Di Fabio Repici – Mercoledì scorso la Corte di appello di Reggio Calabria ha nuovamente condannato per mafia il barcellonese Rosario Cattafi, nel giudizio di rinvio del processo “Gotha 3”. Gli organi di informazione ne hanno parlato ed è superfluo aggiungere commenti. Quello che non si è conosciuto, fuori dall’aula di udienza, è ciò che è accaduto nelle due ultime udienze. In particolare nella penultima, celebrata il 29 settembre scorso.
Essendo il giudizio celebrato con le forme del rito abbreviato (anche se l’imputato innanzi al Gup di Messina chiese che le udienze si svolgessero in forma pubblica), si è proceduto in camera di consiglio. Erano quindi presenti il pm, il difensore dell’imputato e due difensori di parti civili e l’imputato, oltre alla compagna e al figlio dell’imputato.
L’udienza si è aperta con l’esame del collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico, che ha risposto alle domande mie, del pm e del difensore di Cattafi. Le dichiarazioni di D’Amico, poi, in conclusione di udienza sono state utilizzate dal pm nella sua requisitoria, con la quale ha chiesto la condanna dell’imputato.
Prima della requisitoria del pm, però, ha preso la parola il difensore di Cattafi, per chiedere l’acquisizione di alcuni atti, da utilizzare a sostegno della posizione di Cattafi. Mi sembra utile citarne alcuni: la relazione di maggioranza della Commissione antimafia sulla morte di Attilio Manca (prima firmataria Rosy Bindi, con l’apporto di una anomala consulenza di Luigi Gaetti: per dimostrare, nell’ottica della difesa Cattafi, che Attilio Manca non è stato ucciso, ma è morto in conseguenza dell’assunzione volontaria di eroina), un verbale di dichiarazioni di Maurizio Avola (della terza vita da collaborante di Avola: quella illuminata dalle sue balle su via D’Amelio raccontate improvvidamente da un libro sul quale ha messo la firma Michele Santoro), un verbale di dichiarazioni del commercialista barcellonese Luigi La Rosa (in ottimi rapporti con Cattafi e in passato con Giuseppe Gullotti, Pietro Arnò e Giovanni Sindoni, dirigenti, al tempo, della locale squadra di calcio) e, infine, una informativa a firma dell’allora vicequestore (oggi avvocato) Mario Ceraolo, nel 2016 dirigente del Commissariato di Polizia di Barcellona Pozzo di Gotto. Poi il difensore di Cattafi ha chiesto anche che venissero chiamate a testimoniare alcune persone citate da D’Amico e, tra queste, l’imprenditore barcellonese Maurizio Marchetta.
Confesso che quelle richieste del difensore di Cattafi, naturalmente da me prese in esame con il massimo dell’attenzione che il processo richiedeva, mi hanno anche strappato un sorriso. I motivi, però, li ho tenuti per me. Come faccio anche qui, lasciando libera valutazione a chi leggerà.
Da: Stampalibera.it