Con il fratello Stefano e Fabio Repici la memoria dell’educatore carcerario
Servizi segreti deviati, mandanti a ‘volto coperto’, accordi indicibili e Protocollo Farfalla
Sono questi gli argomenti trattati nel dibattito organizzato sulla pagina Facebook del sito 19 luglio 1992. Tra i partecipanti vi sono stati, Angela Romano, coordinatrice del gruppo Agende Rosse Umberto Mormile Perugia e Trasimeno, Stefano Mormile, fratello di Umberto e il noto avvocato Fabio Repici.
Ha moderato l’incontro Marco Bertelli del direttivo nazionale delle Agende Rosse.
Giuseppe Lombardo: abbiamo a che fare con soggetti che vanno oltre la mafia
Durante la diretta è stato fatto sentire un estratto della requisitoria del Procuratore Aggiunto della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, risalente all’autunno 2019, nell’ambito del processo ‘Ndrangheta stagista con particolare riferimento proprio al caso Mormile.
“Siamo andati a verificare come potesse essere contestualizzato quel riferimento alla Falange Armata” anche in relazione al “significato di quello che Riina disse alla riunione di Enna (avvenuta nel 1991)” in concerto con “quello che avevano già fatto i Papalia una anno prima in relazione all’omicidio Mormile”. Un particolare assai importante poiché Salvatore Riina diede l’ordine di rivendicare gli omicidi e le stragi eseguite dall’ala stagista di Cosa Nostra nel biennio del ’92, con la stessa sigla con cui un anno prima venne ucciso l’educatore carcerario. Perché Riina usò quella sigla? Qualcuno gliela suggerì?
Certamente le investigazioni in merito al caso Mormile, come ha ricordato il procuratore reggino, attestano che “abbiamo a che fare con soggetti che vanno oltre la componente mafiosa” la quale ha “suggerito la sigla da utilizzare” e che la decisione di eliminare l’educatore carcerario è “il parto di alcune strutture deviate dello Stato, il cui nucleo forte è stato costituito da una frangia dell’allora SISMI, insieme ad alcuni esponenti della settima divisione e del cosiddetto reparto OSSI che fino alla caduta del Muto di Berlino (e per i mesi successivi) si sono occupati delle operazioni Stay Behind che evidentemente volevano destabilizzare il Paese attraverso un attentato terroristico da sfruttare per mantenere il proprio ruolo in uno scenario profondamente mutato” e ancora “la sigla Falange Armata riappare il 27 ottobre del 1990 e va ricollegata a quello che è successo il 24 ottobre di quello stesso anno, cioè quando il Presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti ha svelato l’esistenza in Parlamento di Gladio e delle operazioni Stay Behind”.
La lettura dell’intero contesto è assai ampia, tenendo in considerazione anche le testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia come Emanuele Di Filippo, il quale, ha ribadito il pm Lombardo “crea un parallelismo importate con i Papalia attraverso la figura di Nino Gioè, quello stesso Gioè che morendo il 28 luglio del ’93 (dopo le stragi continentali) lascia una lettera in riferimento a Domenico Papalia”.
Oppure un’altra testimonianza chiave è stata quella fornita dal collaboratore di giustizia Nino Fiume il quale, dice il dott. Giuseppe Lombardo “ci parla della visita di Giuseppe De Stafano a Platì (sempre accompagnato dal Fiume) in cui incontrano Domenico Papalia a colloquio con uomini dei servizi” i quali erano loro volta in contatto con ambienti riconducibili al “generale Delfino. Guarda caso quello stesso generale che vive a pochi chilometri di distanza dal lago d’Orta dove i fratelli Graviano sono latitanti da molto tempo”.
Alla fine dell’estratto audio il procuratore Lombardo ha domandato quante dovranno essere le testimonianze dei collaboratori di giustizia affinché le autorità comprendano che “abbiamo vissuto una stagione stragista non solo drammatica ma univocamente riferibile ad un sistema criminale che va oltre le mafie?”
La risposta fino ad ora è stata una languido silenzio.
