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Caso Antoci: Le Iene rispondono a La Repubblica

Un articolo de La Repubblica attacca l’inchiesta de Le Iene sull’attentato a Giuseppe Antoci, il presidente del Parco dei Nebrodi. La risposta di Gaetano Pecoraro

 

 

 



 

Visto che La Repubblica non ci ha concesso lo spazio necessario per rispondere a un articolo che ci ha tirato in ballo, rispondiamo qui. Il 9 marzo sulle sue pagine è apparso questo articolo: “I misteri del caso Antoci. L’Attentato che fa litigare i magistrati e l’Antimafia”. Giuseppe Antoci fino a qualche mese fa era il presidente del Parco dei Nebrodi. Con una legge che porta il suo nome ha fermato il business miliardario delle cosche mafiose legato ai fondi europei destinati all’agricoltura. Dell’attentato da lui subito noi de Le Iene ce ne siamo occupati.

Come vi abbiamo raccontato la macchina blindata di Antoci con due agenti di scorta percorreva una strada isolata sulle montagne dei Nebrodi. A un certo punto sono costretti a fermarsi perché la strada è interrotta da dei massi. Appena ferma dal bosco escono delle persone che iniziano a fare fuoco sull’auto mirando alla carrozzeria e alle ruote. Da dietro l’ultima curva sopraggiunge l’auto del Commissario Manganaro con un collega che vista la scena si catapulta fuori dall’auto. I due rispondono al fuoco nemico mettendo in fuga gli aggressori.

E a Le Iene vi abbiamo raccontato come successivamente anche un’altra versione dei fatti abbia preso corpo, che Antoci ha definito “come una palla di neve… Che diventa una valanga”. Una valanga che ha travolto Antoci, la scorta che gli ha salvato la vita e i poliziotti che sono intervenuti quella notte, ma anche i magistrati che hanno seguito le indagini sull’attentato. Perché la conclusione a cui è giunta la Commissione antimafia della regione Sicilia è molto strana. O come ci ha detto Antoci “non c’è stata una conclusione”. Ed è vero perché, per la precisione, di conclusioni ce ne sono state ben tre. La prima parla di “attentato mafioso fallito’”, la seconda di “atto dimostrativo destinato ad avvertire”, e la terza invece, la più clamorosa, parla di una “MESSINSCENA”.

E veniamo all’articolo di Repubblica. Il giornalista comincia con questa frase: “Mai si era visto un attentato di mafia senza un solo mafioso caduto nella rete. Mai. E mai indagini così traballanti!”. Davvero non c’è mai stato un attentato di mafia che non ha trovato neanche un mafioso colpevole? Ecco solo alcuni dei casi di mafia ancora oggi irrisolti:

Il 5 maggio del 1971 il procuratore capo di Palermo, Pietro Scaglione, viene barbaramente assassinato dalla mafia. Oggi, a 49 anni di distanza, non si sa ancora chi sia stato. Da 49 anni il caso è archiviato.

Il 5 agosto del 1989 il poliziotto Nino Agostino e la sua compagna Ida Castelluccio cadono vittime in un attentato mafioso. Per 30 lunghissimi anni i magistrati non sono mai riusciti ad aprire un processo per arrivare ai colpevoli. 30 anni di archiviazioni su archiviazioni. È di poche settimane fa la notizia dell’apertura del processo.

6 gennaio 1980, la mafia uccide il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella. C’è anche una foto di quei terribili attimi: si vede l’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che abbraccia il corpo ormai senza vita, del fratello. 

Oggi, a  40 anni di distanza, la magistratura non è riuscita ad arrivare a nessuno degli esecutori materiali. Quindi anche questi ultimi non sono stati uccisi per mano della mafia? O anche in questi casi “le indagini sono traballanti”? È una domanda che giriamo a Repubblica.

Ma proseguiamo. Nell’articolo si legge che la Commissione antimafia della regione Sicilia guidata da Claudio Fava sarebbe finita “in uno scontro istituzionale senza precedenti con la magistratura messinese perché colpevole di aver smontato pezzo dopo pezzo l’inchiesta giudiziaria, evidenziandone tutte le forzature”. Un’affermazione forte e che apre a piste molto suggestive. Ma di che forzature parla Repubblica? Ne cita una per tutte, che riguarda le indagini svolte subito dopo l’attentato. Secondo il giornalista a farle è stato un “piccolo commissariato di polizia (quello di Sant’agata Militello) nonostante la gravità dell’episodio”. E non solo: la procura di Messina avrebbe affidato le indagini “agli stessi investigatori testimoni dell’agguato, (una follia procedurale), sviluppate nell’immediatezza violando ogni regola”. Scritta così sembra proprio che l’indagine sull’attentato sia stata svolta da un piccolo commissariato di periferia. Peccato che questo sia falso. Come si evince dall’informativa sulla chiusura delle indagini sull’attentato ad Antoci datata 23 aprile 2018, è stata la Squadra mobile di Messina, sezione Criminalità Organizzata, a lavorare sul caso. Del “piccolo commissariato di polizia di Sant’agata di Militello”, nel documento indirizzato alla Direzione distrettuale antimafia di Messina, quindi, non vi è traccia. 

