di Aaron Pettinari
“Da Procura nessun favore. E ha sempre dichiarato quello che sapeva”
“Massimo Ciancimino non è una vittima. E’ un uomo che è conscio di aver commesso degli errori e che che sta pagando per gli stessi ma non si è mai sottratto dalle sue responsabilità. Umanamente merita un riconoscimento morale e di riconoscenza per la sua collaborazione, per aver dimostrato di volersi smarcare dall’operato del padre. Non solo ha fatto ammissioni ma si è anche pentito di quello che ha fatto e no si può che apprezzare quello che ha fatto da cittadino in questo Paese. Rispondendo alle domande quando è stato chiamato dai magistrati, in un Paese alla rovescia che si culla nell’omertà e nel silenzio”. Così Roberto D’Agostino, avvocato assieme a Claudia La Barbera di Massimo Ciancimino, è intervenuto nell’arringa difensiva al processo trattativa Stato-mafia.
Nei confronti del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo la Procura ha chiesto la condanna a cinque anni per il reato di calunnia mentre ha chiesto di dichiarare prescritto il reato di concorso in associazione mafiosa in quanto tale condotta sarebbe cessata con la cattura del boss Riina.
Lo scorso 22 febbraio proprio La Barbera aveva discusso la posizione del proprio assistito per quel che riguardava la calunnia che sarebbe stata commessa ai danni di Gianni De Gennaro. Oggi D’Agostino si è concentrato soprattutto nell’analisi dei fatti che hanno caratterizzato l’imputazione per concorso esterno. “Siamo di fronte ad un processo con imputati che devono rispondere di gravissimi reati posti contro lo Stato ed il Governo – ha esordito D’Agostino – Dalle discussioni precedenti è sembrato quasi che l’unico vero criminale di questa vicenda sia solo Massimo Ciancimino,colpevole sostanzialmente di essere stato sbirro e di aver collaborato con l’autorità inquirente. L’unico tra gli imputati, assieme a Brusca, a rispondere alle domande poste da tutte le parti. Ed è questo che ha dato fastidio, perché Ciancimino ha rotto il silenzio”.
Altro che farsa
Secondo il difensore il processo Stato-mafia “non è un processo farsa” e neanche un processo fatto per“mascariare i carabinieri” (tesi, quest’ultima, definita come “infamante e calunniosa”) ma riguarda “una delle pagine più bue della storia repubblicana”.
Il legale ha evidenziato come il concorso esterno a Ciancimino sia stato contestato in passato “sin dal giorno della morte di suo padre. Un’iscrizione che secondo quanto riferito da uno degli esponenti dei servizi segreti incontrato da Ciancimino, saebbe stato fatto a sua tutela in modo che si potesse avvalere della facoltà di non rispondere”. Nel corso della discussione D’Agostino ha anche ricordato come negli altri processi che hanno visto il figlio di don Vito accusato di calunnia o per la detenzione di esplosivo, sia caduta l’aggravante dell’articolo sette. “Ciò per evidenziare che Massimo Ciancimino con l’associazione mafiosa Cosa nostra non ha mai avuto alcun tipo di rapporto e legame se non quello nascente dal rapporto di parentela con suo padre. Di quella condanna di associazione mafiosa a carico di Vito Ciancimino lui si è sempre vergognato, fino a spingere affinché lo stesso collaborasse con la magistratura e prima ancora con i carabinieri che lo avevano contattato per cercare di fermare le stragi”.
Nessun vantaggio
D’Agostino ha anche evidenziato come, quando Ciancimino ha iniziato a rilasciare dichiarazioni non avesse nulla da guadagnare: “Nel gennaio 2008 aveva solo una condanna in primo grado, inflitta nel marzo 2007, in attesa di appello. Anche se fosse stata la condanna a cinque anni ed otto mesi, con l’indulto non sarebbe mai rientrato in carcere. Inoltre era già stata archiviata l’indagine per associazione mafiosa quindi non c’erano procedimenti per cui Ciancimino jr doveva chiedere garanzie o favori. Non c’erano vantaggi personali nemmeno per quanto riguarda il patrimonio del padre, con tanto di sequestri e confische di beni, per cui lui stesso ha segnalato conti che erano ignoti alle Procure e di cui non gli è mai stato restituito nulla”. A dimostrazione dei mancati trattamenti di favore ricevuti da parte della Procura di Palermo D’Agostino ha anche ricordato che la stessa non ha concesso il patteggiamento al processo per la detenzione di esplosivo, che avrebbe permesso di evitare la carcerazione. “La verità è che Massimo Ciancimino è ancora oggi in carcere e che contro di lui c’è stata una durezza massima come dimostra anche la mancata richiesta della Procura per il riconoscimento delle attenuanti generiche. Mentre non si può ignorare che Massimo Ciancimino ha reso dichiarazioni anche autoaccusatorie e che è grazie a queste dichiarazioni che è stata riaperta l’inchiesta con l’ipotesi dell’associazione mafiosa. Dichiarazioni che ha reso anche dopo la contestazione per l’accusa di calunnia. Una durezza nei suoi riguardi che è proseguita anche di recente quando la Procura della Repubblica di Roma che ha impugnato il permesso di due ore per uscire dal carcere, concesso dal Tribunale di Sorveglianza, per permettere al nostro assistito di vedere il figlio”.
