente ha meritato stima e apprezzamento da parte di qualcun’altro. Paolo Borsellino era solito dire: “A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’esame di coscienza e mi chiedo se me lo sono guadagnato”. Ecco io dopo venticinque anni di diffusione della cultura della legalità nelle scuole italiane di ogni ordine e grado (ho iniziato con Antonino Caponnetto) mi sono posto la stessa domanda ma lascio a voi la risposta.
Che cosa ha provato nel riceverlo?
Un’emozione talmente grande che al momento di ringraziare gli organizzatori e i presenti mi sono bloccato per un attimo. Mi hanno colpito molto le parole di Marisa Diana, sorella di don Peppe, nei miei confronti e il suo abbraccio forte al momento della premiazione mi ha trasmesso sensazioni che credo saranno difficilmente ripetibili. Mancava il mio caro amico Augusto Di Meo, il testimone oculare dell’omicidio di don Peppe, con il quale più volte ci siamo ritrovati in giro per l’Italia nelle scuole e che ancora oggi dallo Stato riceve un no per il riconoscimento dello status di testimone di giustizia.
Lei è un fiume in piena, cosa ne pensa dunque di questo diniego nei confronti di Augusto Di Meo?
Lo Stato deve tutelare questi esempi civici con ogni mezzo, poiché, “le persone oneste che vanno a denunciare lo fanno a rischio e pericolo della loro vita e perché credono ancora nella legalità e nella giustizia”. Giovanni Falcone era convinto che lo Stato, dopo averne sfruttato chi aiuta la giustizia, una volta avuta la sua testimonianza-confessione non può abbandonarlo, dimenticandolo. La burocrazia, spesso contorta e macchinosa, non può rappresentare il principale freno della lotta alle mafie. Augusto Di Meo può essere riconosciuto testimone di giustizia da un punto di vista giuridico, occorre vedere se si voglia anche dal punto di vista politico.
Chiudiamo con un messaggio ai giovani?
Certamente. La gioventù indica il tempo della costruzione, per questo ai giovani dico sempre di lottare adesso. Da ciò dipenderà il vostro e il nostro futuro. Per questo gli anni che state vivendo sono molto importanti poiché nulla arriva senza sacrificio. Il duro lavoro deve essere la base del vostro sviluppo intellettuale. Lottate per i vostri diritti nel modo migliore che potete. Le mafie e la corruzione purtroppo sono anche un vostro problema e occorrerà un grande impegno per sconfiggerle. Ricordatevi che le mafie puntano sui giovani che saranno la loro linfa vitale e anche se voi le marginalizzate loro pensano a voi. Mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi è inutile e dannoso, è necessario invece lottare il cancro prima che le metastasi distruggano inesorabilmente il vostro futuro. La vostra arma è negli studi, nella cultura, nel dialogo e nel confronto.
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