Il mondo di mezzo delle Carceri
“Le carceri Italiane nella storia Repubblicana sono state una specie di pattumiera nella quale nascondere accordi inconfessabili” ha detto l’avvocato Fabio Repici.
Certamente uno degli argomenti più discussi che orbitano intorno agli istituti penitenzieri e quello del cosiddetto ‘Protocollo Farfalla’ “una locuzione utilizzata al riguardo – ha descritto Repitci – di un accordo parecchio borderline che sarebbe stato stretto fra il direttore del DAP Giovanni Tinebra e il direttore del SISDE Mario Mori intorno al 2004 – 2005”, tale accordo prevedeva una particolare collaborazione tra gli istituti penitenzieri e i servizi segreti, i quali avrebbero potuto avere accesso alle celle dei detenuti senza il controllo dell’autorità giudiziaria.
Infatti in riferimento al Protocollo Farfalla l’avvocato Repici ha detto che ci sono “alcuni collaboratori di giustizia che hanno parlato di interventi di operatori dei servizi segreti nelle carceri”.
Questo discorso rappresenta uno dei punti cardine dell’omicidio Mormile in quanto il delitto “ha visto il coinvolgimento dei Papalia sollecitati da apparati deviati dello Stato”, ha detto Repici, e ed è stato accertato “che effettivamente al carcere di Milano Opera, un funzionario del SISDE già da due anni prima dell’omicidio Mormile (e anche dopo n.d.r) faceva periodicamente accesso a quell’istituto penitenziario” e che l’accesso avveniva con “modalità che pur nella parzialità degli accertamenti, mi consentono di dire, che fossero modalità informali e quindi occulte e illegali”.
Inoltre per quanto riguarda i due processi che hanno portato alla condanna definitiva a Milano a carico di Antonio Papalia, Scettini, Cuzzula, Domenico Papalia, e Franco Coco Trovato si è riscontrato che oltre agli imputati è stato processato anche lo stesso Umberto Mormile che alla fine nelle sentenze “si è arrivati perfino a dire che era stato ucciso forse perché corrotto e che ad un certo punto si era sottratto ad un favore che avrebbe dovuto fare a Domenico Papalia”. In una delle due sentenze infatti in modo parecchio contraddittorio “vengono riportate le dichiarazioni di Cuzzola – ritenuto tra l’altro attendibile – il quale spiegava in realtà che Umberto Mormile era stato ucciso perché si era messo lui di ostacolo a Domenico Papalia” impedendogli di “continuare ad avere quei benefici”, che invece aveva sempre avuto. “Cuzzola ha fatto una dichiarazione davvero sconvolgente alla magistratura” poiché “ha segnalato come a lui stesso il suo difensore aveva proposto per ottenere dei benefici” di collaborare “con ‘gente di Roma’ intendendo con questa locuzione appartenenti ai servizi segreti”.
E’ ormai un dato storico e consolidato il fatto che dietro all’omicidio dell’operatore carcerario ci siano state altre regie oltre a quelle della mafia, e che devono essere ricercate nell’ambito dei servizi di sicurezza deviati.
L’Italia non è un Paese di verità
Stefano Mormile, fratello dell’educatore carcerario, ha detto durante il suo intervento che in riferimento al delitto si “conoscono gli esecutori, i mandanti, i fiancheggiatori. E si conosce pure il mandante occulto: Il SISMI” il quale forse ha attuato delle operazioni di depistaggio.
“Certamente non sono tutti collusi i membri dei servizi segreti” ha detto il fratello di Umberto ma in una Paese democratico “non vedo perché dovremmo innalzare un gruppo di uomini al di sopra della Costituzione nel nome della ragione di Stato”.
Oltretutto ha detto che “l’informazione che dovrebbe denunciare, in tutti questi anni, non solo non ha raccontato” ma “si è resa complice di quello che è accaduto” arrivando a descrivere Umberto Mormile come un corrotto al servizio del boss Papalia.
Fonte: www.antimafiaduemila.com
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