Il giocattolo della “trattativa”
Le dichiarazioni di Ciancimino jr, secondo il difensore, hanno “rotto il giocattolo trattativa, anzi hanno rotto l’accordo sotteso alla minaccia al corpo politico dello Stato (per ribadire la correttezza del capo di imputazione contestato agli imputati, ndr)”. Parlando in particolare dell’ex ufficiale del Ros, Mario Mori, D’Agostino ha evidenziato come lo stesso, “non può essere ripunto come un integerrimo rappresentante delle forze dell’ordine. La retorica di questo alto ufficiale si scontra implacabilmente su quanto ascoltato in questo processo e su una carriera costellata di tanti punti oscuri.
E a questo si aggiunge anche la notizia per cui uno dei più importanti brigatisti rossi, Valerio Morucci, ha collaborato con ‘Theorema’, la rivista di intelligence, il cui Comitato Scientifico è presieduto dal generale Mario Mori e che è stato assunto con un contratto a tempo indeterminato da una società di intelligence di Giuseppe De Donno”.
Quindi ha sottolineato come riguardo a Mori, “seppur sempre assolto nei processi” non manchino giudizi “tutt’altro che teneri” come nelle motivazioni della sentenza per la mancata perquisizione del covo di Riina.
D’Agostino ha anche puntato il dito contro lo “spettacolo indecoroso” delle telefonate tra l’ex ministro Mancino ed il Quirinale, ravvisando un comportamento lontano da chi era “anziché difendersi nel processo si è difeso dal processo”. “Quale motivo avrebbe avuto Massimo Ciancimino di accusare falsamente il senatore Mancino, all’epoca vice presidente del Csm? E’ un dato di fatto che il nome di Mancino si trova nella scritta, autografa del padre, che si trova nel contropapello”.
Ciancimino non sapeva
D’Agostino, a difesa del proprio assistito, ha sostenuto che tutto l’operato che l’ha visto protagonista degli scambi di pizzini tra il padre e Bernardo Provenzano, che ha portato alla contestazione del reato di concorso esterno fino al 2002, era pesantemente condizionato dal padre. “Va considerato l’aspetto psicologico nel momento in cui poneva in essere le varie condotte – ha spiegato D’Agostino – Il rapporto col padre era quello di un padre padrone cheh a imposto il suo dominio con la violenza psicologica e fisica, oltre che basato su un rapporto conflittuale. Lui non poteva opporsi alla volontà di Vito Ciancinino e nemmeno essere cosciente, facendo domande, per comprendere il significato di quelle azioni. Non era abilitato ad aprire i pizzini o ad assistere agli incontri. Lui prendeva un biglietto in busta chiusa per portarlo dal padre e a questi lo consegnava senza conoscerne il contenuto”. Un discorso che a dire dell’avvocato vale tanto per il papello quanto per la lettera in cui si parla di Dell’Utri. “In quei documenti – ha detto l’avvocato di Ciancimino – anche ammettendo che fosse cosciente del contenuto, e non lo era, non permettono di far contestar il reato di concorso esterno perché in quel momento per Massimo ogni intervento altro non era che un tentativo di aiutare il padre e non l’organizzazione criminale Cosa nostra”. Non solo. Secondo l’avvocato dopo l’arresto del 1992 Vito Ciancimino aveva completamente perso il proprio ruolo di intermediario tra vari componenti del potere ed era stato messo fuori dalla scena politica.
Per questo motivo D’Agostino, nella sua conclusione condivisa anche dall’avvocato La Barbera, ha chiesto “in primo luogo, previa la riqualificazione del reato di concorso esterno con quello di favoreggiamento personale, l’assoluzione di Ciancimino ed in subordine che l’imputato sia assolto per il delitto di concorso esterno con la formula più ampia e liberatoria. In estremo subordine chiedo il non doversi procedere perché il reato estimo per intervenuta prescrizione essendosi consumata in data 19 dicembre 1992. Nell’ipotesi che Cianimino fosse ritenuto colpevole per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa fino al 2002 chiedo il riconoscimento delle attenuanti generiche e che nel giudizio del bilanciamento vengano ritenute equivalenti alle contestate aggravanti”.
29 marzo 2018