Ma al di là del falso riportato nell’articolo di Repubblica, come si può anche solo pensare che una Commissione regionale antimafia, che non ha alcun potere di indagine, ma solo di analisi, possa smontare un’inchiesta fatta da Squadra mobile, Sco, Ros, Polizia scientifica di Roma, e magistrati vari? Anche questa è una domanda che giriamo a La Repubblica.

Infine arriviamo all’attacco riservato a noi. Secondo il giornalista l’intervista che abbiamo gentilmente richiesto e che altrettanto gentilmente ci è stata concessa dal presidente della Commissione regionale antimafia, Claudio Fava, come si può vedere dal video, è stata una “scorribanda che veramente ha ben poco a che fare con il giornalismo”. Una scorribanda?! Lasciamo a voi ogni valutazione. Ma La Repubblica rincara la dose e parla anche di “un’incursione de Le Iene” subita anche dal “nostro Franco Viviano, che per primo ha raccontato il caso sulle pagine de l’Espresso. Un’altra sceneggiata a favore di un pubblico di bocca buona”. Sulle offese al nostro pubblico, cioè voi, non commentiamo, ma mai noi ci saremmo permessi di giudicare i lettori de La Repubblica. Sulla  “sceneggiata” invece, potete guardare coi vostri occhi nel video che abbiamo pubblicato sopra. Dimostrare, con carte alla mano, che un giornalista ha pubblicato intercettazioni che mettono in discussione un intero attentato, ma che tutte le procure siciliane dicono non esistere, vi sembra una sceneggiata?

A voi, “pubblico di bocca buona”, ogni giudizio. E da parte di La Repubblica, anziché offese e illazioni, a questo punto ci aspettiamo un aiuto per trovare le risposte alle domande che abbiamo posto sull’attentato ad Antoci su cui, è vero, ancora ci sono molte cose da chiarire:

1. Su quali basi la Commissione regionale antimafia arriva alla conclusione che la pista dell’attentato mafioso ai danni di Antoci sia la “meno plausibile”, visto che i magistrati scrivono nel decreto di archiviazione che è “innegabile che tale attentato è stato commesso con modalità tipicamente mafiose”? 

2. Perché la Commissione mette in bocca parole mai dette da magistrati? Come ha fatto con il dottor Angelo Cavallo, alla guida delle indagini: perché per la commissione avrebbe escluso la pista mafiosa dell’attentato, mentre ai nostri microfoni ha detto esattamente l’opposto?  

3. Perché la Commissione regionale antimafia pone come “circostanza anomala” il fatto che l’attentato sia avvenuto in una strada statale, facendo quindi credere all’opinione pubblica che l’attentato sia avvenuto in un luogo super trafficato e ben illuminato, quando basta andare su Google maps per rendersi conto che si tratta in realtà di una sperduta strada piena di curve in mezzo alle montagne?

4. Perché la commissione dichiara che nessuno ha chiesto soccorso subito dopo l’attentato, se esistono i tabulati che dimostrano il contrario? 

5. Qual è il vero ruolo dell’ex poliziotto Mario Ceraolo, utilizzato dalla Commissione come fonte principale per smontare l’inchiesta dei magistrati sull’attentato? Perché la Commissione lo presenta come persona che ha partecipato alle indagini sull’attentato, anche se i magistrati lo smentiscono categoricamente? 

6. Come mai la Commissione regionale antimafia non dà mai il giusto rilievo al fatto che sia Antoci, sia gli uomini della scorta e i poliziotti che gli hanno salvato la vita sono stati intercettati per 7 mesi dai magistrati, proprio per capire se si trattasse di una messinscena, ma nulla è venuto fuori?

7. Perché il presidente della Commissione Fava prima acquisisce esposti anonimi in cui si parla dell’attentato come di una messinscena, esposti già in precedenza cestinati dalla magistratura perché calunniosi e privi di alcun riscontro, e poi a noi nega di averlo fatto? Perché mente?

8. Com’è possibile che il primo articolo a mettere in dubbio la versione ufficiale dell’attentato scritto da L’Espresso è tutto basato su un’intercettazione che secondo tutte le procure siciliane non esiste? L’Espresso da dove ha preso questa intercettazione che i magistrati non sono mai riusciti a trovare?

 

Tratto dal sito: www.iene.mediaset.it

 

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